Com’è andata la direzione del PD

La direzione del Pd non ha portato nel complicato scenario politico novità clamorose. Sulla più urgente delle tre questioni poste da Renzi – i rapporti col governo, il piano per il lavoro e, appunto la più immediata, la riforma elettorale – la riunione s’è sostanzialmente limitata ad affidare al segretario un mandato, temporalmente molto stretto. La polemica su incontrare o meno Berlusconi, che aveva surriscaldato la vigilia, è apparsa marginale: nessuno nega che un eventuale accordo vada discusso e nel caso siglato anche con Berlusconi. Ridimensionata la polemica, l’importante è che sia Renzi a non sottovalutare il valore simbolico, l’impatto che potranno avere sull’opinione pubblica le immagini e l’esito del suo vertice con il protagonista di vent’anni di conflitto e anche di inganni ai danni del centrosinistra.

La gran parte della discussione s’è incentrata sui rapporti tra Pd e governo Letta confermando che nell’insieme del gruppo dirigente al di là delle divisioni congressuali corre una forte insoddisfazione.

Stranamente il rimedio più rischioso a questa insofferenza lo propongono coloro che chiedono a Renzi «più chiarezza e lealtà» nei rapporti con palazzo Chigi, e che ieri hanno articolato la proposta di varare un Letta bis, ovvero la nascita di un vero e proprio nuovo governo con «maggiore coinvolgimento» del Pd. Laddove si intende naturalmente puntare a un «maggiore coinvolgimento» soprattutto del segretario del Pd (per limitarne lo spazio di movimento), con il pericolo però di aprire una voragine sul percorso già non facile della legislatura.

La domanda chiave, sul punto, è se si ritenga davvero possibile che in queste condizioni possa mettersi all’opera addirittura «un governo di svolta». Fuori dai tatticismi, nessuno nella sala della direzione lo crede. E se ci si aspettava dalla riunione qualche segnale forte pro o contro la sopravvivenza dell’esecutivo, il segnale non è venuto. Al fatidico documento lettiano Impegno 2014 ha fatto un fugace riferimento solo la relazione. Dunque si continuerà con le docce scozzesi delle ultime settimane.

Del resto non sarà un dibattito di partito a decidere della stabilità del quadro politico e quindi della tenuta del governo. Molto si gioca nelle prossime ore, più che nei prossimi giorni, nella trattativa sulla riforma elettorale: ormai s’è capito che, contro ogni luogo comune, chi tifa per la continuità di governo e legislatura deve sperare con tutte le sue forze che Matteo Renzi ce la faccia.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.