Le pubblicità di truffe fanno guadagnare una fortuna a Meta, secondo Reuters

Stime e documenti interni parlano del 10% del fatturato annuo, pari a 16 miliardi di dollari

La sede di Meta a Menlo Park, California (Jason Henry/The New York Times/contrasto)
La sede di Meta a Menlo Park, California (Jason Henry/The New York Times/contrasto)
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Lo scorso anno Meta si ritrovò di fronte a un problema: le sue piattaforme erano piene di pubblicità fraudolente e illegali. Secondo documenti interni letti da Reuters, una stima dell’azienda aveva calcolato che circa il 10% del fatturato annuo di Meta proveniva da annunci pubblicitari relativi a truffe e prodotti vietati, per un giro d’affari di 16 miliardi di dollari.

Una parte notevole di queste pubblicità proveniva dalla Cina, dove tecnicamente i servizi di Meta sono bloccati. Nel solo 2024 la pubblicità cinese ha generato 18 miliardi di dollari di ricavi per l’azienda: circa una inserzione cinese su quattro sarebbe riconducibile a truffe o attività illegali secondo la valutazione di Meta.

Inizialmente Meta provò a reagire sviluppando migliori strumenti di controllo anti-truffa, che diedero in pochi mesi i risultati sperati, portando al quasi dimezzamento delle frodi. Queste nuove misure furono però sospese «in seguito a un cambiamento di rotta sulla strategia e a un intervento di Zuck», secondo quanto riportato da Reuters questa settimana (Zuck è Mark Zuckerberg, capo di Meta).

La sospensione dei nuovi strumenti di sicurezza portò a un nuovo aumento delle frodi: già entro la metà del 2025, le pubblicità fraudolente arrivarono a rappresentare il 16% delle entrate pubblicitarie provenienti dalla Cina. Negli stessi mesi Meta prese altre decisioni che peggiorarono la situazione, revocando un blocco che aveva impedito alle nuove agenzie pubblicitarie cinesi di ottenere l’accesso alle sue piattaforme, e sospendendo un’altra misura anti-truffa che stava dando ottimi risultati nei test interni.

Secondo alcuni documenti risalenti al 2024, in un singolo giorno Meta mostrava agli utenti circa 15 miliardi di inserzioni considerate «ad alto rischio», cioè contenenti chiari segni di truffa. In molti casi queste pubblicità provenivano da venditori sospetti, che erano già stati “flaggati” (o segnalati in quanto pericolosi) dai meccanismi di controllo interni. All’azienda, quindi, sarebbe bastato impedire a questi profili di comprare pubblicità sulle proprie piattaforme.

Tuttavia, stando alle regole di Meta, un inserzionista può essere bloccato solo se i sistemi automatizzati dell’azienda stabiliscono con almeno il 95% di certezza che stia commettendo una truffa. In tutti gli altri casi, anche quando la probabilità di frode è molto alta e ci sono motivi di sospetto, Meta si limita ad applicare a questi inserzionisti tariffe più alte, con l’intento di dissuadere i sospetti truffatori dal comprare inserzioni.

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L’inchiesta ha dimostrato che Meta era al corrente da tempo della presenza di pubblicità illegali o fraudolente e aveva gli strumenti necessari per affrontarla prima e meglio di quanto abbia fatto. Lo scorso maggio, per esempio, la sezione di Meta che si occupa della sicurezza degli utenti realizzò una presentazione a uso interno secondo la quale l’azienda sarebbe «coinvolta in un terzo di tutte le truffe portate a termine negli Stati Uniti». Un’altra relazione interna all’azienda, invece, ammise che «è più facile promuovere truffe sulle piattaforme Meta che su Google».

In seguito a queste rivelazioni, lo scorso mese, due senatori statunitensi hanno chiesto alla Securities and Exchange Commission, l’ente federale che vigila sul funzionamento della borsa, di indagare sulla questione. Meta è stata accusata anche dal Payment Systems Regulator, l’ente regolatore economico dei sistemi di pagamento, di essere stata coinvolta nel 54% delle truffe avvenute nel paese nel corso del 2023.

In risposta a queste accuse il portavoce di Meta, Andy Stone, ha detto che il team che cercò di limitare le truffe cinesi era nato per essere temporaneo, e la sua sospensione non è stata motivata da altri fattori. Stone ha anche detto che negli ultimi diciotto mesi Meta ha bloccato o rimosso 46 miliardi di inserzioni provenienti da account cinesi, e che i documenti rivelati da Reuters presentano «una visione selettiva che distorce l’approccio di Meta su truffe e frodi».