Il ruolo di Israele nell’inchiesta sui presunti fondi dall’Italia ad Hamas
Molte delle accuse della procura si basano su centinaia di documenti inviati da fonti israeliane

Nell’ordinanza che ha portato all’arresto di sette persone accusate di aver finanziato Hamas attraverso raccolte fondi in Italia ci sono centinaia di riferimenti a documenti inviati da Israele agli investigatori italiani. Questi documenti, scrive la giudice per le indagini preliminari Silvia Carpanini, sono catalogati tutti allo stesso modo, con la sigla AVI seguita da un codice identificativo alfanumerico. Nelle 308 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare si trovano 117 codici AVI, citati 236 volte.
I documenti inviati da Israele vengono usati per ricostruire la storia di Hamas e i suoi rapporti internazionali, ma soprattutto per sostenere i presunti legami tra Hamas e le associazioni palestinesi che ricevevano soldi dall’Italia e considerate illegali da Israele. Molte delle accuse quindi si basano su quei documenti.
Il principale indagato è Mohammad Hannoun, arrestato sabato mattina, accusato di associazione con finalità di terrorismo anche internazionale e ora detenuto nel carcere Marassi di Genova. È il fondatore dell’Associazione Benefica di Solidarietà con il Popolo Palestinese (Abspp), secondo la procura usata per raccogliere e inviare soldi ad Hamas. Nel 2001 la procura di Genova aveva già aperto un’inchiesta su Hannoun e sulla sua associazione: nel 2006 il giudice per le indagini preliminari aveva negato l’arresto chiesto dai magistrati e nel 2010 il tribunale aveva archiviato l’indagine su richiesta della stessa procura.
Nella nuova inchiesta gli investigatori si sono serviti di molte informazioni trovate già all’epoca, integrate da nuove intercettazioni e informative della Digos (un reparto investigativo della polizia). Durante la prima indagine la procura aveva chiesto e ottenuto documenti da Israele attraverso cinque rogatorie emesse prima nel settembre del 2001, poi nel maggio, nel luglio e nel novembre del 2003 e infine nel giugno del 2005. A questi vanno aggiunti molti altri documenti inviati da Israele «spontaneamente» (è l’avverbio usato nell’ordinanza) il 1° luglio e il 25 agosto 2025.
La giudice scrive che la maggior parte di questi documenti è stata ottenuta dall’esercito israeliano nel corso di due operazioni militari: Defensive Shield, condotta in Cisgiordania nei primi anni Duemila, e Swords of Iron, ossia la guerra che Israele sta conducendo nella Striscia di Gaza.
Quasi tutti gli atti non arrivano da indagini portate avanti dalla magistratura israeliana o da processi, ma dall’esercito e dalla polizia israeliana, a sua volta supportata da un funzionario del ministero della Difesa israeliano di cui non viene fatto il nome. I documenti sono stati trasmessi alla procura di Genova tramite i canali della cooperazione giudiziaria internazionale.
Le informazioni inviate da Israele sono centrali nella ricostruzione dei presunti rapporti tra Hamas e associazioni attive in diversi paesi europei, che hanno legami e confronti più o meno assidui con Hannoun o altri membri dell’Associazione Benefica di Solidarietà con il Popolo Palestinese. Nell’ordinanza si fa riferimento a 17 documenti e report inviati da Israele che tra le altre cose paragonano le modalità di raccolta dei fondi di altre associazioni europee ai metodi usati dall’associazione italiana. In uno di questi documenti Hannoun e la sua associazione risultano inseriti in una lista del ministero della Difesa israeliano come entità che finanziano il terrorismo.
La parte più corposa dei documenti inviati da Israele viene usata dalla procura per sostenere che le associazioni palestinesi a cui venivano mandati i soldi dall’Italia siano legate in modo più o meno diretto ad Hamas.
Dal 2001 l’Associazione Benefica di Solidarietà con il Popolo Palestinese ha raccolto in totale oltre 7 milioni di euro inviati a una trentina di associazioni palestinesi. Fino al 2021 la maggior parte dei soldi veniva inviata tramite bonifici che dichiaravano queste finalità: “pagamento adozione a distanza orfani”, “pacchi viveri”, “progetto Ramadan 2018”, “pasti caldi”, “sostegno famiglia”, “progetto cartella scolastica”. La procura stima che il 71 per cento dei soldi raccolti sia finita ad Hamas.
Dal 2021 e soprattutto dopo il 7 ottobre del 2023, dopo il blocco dei conti delle associazioni disposto da diverse banche, molti soldi sono stati portati all’estero in contanti passando spesso dalla Turchia, che non riconosce Hamas come organizzazione terroristica. La procura scrive che la maggior parte di quei soldi, circa un milione di euro, è stata regolarmente dichiarata alla dogana.
Le associazioni citate sono Merciful Hands Society, Wa’ed Dei Prigionieri e Dei Prigionieri Liberati, Al Nour, Al Weaam, Assalama Charitable Society, Rowad, Pionieri Dello Sviluppo Comunitario, Dar Al Yatim, Palestinian Orphans Home, Islamic Society, Al Rahma / Mercy Association for Children, Jenin Charitable Committee, Tulkarem Charitable Committee, Qalqilya Charitable Committee, Nablus Charitable Committee, Ramallah Zakat Committee, Islamic Charitable Society in Hebron, Orphan Care Society in Bethlehem, Al Islah, Humanitarian Relief Association.
Sono tutte considerate illegali da Israele, inserite in una lista delle associazioni che secondo il ministero della Difesa israeliano sarebbero un’emanazione di Hamas.
In molti passaggi dell’ordinanza si fa riferimento all’impossibilità di aiutare la popolazione palestinese senza che Hamas possa intercettare soldi e altri aiuti. È la tesi che Israele usa da decenni per giustificare i blocchi e gli embarghi posti sul territorio della Striscia, ed è supportata da molti documenti israeliani che parlano di «commistione tra le finalità assistenzialistiche e il finanziamento diretto di Hamas».
Oltre a essere un gruppo terroristico, Hamas ha un’ala politica che funziona come un partito, che dal 2007 governa la Striscia di Gaza con metodi autoritari e brutali, ma ne gestisce e finanzia in parte anche servizi e welfare. Fino al 7 ottobre 2023 il gruppo ricavava soldi con le tasse sui prodotti venduti a Gaza e sulle transazioni commerciali che avvenivano nella Striscia. Secondo fonti diplomatiche arabe, israeliane e occidentali, durante la guerra Hamas ha sequestrato e rivenduto parte dei beni di prima necessità che entravano come aiuti umanitari nella Striscia.
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Secondo Israele, Hamas si servirebbe delle organizzazioni di beneficenza anche per mantenere la sua influenza nella società palestinese. Uno dei documenti israeliani rimanda a uno studio trovato nei «computer interni» di Hamas dagli «organi di sicurezza» dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP), organismo politico dove è al potere Fatah, il principale partito laico e moderato palestinese che si oppone ad Hamas.
Questo documento spiega che le organizzazioni di beneficenza svolgono «un ruolo vitale» negli obiettivi generali di Hamas fornendo servizi essenziali, promuovendo ideologie e politiche, e garantendo la sostenibilità economica: «L’integrazione di questi servizi nella comunità garantisce che Hamas rimanda [probabilmente un errore di trascrizione, al posto di “rimanga”, ndr] una forza centrale ed influente nella vita palestinese». Si porta anche l’esempio dell’educazione, definita «non affatto neutra, ma fortemente ideologizzata e strumentale a instillare valori religiosi nei giovani».
Un’altra informativa inviata da Israele parla dell’organizzazione chiamata Union of Good, attiva dall’inizio degli anni Duemila per organizzare e regolare l’attività di una cinquantina di associazioni ritenute legate ad Hamas. Secondo Israele, che nel 2008 l’ha bandita, l’Union of Good riusciva a raccogliere fino a 100 milioni di euro all’anno soprattutto all’estero.
Nell’informativa israeliana sono citate alcune dichiarazioni rese nel 2007 da Mohamed Taisir Kasrawi, membro di una delle associazioni, secondo cui l’Associazione Benefica di Solidarietà con il Popolo Palestinese faceva parte dell’Union of Good. La procura però scrive in una nota che sta ancora aspettando da Israele gli atti ufficiali dell’interrogatorio di Kasrawi perché per ora ha potuto analizzare solo un riassunto delle dichiarazioni.
Le indagini degli investigatori italiani si concentrano in circa 140 pagine dell’ordinanza. In totale sono un centinaio gli indizi raccolti tra il 2002 e il 2025 che dimostrerebbero il legame di Hannoun con Hamas. Si tratta di intercettazioni telefoniche e ambientali, messaggi, interviste, post sui social network, fotografie.

Mohammad Hannoun (Marco Ottico/Lapresse)
In un’intercettazione del 2024 Hannoun, sulla propria auto, ascolta una canzone che inneggia agli attentati suicidi delle Brigate Al Qassam, l’ala armata di Hamas. In un’intercettazione risalente al 2002, invece, starebbe festeggiando con il fratello un attentato suicidario organizzato da Hamas che causò la morte di 10 civili israeliani.
Israele ha inviato alla procura di Genova anche il verbale risalente al 2013 di un interrogatorio della polizia israeliana a Muhammad Awad, nipote di Hannoun. All’epoca Awad, coinvolto in un’indagine, avrebbe ammesso alla polizia di essere membro di Hamas e di essere stato contattato dallo zio per inviare soldi all’associazione Al Nour, soldi che sarebbero serviti a sostenere membri di Hamas detenuti nelle prigioni israeliane.
La giudice per le indagini preliminari scrive che i riferimenti fatti ad Hamas sono «plurimi» e che le intercettazioni e i documenti collegano Hannoun a figure di spicco di Hamas. Secondo le indagini la relazione più consolidata sarebbe con Osama Alisawi, dal 2008 al 2014 ministro del governo di Hamas nella Striscia di Gaza. Il tribunale ne ha autorizzato l’arresto, ma risulta latitante.
Alcune delle intercettazioni erano già state raccolte nelle indagini di inizio anni Duemila, ma ritenute non sufficienti dal tribunale, che aveva negato l’arresto di Hannoun. All’epoca il giudice per le indagini preliminari Maurizio De Matteis scrisse che non c’erano indizi sicuri in merito all’appartenenza di Hannoun a Hamas. Per di più secondo il giudice i documenti inviati da Israele non erano sufficienti a dimostrare la “commistione” tra Hamas e le associazioni che ricevevano soldi dall’Italia.
Un’altra considerazione sull’opportunità di utilizzare i documenti inviati da Israele si trova nella richiesta di archiviazione presentata dalla procura nel gennaio del 2010 e confermata dal tribunale un mese dopo. La pubblico ministero Francesca Nanni scriveva così: «Tutto ciò a prescindere dalla difficoltà, in alcuni casi, impossibilità di utilizzazione del materiale trasmesso dallo Stato di Israele, spesso raccolto nel corso di vere e proprie operazioni militari, pertanto senza l’osservanza dei principi fondamentali che regolano l’acquisizione delle prove nel nostro ordinamento».
Ora la valutazione della procura e della giudice per le indagini preliminari è opposta a quella del 2010. La procura dice che nella legge italiana non ci sono norme per regolare l’acquisizione nel procedimento penale di atti extraprocessuali acquisiti da uno Stato estero nel corso di operazioni militari e poi trasmessi all’Italia, ma allo stesso tempo l’articolo 234 del codice di procedura penale esclude solo gli atti acquisiti in violazione della legge. La procura e il tribunale si sono appellati in particolare a una raccomandazione del Consiglio d’Europa che permette di usare nei processi informazioni raccolte «in zone di conflitto in modo conforme allo Stato di diritto e ai diritti umani».
La procura scrive che i documenti israeliani sono accompagnati da una relazione che fornisce informazioni sul luogo e le modalità di acquisizione – compatibilmente con il segreto militare – utili a confermare l’autenticità. Durante le indagini gli investigatori italiani hanno trovato documenti «da cui si ha conferma dell’autenticità di alcuni di quelli autonomamente trasmessi dall’autorità israeliana».
Fabio Sommovigo, uno degli avvocati di Mohammad Hannoun, sostiene che l’indagine sia quasi tutta costruita da atti inviati da Israele, senza che la procura o la giudice per le indagini preliminari abbia una chiara idea di come siano stati acquisiti e con quale e quanto rispetto dei diritti umani o più semplicemente delle norme procedurali. Martedì mattina Hannoun è stato sottoposto all’interrogatorio di garanzia: ha detto di non aver finanziato Hamas né direttamente né indirettamente e ha spiegato come l’associazione raccoglieva i soldi, ma non ha risposto alle domande della giudice per le indagini preliminari su consiglio degli avvocati, che hanno avuto poco tempo per studiare le circa 10mila pagine di atti dell’inchiesta.



