Natuzzi ha annunciato la chiusura di due stabilimenti e 479 esuberi
Per l’azienda pugliese di arredamento è l’ultimo sviluppo di una crisi che va avanti da quasi vent’anni

L’azienda pugliese Natuzzi, specializzata nella produzione di arredamento, ha annunciato 497 esuberi e l’intenzione di chiudere due stabilimenti durante una riunione con il ministero delle Imprese e del Made in Italy, a cui hanno partecipato anche i sindacati e i rappresentanti della regione Puglia.
Natuzzi è l’azienda titolare del marchio Divani & Divani, impiega in tutto 3.200 persone, ha cinque stabilimenti in Italia, e i due che prevede di chiudere sono quelli di Graviscella e Jesce 2, entrambi in provincia di Bari.
L’annuncio è l’ultimo sviluppo di una crisi che sta colpendo l’azienda da quasi vent’anni. Il primo annuncio sugli esuberi (al tempo 1.500) risale al 2009; al mese scorso risale l’ultimo annuncio di personale messo in cassa integrazione, per 1800 persone. Parte della produzione è stata spostata in Cina, in Romania e in Brasile, e nel frattempo l’azienda ha ricevuto decine di milioni di finanziamenti pubblici, non risolutivi.
La decisione sugli esuberi e la chiusura dei due stabilimenti fa parte del piano industriale che l’azienda ha presentato e con cui mira a ridurre le spese e migliorare i conti entro il 2028.
L’azienda, che è quotata alla borsa di New York, nei primi nove mesi del 2025 ha avuto perdite per 15,1 milioni di euro, in aumento rispetto alla perdita di 11,5 milioni registrata nello stesso periodo dell’anno precedente.
I sindacati hanno criticato il piano industriale, dicendo che oltre a ridurre il personale non prevede sufficienti investimenti per rilanciare la produzione. Il ministero ha chiesto all’azienda di modificarne alcuni punti e di avviare una trattativa con i sindacati, e ha convocato una seconda riunione il 25 febbraio. Il 9 gennaio è prevista una riunione con i rappresentanti della regione Puglia.
Natuzzi esiste dal 1959, anno in cui aprì la prima bottega artigiana di divani, a Taranto. L’azienda ha avuto successo soprattutto tra gli anni Ottanta e Novanta: è entrata in crisi a partire dagli anni Duemila, come molte altre aziende del settore dell’artigianato.
L’azienda ha cercato di ridurre i costi di produzione affidando la produzione ad aziende più piccole (le cosiddette aziende “contoterziste”, che producono per conto di altre) o spostandola fuori dall’Italia, ma nonostante questo le perdite si sono accumulate negli anni.



