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  • Lunedì 15 dicembre 2025

Per l’opposizione bielorussa le cose restano complicate

La recente liberazione di vari dissidenti rischia paradossalmente di rafforzare il regime di Lukashenko, invece che indebolirlo

La leader dell'opposizione bielorussa, Maria Kalesnikava, a bordo di un bus che l'ha portata in Ucraina assieme ad altri ex prigionieri politici, il 13 dicembre. La posa con le mani a cuore è la stessa che teneva durante le udienze
La leader dell'opposizione bielorussa, Maria Kalesnikava, a bordo di un bus che l'ha portata in Ucraina assieme ad altri ex prigionieri politici, il 13 dicembre. La posa con le mani a cuore è la stessa che teneva durante le udienze e le manifestazioni (EPA/KSHPPV HANDOUT)
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Per la prima volta dal 2020, tre dei principali oppositori al regime del dittatore bielorusso Aleksandr Lukashenko sono in libertà. Due, Maria Kalesnikava e Ales Bialiatski, sono stati liberati nel fine settimana insieme ad altri 121 prigionieri politici. Il terzo, Sergei Tikhanovsky, era stato liberato la scorsa estate: è il marito di Svetlana Tikhanovskaya, che in loro assenza era diventata la più riconoscibile leader dell’opposizione all’estero.

La loro scarcerazione è il risultato di una distensione dei rapporti tra gli Stati Uniti e Lukashenko, che però paradossalmente rischia di dare legittimità al regime contro cui si battono e quindi di complicare le cose per gli oppositori.

Kalesnikava e Bialiatski erano in carcere rispettivamente dal 2020 e dal 2021, e al momento sono in Ucraina e in Lituania. Tikhanovsky era in carcere dal 2021 e dopo la liberazione ha raggiunto la moglie in Lituania. Anche da liberi, riorganizzare un’opposizione forte ed efficace non sarà facile. Il caso di Tikhanovsky, che ha già avuto qualche mese per provarci, è esemplificativo.

Il primo ostacolo è il più pratico, e anche il più scontato: dall’estero è difficile continuare a raggiungere la popolazione bielorussa, dove il regime silenzia il dissenso e controlla i media. Allo stesso tempo, restare in Bielorussia molto spesso non è un’opzione. Il dissidente Mikalai Statkevich, liberato in un precedente accordo con gli Stati Uniti, ci aveva provato, ma si sono perse le sue tracce e con ogni probabilità è di nuovo in carcere. Di fatto, le liberazioni coincidono con l’espulsione dal paese.

– Leggi anche: Non si sa dove sia uno dei più importanti dissidenti bielorussi

Ci sono poi le conseguenze di una carcerazione dura come quella a cui sono sottoposti i prigionieri politici. Tikhanovsky ha perso una cinquantina di chili durante i cinque anni che ha passato in un carcere di massima sicurezza e ha raccontato che temeva di fare la fine di Alexei Navalny, il principale oppositore del presidente russo Vladimir Putin, morto a febbraio del 2024 in un carcere siberiano.

Il sindacalista Sergei Antusevich, un altro importante oppositore bielorusso, ha raccontato che quando ha potuto rivedere un compagno, scarcerato insieme a lui, è stato come «abbracciare una mezza persona, perché restavano solo le ossa». Il giorno prima che venissero liberati un altro prigioniero era morto in carcere: è accaduto ad almeno altri cinque negli ultimi cinque anni, secondo Viasna, la ong di Bialiatski.

Sergei Tikhanovsky e Svetlana Tikhanovskaya durante una manifestazione a Varsavia, in Polonia, lo scorso agosto

Sergei Tikhanovsky e Svetlana Tikhanovskaya durante una manifestazione a Varsavia, in Polonia, lo scorso agosto (EPA/PIOTR NOWAK)

Oltre al decadimento fisico, il sistema carcerario provoca alienazione. Il regime vieta pressoché interamente ai prigionieri politici di comunicare con l’esterno: in questo modo restano tagliati fuori da cosa succede nel mondo o, in casi molto rari, lo apprendono attraverso il filtro della propaganda di stato. Questo complica il ritorno alla vita pubblica.

Tikhanovsky ha fatto alcune gaffe nei primi discorsi dopo la liberazione, Per esempio, in un comizio ha preso in giro alcuni attivisti che indossavano delle mascherine per non essere riconosciuti (è una precauzione comprensibile, ma lui era già in carcere durante la repressione delle proteste). Oppure ha causato un piccolo incidente diplomatico con le autorità lituane, parlando della necessità di creare «isole» per la comunità bielorussa nel paese, che anche per la sua storia nazionale e i decenni di occupazione sovietica è molto sensibile alle rivendicazioni delle minoranze (come in generale le repubbliche baltiche).

Di fatto Tikhanovsky sta ancora prendendo le misure per un ruolo pubblico e non ha più ripreso la guida dell’opposizione, come qualcuno si sarebbe aspettato. La leader più riconoscibile e presente è rimasta Tikhanovskaya (che nel 2020 si candidò alle elezioni al suo posto, quando gli fu impedito).

Anche per questo Kalesnikava e Bialiatski sono stati molto cauti nelle loro prime dichiarazioni. Per esempio hanno evitato di commentare la guerra in Ucraina, che è iniziata quando loro erano già detenuti: Kalesnikava ha raccontato che, un paio di settimane dopo l’invasione russa, era stata messa in isolamento e da allora non aveva più potuto ricevere notizie, neppure quelle manipolate dei media statali.

Ci vorrà tempo, insomma, prima che possano riprendere il loro posto.

Ales Bialiatski e Maria Kalesnikava, al centro tra due altri dissidenti bielorussi, durante una conferenza stampa a Chernihiv, in Ucraina, il 14 dicembre

Viktar Babaryka, un altro leader dell’opposizione nel 2020, e Maria Kalesnikava, al centro tra altri due dissidenti bielorussi, tutti liberati insieme a lei, durante una conferenza stampa a Chernihiv, in Ucraina, il 14 dicembre (AP Photo/Evgeniy Maloletka)

Il secondo problema sono le modalità che hanno portato alla scarcerazione dei prigionieri, che come detto rischiano di rafforzare Lukashenko invece che indebolirlo. Dall’inizio del secondo mandato di Trump, lo scorso gennaio, Lukashenko sta cercando con un certo successo di migliorare i rapporti con gli Stati Uniti: le scarcerazioni rientrano in questa tattica, e sono state ricompensate.

A fine gennaio il regime bielorusso aveva rilasciato una donna statunitense che era in carcere da cinque anni, Anastassia Nuhfer, proprio per dimostrare un’apertura. L’amministrazione statunitense l’aveva sbandierata come una grossa vittoria diplomatica e da allora Lukashenko ne ha offerte altre, che Trump ha potuto rivendersi anche per suffragare la sua ambizione di vincere il Nobel per la Pace.

Nel 2025 ci sono stati almeno quattro viaggi in Bielorussia dell’inviato speciale di Trump per la Russia e l’Ucraina, Keith Kellogg, o del suo vice John Coale (tanti per un paese di neppure dieci milioni di abitanti, così isolato a livello internazionale), che sono sempre stati ricevuti in modo molto cordiale. Coale per esempio ha raccontato di essersi prestato ad alcuni brindisi con la vodka, e di essersi divertito.

Aleksandr Lukashenko incontra l'inviato statunitense Keith Kellogg, a Minsk lo scorso 21 giugno

Aleksandr Lukashenko incontra l’inviato statunitense Keith Kellogg, a Minsk lo scorso 21 giugno (EPA/BELARUS PRESIDENT PRESS SERVICE)

Lukashenko non ha ottenuto solo legittimità politica, che comunque è preziosa visto l’isolamento diplomatico a cui è relegato a causa della sua vicinanza a Putin. La liberazione di Kalesnikava e Bialiatski è avvenuta in cambio della rimozione delle sanzioni sulle esportazioni bielorusse di carbonato di potassio (o potassa), un composto chimico utilizzato soprattutto in agricoltura come fertilizzante.

Le sanzioni erano state imposte dal predecessore di Trump, Joe Biden, e la rimozione non è una concessione da poco. L’azienda statale bielorussa Belaruskali produce circa un quinto delle forniture mondiali di potassa ed è la principale fonte di gettito fiscale del bilancio pubblico. In questi mesi inoltre gli Stati Uniti hanno rimosso una parte delle sanzioni a Belavia, la compagnia aerea bielorussa, e hanno discusso della possibilità di riaprire l’ambasciata a Minsk, chiusa poco dopo l’invasione dell’Ucraina.

L’attivista Antusevich ha detto che questo tipo di accordi incoraggiano il traffico di esseri umani: «Sono persone vendute per pezzi di ricambio e la manutenzione degli aerei».

Diversi analisti si sono chiesti che cosa stiano ottenendo in cambio gli Stati Uniti. Un indizio è che Lukashenko si prova a presentarsi come un possibile mediatore tra l’Occidente e Putin, nonostante governi un paese satellite della Russia, che ospita le sue testate nucleari ed è servito come base logistica per l’invasione dell’Ucraina. Kellogg ha sostenuto che sia proprio questo il senso di provare ad avvicinarlo alle richieste dell’amministrazione Trump, che comunque sono favorevoli alla Russia e non hanno finora avuto risultati sulla fine della guerra.

Droni volano con la bandiera russa e bielorussa durante le esercitazioni militari congiunte dello scorso settembre

Droni volano con la bandiera russa e bielorussa durante le esercitazioni militari congiunte dello scorso settembre (AP Photo/Pavel Bednyakov)

Sia Kellogg sia Coale, inoltre, hanno sostenuto che la postura più conciliante degli Stati Uniti sia coerente con l’approccio di Trump, disposto a normalizzare le relazioni con gli avversari che si mostrano condiscendenti. Questo ha portato risultati simbolici: per esempio, a settembre alcuni osservatori militari statunitensi sono stati invitati alle esercitazioni militari quadriennali tra Russia e Bielorussia (che quest’anno sono avvenute in formato ridotto rispetto al passato). Non succedeva dal 2017.

Spesso Tikhanovskaya ha ricordato, e criticato, la natura transazionale degli accordi con Lukashenko, che è al potere da trent’anni. Secondo lei, l’unico obiettivo del regime è farsi alleviare le sanzioni. «Resta un dittatore che continua a tenere in ostaggio migliaia di persone», ha detto recentemente. «Ne rilascia una decina, ma poi ne imprigiona altre centinaia. Usa gli esseri umani come pedine di scambio».

– Leggi anche: Come funziona la repressione in Bielorussia