A.A.A. Umani Made in Italy Esportasi

Ho lasciato l’Italia, la mia cittadina e la mia famiglia quando avevo 16 anni.

Non sono mai davvero ritornato, nonostante qualche lunga permanenza.

L’anno scorso la mia fidanzata delle scuole medie ha tirato fuori dal cassetto una lettera che le spedii durante quel mio primo anno da emigrante.

«Sì, credo che l’unico legame ancora vivo tra me e Valdagno sia di “averci avuto” le radici. E tu sai come sia difficile strapparle, anche se è l’unica soluzione», così scrivevo il 14 gennaio 1983. Con gli anni, ed elaborando un romanzo, ho capito che le emozioni che ci legano al luogo dove cresciamo non si risolvono così presto.

Mi è venuta in mente questa lettera da emigrante adolescente quando ho notato un twit di Beppe Severgnini: «Forte aumento dei giovani italiani che chiedono Working Holiday Visa per l’Australia». Clicco il link e capito sul sito di “Italians in fuga” che titola: «Drammatico aumento dei giovani italiani che chiedono il visto vacanza/lavoro per l’Australia». I dati più forti e drammatici sono questi: nel 2008 il visto è stato concesso a 3576 ragazzi; nel 2012 invece a 9600. La cifra è quasi triplicata. Le domande per il rinnovo del visto sono aumentate del 51 per cento. Almeno la metà di loro, come accadde a me nell’83, non vuole tornare in Italia.

Nel sito si leggono testimonianze utili. Chi va in miniera a cercare metalli preziosi, chi in fattoria a raccogliere angurie, chi fa il barista, il cameriere, l’addetto alle pulizie negli hotel. Centrale è il tema del nepotismo e familismo amorale, ciò che mi convinse a non tornare, ma c’è chi se ne va solo perché ha voglia di cambiar aria, di avventura, divertimento. La maggior parte, però, resta all’estero perché capisce che in Italia non troverà il lavoro che vuole, almeno non per alcuni anni.

Ho incontrato anch’io qualcuno di questi nuovi emigranti nel mio ultimo viaggio in Australia qualche mese fa. Uno era un vicentino che aveva appena perso il lavoro in fabbrica. Ma i veneti sono abituati all’emigrazione. Dall’unificazione d’Italia a oggi si sono sdoppiati: per ogni veneto in Italia ce n’è uno emigrato all’estero. L’Italia ha sempre incoraggiato i suoi giovani ad andarsene. L’esempio più evidente era l’esonero dal servizio di leva obbligatorio nel caso in cui si potesse dimostrare di lavorare all’estero fino ai 27 anni. Legge antica rimasta però in vigore fino all’eliminazione dell’obbligo. Poi quel: «Studiate una lingua e partite» di Alcide De Gasperi per sfoltire la penisola post-fascista e post-bellica. E ora siamo al Mario Monti della «nuova mobilità internazionale».

Monti ha ragione. Ma mi ricorda quel ministro Treu (altro vicentino) del “lavoro flessibile”, pilastro della Terza Via Dalemiana. L’idea era sacrosanta e modernizzante. Peccato che l’unico a essere flessibile sia stato poi il lavoratore e non il mondo del lavoro, con conseguenze immaginabili ed ora evidenti. La disoccupazione giovanile è oggi al 36 per cento. Quasi tre milioni i disoccupati, l’11 per cento.

Non c’è lavoro? Andatevene. Sembrerebbe la cosa più logica, una soluzione dolorosa, ma obbligata. Ma è perché si guarda dalla prospettiva sbagliata. Come spiega il segretario della Federazione Italiana Emigrazione e Immigrazioni Rodolfo Ricci in “2012: Fuga dall’Italia”, ogni persona che se ne va è una perdita secca per il Paese di quasi 400 mila euro spesi per la loro formazione in 15 anni di scuola e di spese pubbliche per ogni individuo. Ricci azzarda altri calcoli spaventosi: moltiplicando 400 mila per la stima realistica di un’emigrazione di 200 mila persone all’anno si arriva a quasi 90 miliardi di perdite. Moltiplicando per 10 anni siamo a un terzo del PIL italiano. Si chiama “decrescita qualitativa obbligata”, in burocratese.

Credo nella circolarità della storia. Poco si rinnova, molto si ripete. L’immigrazione è in ripartenza da tutta Europa. E anche in questo siamo tra i primi, assieme a Grecia e Spagna.

Ma quando ora sento parlare della ripresa delle esportazioni del Made in Italy, capisco cosa intendono: non si tratta di merce, parlano degli esseri umani Made in Italy!

(Pubblicato su Pubblico)

Carlo Pizzati

Scrittore, giornalista e docente universitario. Scrive per "Repubblica" e "La Stampa" dall'Asia. Il romanzo più recente è "Una linea lampeggiante all'orizzonte" (Baldini+Castoldi 2022). È stato a lungo inviato da New York, Città del Messico, Buenos Aires, Madrid e Chennai. Già autore di Report con Milena Gabanelli su Rai 3, ha condotto Omnibus su La7. Ha pubblicato dieci opere, tra romanzi, saggi, raccolte di racconti brevi e reportage scritti in italiano e in inglese. carlopizzati.com @carlopizzati - Pagina autore su Facebook - Il saggio più recente è "La Tigre e il Drone" (Marsilio 2020),