La zampogna potrebbe avere una vita anche dopo il Natale

È uno strumento che si vede in giro solo a dicembre, e quasi esclusivamente nel sud Italia, ma ha possibilità espressive molto più estese

Zampognari a Natale in Piazza Navona, Roma, 1959 (David Lees/Getty)
Zampognari a Natale in Piazza Navona, Roma, 1959 (David Lees/Getty)

C’è uno strumento musicale che da più di tre secoli viene suonato quasi esclusivamente nelle regioni dell’Italia meridionale e che si vede in giro soltanto nel periodo di avvicinamento alle vacanze di Natale, tra novembre e dicembre: la zampogna. È diffuso soprattutto in Sicilia, Calabria, Campania, Puglia, Basilicata, Abruzzo e Molise, dove viene usato per suonare danze pastorali, canti popolari e soprattutto celebri melodie natalizie, alcune legate alla tradizione cattolica come “Tu scendi dalle stelle”, “Astro del ciel” e “Adeste fideles”, altre laiche e di origine anglosassone come “Jingle Bells” e “We Wish You a Merry Christmas”.

In questi posti i musicisti che suonano la zampogna, detti “zampognari”, sono considerati figure del folklore locale. Sono molto riconoscibili per via del vestiario, ispirato a quello dei pastori: mantelli o pelli di pecora, gilet di lana, camicie rustiche, calzoni pesanti, fasce o cinture in cuoio e spesso un cappello a falda larga.

Li si vede in giro per le poche settimane delle feste, durante le quali si spostano tra piazze, mercati, chiese e vie dei centri storici, esibendosi spesso in coppia o in piccoli gruppi. Tradizionalmente suonano all’aperto, fermandosi davanti alle abitazioni, nei luoghi di ritrovo o durante eventi religiosi legati al periodo dell’Avvento. In passato era comune che girassero di casa in casa, ricevendo in cambio offerte in denaro o cibo, ma oggi la loro presenza è più spesso legata a manifestazioni organizzate, presepi viventi o iniziative culturali.

La zampogna fa parte della famiglia delle cornamuse. Più precisamente, è un aerofono a sacco: attraverso un soffietto, l’aria viene immessa all’interno di una sacca che funziona come una specie di regolatore di pressione. Dal punto di vista tecnico, è uno strumento particolarmente difficile da padroneggiare. Grazie a un sincronismo molto preciso tra il soffio e il movimento del braccio che comprime la sacca, chi la suona riesce a mantenere un flusso d’aria continuo e costante, da cui deriva il caratteristico suono ininterrotto dello strumento.

«Non è una questione di forza fisica, ma di controllo. Anche variazioni minime di pressione influiscono immediatamente sull’intonazione e sulla qualità del suono», dice Christian Di Fiore, che insegna questo strumento al conservatorio dell’Aquila.

La famiglia di Di Fiore suona la zampogna «da sette generazioni». Imparò le prime melodie a 3 anni e in modo istintivo, imitando ciò che facevano i parenti più esperti. Dopo questa prima fase da autodidatta ha studiato lo strumento in modo più rigoroso al conservatorio di Pescara, dove si è laureato in composizione. Oggi alterna all’attività didattica quella da musicista: partecipa a molti festival internazionali, e ha collaborato con cantanti come Enzo Avitabile, Antonella Ruggiero, Eugenio Bennato e Tony Esposito, per citarne alcuni.

Di Fiore dice che il fortissimo legame tra la zampogna e le festività natalizie è soprattutto «una questione di rappresentazione simbolica». In realtà la storia di questo strumento è «intimamente connessa al mondo pastorale e alla vita rurale», dove veniva suonato a orecchio e in occasioni diverse, accompagnando il lavoro dei pastori, le feste di comunità e i momenti della quotidianità. Tuttavia, con il progressivo allontanamento delle società urbane dal mondo contadino, «la zampogna ha smesso di far parte della vita di ogni giorno ed è stata progressivamente associata a un momento preciso dell’anno: il Natale».

Il nesso strettissimo tra la zampogna e le festività natalizie ha comportato vantaggi e svantaggi per chi la suona. Da un lato ha permesso allo strumento di radicarsi nell’immaginario collettivo, principalmente nelle regioni dell’Italia meridionale, dove nel periodo delle festività centinaia di zampognari riescono a ottenere ingaggi con una certa facilità e frequenza.

Dall’altro però la nomea di strumento che compare solo a Natale ne ha limitato moltissimo diffusione e possibilità espressive: «Per la maggior parte delle persone la zampogna è ancora associata ai pastori, al presepe e alle processioni natalizie. Ma questa concezione non restituisce la complessità che oggi caratterizza questo strumento» dice Di Fiore.

Negli ultimi decenni, attorno alla zampogna si è avviato un processo di rinnovamento che punta a portarla oltre il solo ambito folklorico, aprendola al concerto e alla composizione. «Questo percorso è stato accompagnato da un dialogo continuo con i costruttori artigiani, che nel tempo ha portato a miglioramenti nella struttura, nel suono e nella suonabilità dello strumento, rendendolo più adatto a nuovi contesti musicali», racconta Di Fiore.

Sono stati fatti passi in avanti significativi: oggi la zampogna si studia in conservatorio come qualsiasi altro strumento, ed è pienamente riconosciuta come strumento da concerto.

Quando si parla di zampogna, secondo Di Fiore bisogna distinguere tra due percorsi differenti. C’è la figura dello “zampognaro” intesa nel senso tradizionale, cioè un musicista autodidatta che «si forma principalmente attraverso la pratica diretta e la trasmissione orale, spesso in ambito familiare o comunitario, secondo una logica di mestiere»; e poi c’è quella dello “zampognista”, ossia chi approccia lo strumento in modo strutturato, aperto e professionale. In questo secondo caso la formazione avviene nei conservatori, con percorsi accademici completi.

Durante la sua attività didattica, Di Fiore dedica molto spazio al racconto della figura dello zampognaro, anche attraverso aneddoti e storie legate alla vita che conducevano un tempo. L’obiettivo principale però è «rendere gli studenti consapevoli delle reali possibilità professionali di oggi, e dell’importanza di farsi trovare preparati nel mondo del lavoro del musicista»; e quindi invogliarli ad ampliare il più possibile il loro repertorio, in modo tale da prepararli a suonare la zampogna anche in contesti diversi e non legati al Natale.

Secondo Di Fiore, aprirsi a possibilità diverse dai concerti di Natale è l’unico modo per “vivere di zampogna”: «io la suono tutto l’anno, all’interno di progetti concertistici in Italia e soprattutto all’estero, dove è concepita come uno strumento musicale a tutti gli effetti e non come un semplice elemento evocativo, come purtroppo accade dalle nostre parti».

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