Il governo ha riscritto la legge di bilancio all’ultimo momento

Con una mossa molto irrituale ha aggiunto 3,5 miliardi per accontentare le imprese, ma ha dovuto alzare di nuovo l'età per la pensione

Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti in occasione dell'inaugurazione dell'anno della scuola di polizia economico finanziaria della Guardia di finanza, a Roma, il 17 novembre 2025 (Mauro Scrobogna/LaPresse)
Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti in occasione dell'inaugurazione dell'anno della scuola di polizia economico finanziaria della Guardia di finanza, a Roma, il 17 novembre 2025 (Mauro Scrobogna/LaPresse)
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Martedì, quasi due mesi dopo l’approvazione del disegno di legge di bilancio da parte del Consiglio dei ministri, il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti si è presentato alla commissione Bilancio del Senato, annunciando l’imminente arrivo di un emendamento con cui il governo avrebbe modificato in maniera sostanziale il provvedimento.

È una cosa abbastanza irrituale: spesso infatti, soprattutto negli ultimi anni, il governo deposita quello che viene definito un “maxi-emendamento” col quale di fatto ridefinisce l’intera legge di bilancio, cioè il provvedimento con cui si decide come verranno gestite le finanze statali nell’anno seguente, ma quasi sempre è un intervento che serve a inserire e uniformare le varie correzioni che via via sono state apportate al testo originario. In questo caso, invece, è un emendamento che modifica sia la portata complessiva della manovra, con una spesa prevista maggiorata di circa 3,5 miliardi di euro, sia le fonti di copertura finanziaria, ovvero il modo con cui si intende recuperare quelle maggiori risorse.

È un intervento notevole. In buona sostanza, dopo due mesi di discussione su singoli aspetti o su cavilli della legge di bilancio, il governo introduce una modifica che da sola vale quasi un quinto della manovra, che passa così dai circa 18,7 miliardi di euro inizialmente previsti ai circa 22,2 miliardi attuali. E lo fa inoltre con modifiche mai discusse né prospettate finora, che il Senato sarà di fatto costretto ad approvare senza poter modificare, o quasi, vista la ristrettezza dei tempi: la legge di bilancio va infatti approvata entro la fine dell’anno, e dopo che il Senato l’avrà votata (verosimilmente il 23 di dicembre) dovrà poi passare all’esame della Camera, tra Natale e Capodanno.

Questo spiega anche la grossa irritazione delle opposizioni, e pure lo stupore, sottaciuto, dei parlamentari di maggioranza. Per settimane il ministero dell’Economia ha preso tempo e si è rifiutato di esprimere i propri pareri sui vari emendamenti proposti dai partiti. Poi, al dunque, ha presentato un enorme emendamento che modifica significativamente l’impianto della legge di bilancio, dando un tempo ristrettissimo ai senatori.

La commissione Bilancio del Senato durante l’esame degli emendamenti alla finanziaria, il 18 novembre 2025 (Roberto Monaldo/LaPresse)

Martedì Giorgetti aveva promesso che il testo sarebbe stato consegnato in giornata. In realtà è arrivato solo la mattina seguente, e a quel punto il presidente della commissione Bilancio, Nicola Calandrini di Fratelli d’Italia, per evitare che i ritardi diventassero ingestibili, è stato costretto a comprimere le procedure di discussione, concedendo alle opposizioni appena una giornata per analizzare un emendamento di 13 pagine (con altre 17 di nota tecnica) e proporre eventuali modifiche. E così ora ci si ritrova, dopo due mesi di discussioni abbastanza inconcludenti, a dover approvare una nuova legge di bilancio nel giro di qualche ora.

Questa forzatura inusuale di Giorgetti è motivata dall’ansia del governo di accogliere le pressanti richieste delle imprese, che saranno le beneficiarie pressoché uniche di questi 3,5 miliardi aggiuntivi. La legge di bilancio definita da Giorgetti e Giorgia Meloni era stata apprezzata per l’approccio estremamente prudente, e per molti versi austero, nella gestione dei conti pubblici. Dall’altro canto, però, era stata notata anche l’insussistenza clamorosa delle misure finalizzate a stimolare la crescita e gli investimenti.

Da quando è stata approvata dal Consiglio dei ministri, il 17 ottobre scorso, il quadro economico italiano e internazionale si è rivelato più complesso di quanto il governo sperasse. L’Eurostat, l’istituto di statistica dell’Unione europea, a metà novembre ha certificato che la crescita del prodotto interno lordo italiano si preannuncia come una delle tre più basse dei 21 paesi che utilizzano l’euro; la settimana scorsa l’ISTAT ha invece mostrato l’ennesimo grosso calo della produzione industriale.

Per questo il governo ha deciso, in extremis, di correggere la legge di bilancio. I 3,5 miliardi aggiuntivi serviranno per finanziare il settore dell’edilizia (150 milioni per il cosiddetto “Piano casa”, e 800 milioni per far fronte al rincaro dei materiali necessari per la prosecuzione delle opere pubbliche), e per prolungare con 1,3 miliardi di euro i benefici fiscali previsti dai programmi Transizione 4.0 e 5.0, che erano stati gestiti in modo disastroso dal ministero delle Imprese, con grande scorno del settore industriale. Il programma ora è rifinanziato fino alla fine del 2028, con maggiori coperture, ma con meccanismi in realtà più restrittivi e agevolazioni meno ingenti, specie per quel che riguarda gli investimenti finalizzati alla transizione ecologica. Ci sono poi 530 milioni aggiuntivi per le agevolazioni fiscali alle imprese che operano nella cosiddetta Zona Economica Speciale (ZES) del sud e, infine, alcuni contributi per singole opere e infrastrutture.

Non volendo indebitarsi per finanziare queste maggiori spese, il ministero ha provveduto a reperire le risorse necessarie per coprirle. E lo ha fatto anzitutto contraddicendo una battaglia storica della destra.

Il governo ha deciso infatti di aumentare la cosiddetta «finestra», cioè quel periodo che i lavoratori, dopo aver maturato le condizioni per andare in pensione (42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini, 41 anni e 10 mesi per le donne), devono attendere prima di poter effettivamente andare in pensione. Al momento questa finestra dura tre mesi, e il governo ha deciso di aumentarla di un mese dal 2032, di due mesi dal 2034 e di tre mesi dal 2035, quando quindi bisognerà attendere sei mesi prima di poter riscuotere la pensione. Così facendo, il governo stima di spendere quasi 2 miliardi in meno nei prossimi dieci anni: e in questo modo può rendere sostenibili le maggiori spese fatte nei prossimi anni.

Nel complesso si tratta di una misura coraggiosa e virtuosa sul piano della finanza pubblica, visto che la spesa pensionistica italiana è una delle più consistenti del mondo occidentale, e cresce a ritmi che rischiano di diventare semplicemente insostenibili nei prossimi decenni per il costante invecchiamento della popolazione. Colpisce, semmai, che a promuovere questa misura sia un ministro della Lega: il partito, guidato da Matteo Salvini, che più di tutti aveva promesso di ridurre drasticamente l’età pensionabile, e invece da quando è al governo continua ad aumentarla.

Analogamente, circa un altro miliardo di risparmi tra il 2031 e il 2035 deriveranno da un’altra misura inserita nell’emendamento, che ridimensiona la portata del cosiddetto «riscatto della laurea», per chi lo ha fatto per un titolo di studio triennale. È un meccanismo che consente, ovviamente pagando diverse migliaia di euro a seconda del reddito, di accumulare anni di contributi per gli anni degli studi: un po’ come se, pagando, si facessero coincidere gli anni universitari con i primi anni della carriera lavorativa. Semplificando, se si riscattano tre anni, si può, in teoria, pensare di andare in pensione tre anni prima del previsto.

Il governo ha deciso di penalizzare molto questo meccanismo per chi potrà andare in pensione dal 2031: chi tra questi avrà già riscattato i suoi anni di studi, perderà sei mesi da quanto ha riscattato (e quindi se ha pagato per 3 anni, potrà andare in pensione solo 2 anni e mezzo prima); nel 2032 la penalizzazione diventerà di 12 mesi; nel 2033 di 18 mesi; nel 2034 di 24 mesi; e nel 2035 di 36 mesi. Il caso estremo è quello di chi nel 2035 avrebbe potuto andare in pensione grazie al pagamento del riscatto della sua laurea triennale: non potrà più farlo, e dovrà aspettare ancora, e avrà pagato inutilmente anche decine di migliaia di euro. La norma è nei fatti retroattiva, ed è probabile che ci saranno molti ricorsi, se effettivamente passerà.

Inoltre, il governo obbliga le assicurazioni a versare anticipatamente, entro il 16 novembre di ogni anno, un acconto di alcuni premi assicurativi di veicoli e imbarcazioni: con questo espediente nel bilancio pubblico del 2026 entrano subito 1,3 miliardi di euro. Dal 2029, invece, verrà introdotta una ritenuta d’acconto pari all’1 per cento, cioè una sorta di anticipo sulle tasse versate da un cliente a favore di un fornitore, per le transizioni tra imprese private (le cosiddette “B2B”): in questo modo il governo prevede un maggior gettito di quasi 1,5 miliardi dal 2029.