Cos’è questa storia dei controlli della cronologia di chi entra negli Stati Uniti?
Le cose non stanno proprio come avete sentito: nell'ultimo numero di Da Costa a Costa proviamo a fare un po' d'ordine
di Francesco Costa

Negli ultimi giorni diversi media e content creator italiani e internazionali hanno riportato la notizia secondo cui gli Stati Uniti avrebbero deciso che i turisti dovranno consegnare cinque anni di cronologia delle loro attività sui social media per entrare nel paese. Le cose non stanno così: lo spiega Francesco Costa, direttore del Post, nell’ultimo numero di Da Costa a Costa, la newsletter in cui ogni sabato racconta la cultura e la politica degli Stati Uniti.
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Malgrado quello che potreste aver sentito in giro – impossibile resistere alla tentazione di ottenere views solleticando un po’ di indignazione con una notizia scioccante, pazienza se falsa – gli Stati Uniti non hanno deciso che i turisti dovranno consegnare cinque anni di cronologia delle loro attività sui social media per entrare nel paese. Tra l’altro, come dovrebbero fare le persone a estrarre e scaricare cinque anni di cronologia? Come dovrebbero consegnarla?
Come stanno le cose, quindi. La misura di cui si parla riguarda l’ESTA, il permesso di ingresso senza visto negli Stati Uniti usato comunemente dai turisti di 40 paesi, tra cui l’Italia. Si ottiene compilando un modulo online fornendo un po’ di informazioni personali, costa 40 dollari, non permette di percepire un reddito negli Stati Uniti; dura due anni e prevede limiti alla permanenza nel paese. Si usa, appunto, principalmente per andare in vacanza.
L’agenzia governativa per le frontiere ha formulato una proposta – partiamo da qui: una proposta – che cambierebbe le procedure per ottenere l’ESTA, avvicinandole a quelle che bisogna seguire per ottenere un visto, che sia per lavorare o per studiare o per qualsiasi altra ragione per cui si può chiedere un visto per gli Stati Uniti (sono molte). Per avere un visto bisogna condividere molte più informazioni e dal 2019 bisogna anche indicare gli account utilizzati sui social media negli ultimi cinque anni. I nomi degli account: non la cronologia di ogni attività.
La norma sugli account social era stata introdotta dalla prima amministrazione Trump ed era rimasta in vigore durante l’amministrazione Biden. Vale per tutti i visti. Ma già alla fine del 2016, sotto l’amministrazione Obama, l’agenzia per le frontiere aveva inserito nei moduli per ottenere l’ESTA i campi nei quali indicare i nomi dei propri account sui social media. Era facoltativo. La proposta di cui si parla malamente in questi giorni vorrebbe renderlo obbligatorio: come con i visti.
Sono procedure che conosco anche perché negli anni ho fatto molti ESTA per turismo ma possiedo anche un visto giornalistico per lavorare negli Stati Uniti, che rinnovo periodicamente. Quando ho iniziato a fare questo mestiere i visti giornalistici duravano cinque anni, la prima amministrazione Trump ridusse la validità addirittura a nove mesi, Biden di nuovo non toccò nulla, ora Trump l’ha portata a due anni.
Non risulta che in questi anni l’inclusione degli account social fra le moltissime informazioni personali che è sempre stato necessario fornire – indirizzi attuali e precedenti, viaggi all’estero degli ultimi cinque anni, dati su genitori, parenti stretti e datori di lavoro, eventuali problemi con la giustizia, etc – abbia determinato comportamenti repressivi simili a quelli che l’amministrazione Trump ha attuato contro alcune persone che erano già nel paese, come gli studenti filopalestinesi espulsi per il loro attivismo.
E bisogna serenamente escludere che gli agenti riescano a controllare cinque anni di contenuti, su cinque o sei diverse piattaforme di social media, per ognuna degli oltre dieci milioni di persone che ottengono un visto ogni anno. Bisogna escludere allo stesso modo che possano farlo anche per i quasi quindici milioni di persone che ottengono un ESTA ogni anno.
La richiesta di indicare i propri account social – come se non esistesse Google – serve innanzitutto a fare da filtro e ridurre le richieste: se non ci stai, non chiedere nemmeno. Se tieni i profili chiusi, idem. E poi, certo, servono per avere qualcosa in più da approfondire nel caso emergano altrove segnali che suggeriscono ulteriori approfondimenti su qualcuno. Tutto fa brodo.
La destra americana difende questa stretta con l’argomento “cosa avrete mai da nascondere”, che è una barbarie, ma è una di quelle barbarie il cui consenso supera ampiamente i trumpisti: è l’argomento con cui certi sinceri democratici giustificano l’applicazione e persino la pubblicazione a strascico di misure di controllo ben più invasive come le intercettazioni telefoniche. Sono cose popolari, nel nostro mondo.
Non è stato ancora deciso niente, comunque. La proposta è, per l’appunto, una proposta: sarà analizzata e discussa per 60 giorni, dopo i quali potrà essere approvata, cancellata o modificata. Ma i danni per il turismo potrebbero esserci comunque. Il settore è in difficoltà ed è stato danneggiato anche da quelle storie di turisti respinti alla frontiera apparse soprattutto nei primi mesi dell’anno, oltre che dall’opposizione a Trump. Quando la realtà è che ogni giorno entrano negli Stati Uniti quasi duecentomila turisti, senza problemi alla frontiera.
La sfortuna di incontrare l’agente più rigido degli altri esiste ovunque, e gli agenti rigidi sono naturalmente molto ringalluzziti dall’attuale momento storico, ma i guai arrivano innanzitutto se date motivo di sospettare che stiate dicendo una bugia su qualcosa, anche qualcosa di inoffensivo, o che vogliate entrare come turisti e poi restare per lavorare, la forma più comune di immigrazione irregolare negli Stati Uniti. Una cosa che avevano in comune diverse di quelle storie tremende di incidenti alla frontiera.
Ma anche le storie hanno conseguenze e hanno spaventato tanti potenziali turisti, tra chi ha difficoltà con la lingua e poca esperienza di viaggio, chi si sposta con bambini piccoli o persone anziane, chi viene da paesi complicati o ha avuto vite complicate. D’altra parte le notizie false più potenti sono quelle che confermano ciò che le persone pensano già, sono quelle credibili. E il messaggio politico dell’amministrazione Trump è molto chiaro: se non siete americani, non ci piacete.
A presto,
Francesco
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