Chi l’ha detto che il colpevole è il maggiordomo

È un cliché diventato un ritornello, ma in realtà sono rari i casi, sia nella letteratura che nel cinema

Una scena di Gli Aristogatti
Una scena di Gli Aristogatti
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La settimana scorsa in Francia sono state arrestate alcune persone con l’accusa di avere sottratto un centinaio di argenti e porcellane preziose all’Eliseo, un furto che per come è stato organizzato e per il ristretto numero di sospettati ricorda molto quelli dei romanzi gialli classici. Tra gli arrestati c’era anche il caposala del palazzo presidenziale francese: un maggiordomo.

È un dettaglio che è stato molto ripreso perché richiama uno dei cliché più noti della narrativa poliziesca: l’idea che, alla fine di una storia complessa e apparentemente senza soluzione, la soluzione vada cercata nella persona apparentemente più affidabile e innocua, quella che è sempre stata lì senza farsi notare, il maggiordomo appunto. È una formula così radicata nell’immaginario collettivo da essere diventata un modo di dire, anche se nella realtà capita di rado e non è poi così frequente nemmeno nella letteratura e nel cinema.

La scrittrice più citata nelle ricostruzioni di questo modo di dire è la statunitense Mary Roberts Rinehart, una delle principali responsabili della nascita e dell’affermazione del romanzo poliziesco moderno. Nel suo romanzo L’incubo (The Door in originale), pubblicato nel 1930 e oggi per lo più dimenticato, il colpevole dell’omicidio è il maggiordomo. L’espressione letterale “the butler did it” (è stato il maggiordomo), che è poi diventata un tormentone nei paesi di lingua inglese, però non compare mai nel testo.

Prima di L’incubo, c’era stato almeno un altro precedente di maggiordomo assassino: lo scrittore inglese Herbert Jenkins, nel racconto The Strange Case of Mr. Challoner, incluso nella raccolta Malcolm Sage: Detective del 1921. Nel 1893 invece Arthur Conan Doyle aveva scritto di un maggiordomo cattivo in Il cerimoniale dei Musgrave, che non uccide nessuno ma tenta di derubare i propri datori di lavoro ma viene smascherato da un giovane Sherlock Holmes. Il finale di L’incubo fu comunque un azzardo per Rinehart, perché appena due anni prima il critico e scrittore S. S. Van Dine aveva pubblicato un elenco di venti regole per gialli di successo e una di queste diceva che un domestico non può essere il colpevole perché è una soluzione troppo facile, una persona di cui è fin troppo facile sospettare.

I libri di Rinehart vendettero molte copie in quella che fu poi chiamata l’“età d’oro del giallo”, tra gli anni Venti e Quaranta del Novecento (quelli di Agatha Christie). Dopo L’incubo quindi «è stato il maggiordomo» smise di essere un finale come altri e divenne una scorciatoia narrativa. Come riporta il Guardian, il successo di L’incubo rese quella scelta immediatamente riconoscibile e quindi prevedibile. Il maggiordomo assassino perse rapidamente la sua efficacia come colpo di scena e diventò invece un bersaglio su cui fare ironia.

Questo non significa che il personale di servizio abbia smesso di essere colpevole nei romanzi gialli. Camerieri, governanti e altri domestici continuarono a comparire come responsabili dei delitti, ma il maggiordomo in particolare divenne un cliché da evitare.

L’espressione però è rimasta. «È stato il maggiordomo» continua a riassumere molti degli stereotipi del giallo inglese classico: famiglie ricche e vittime benestanti, grandi case di campagna, una servitù numerosa e un contesto isolato dal resto del mondo da una tempesta di neve, una strada interrotta o un treno fermo in mezzo al nulla. Tutti i personaggi sono bloccati insieme e i possibili sospetti sono un numero finito.

L’immagine del maggiordomo è stata poi ripresa anche al cinema nei gialli, ma quasi mai come colpevole: in Invito a cena con delitto il maggiordomo ha un ruolo centrale nell’intreccio e inizialmente è considerato la vittima della serata. In Signori, il delitto è servito il maggiordomo accoglie gli ospiti e fa gli onori di casa: è una presenza centrale nel ricreare l’atmosfera del classico poliziesco di inizio Novecento, pur non avendo alcun ruolo diretto nel delitto. Solo negli Aristogatti il maggiordomo Edgar è il classico antagonista travestito da servitore fedele: lavora per l’anziana e ricchissima Madame Adelaide Bonfamille e scopre per caso di essere stato escluso dall’eredità, destinata invece ai suoi gatti. Da lì nasce il piano, piuttosto esplicito, di liberarsi degli Aristogatti per diventare lui l’unico beneficiario del patrimonio. Edgar è apertamente il responsabile di tutto, in una versione quasi scolastica dello stereotipo del “maggiordomo colpevole”.