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  • Martedì 9 dicembre 2025

Il presunto sistema di tangenti nella gestione dei pazienti in dialisi a Roma

Secondo l'accusa, un noto primario li indirizzava verso varie cliniche private ricevendo in cambio soldi e favori

L'ospedale Sant'Eugenio dove Roberto Palumbo era primario di Nefrologia e Dialisi, Roma, 8 dicembre 2025 (ANSA/ANGELO CARCONI)
L'ospedale Sant'Eugenio dove Roberto Palumbo era primario di Nefrologia e Dialisi, Roma, 8 dicembre 2025 (ANSA/ANGELO CARCONI)
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La procura di Roma sta indagando su un presunto sistema di tangenti legato alla gestione di pazienti in dialisi. Alcuni pazienti sarebbero stati indirizzati verso sei strutture private convenzionate da Roberto Palumbo, primario dal 2008 del reparto di nefrologia dell’ospedale pubblico Sant’Eugenio. Secondo l’accusa Palumbo sfruttava le convenzioni con la ASL Roma 2, la sua posizione all’interno della struttura pubblica e la sua effettiva possibilità di indirizzare i pazienti in un centro piuttosto che in un altro per ottenere denaro, vantaggi e altre utilità.

Palumbo è stato arrestato con l’accusa di corruzione il 4 dicembre, mentre riceveva 3mila euro in contanti da un imprenditore che gestisce alcune cliniche private per la dialisi, Maurizio Terra. Entrambi si trovano ora agli arresti domiciliari, Palumbo è stato anche sospeso dal suo incarico all’ospedale ed è stato interdetto dalla professione per un anno. Oltre a lui e Terra nell’inchiesta sono coinvolte altre dieci persone: fra loro ci sono medici, imprenditori e responsabili di società.

Nel Lazio 4.590 persone sono in emodialisi e 400 in dialisi peritoneale, due differenti trattamenti di depurazione del sangue: nel primo, semplificando, la depurazione avviene all’esterno del corpo, nella seconda all’interno. La depurazione del sangue tramite dialisi è necessaria quando una persona soffre di grave insufficienza renale, cioè se i reni non svolgono la loro attività di “filtro” del sangue eliminando le scorie prodotte dall’organismo. Il 25 per cento circa dei pazienti nel Lazio, 1.159 persone, fa riferimento all’ospedale Sant’Eugenio dove Palumbo era primario.

Secondo l’accusa Palumbo riceveva «fino a tremila euro a paziente» e altri favori per convogliare verso sei cliniche private di Roma le persone dimesse dal Sant’Eugenio, che erano ancora bisognose di terapia ambulatoriale ma che non potevano proseguire le cure al Sant’Eugenio per mancanza di posti. Queste cliniche, convenzionate con il Servizio sanitario nazionale, venivano poi rimborsate per le terapie erogate.

Secondo le indagini, per gestire i passaggi di denaro Palumbo avrebbe utilizzato vari metodi: false fatture emesse da una società da lui fondata, la Omnia 2025 srl, e intestata a un prestanome. Ma Terra, che con la sua testimonianza ha confermato le accuse, ha anche raccontato che Palumbo lo aveva convinto a cedergli il 60 per cento della clinica che amministrava, la Dialeur, per ottenere i pagamenti indebiti sotto forma di utili.

L’indagine, svolta attraverso una serie di intercettazioni, è nata da Antonio Carmelo Alfarone, proprietario di una di queste cliniche, il Rome Medical Group, che aveva a sua volta preso parte al sistema illecito e che poi aveva deciso di denunciare. Il Corriere della Sera ha riportato parte della testimonianza di Alfarone: «Nelle mie cliniche diminuiva l’affluenza dei pazienti dal Sant’Eugenio, mi rivolsi a Palumbo e mi fece intendere che avrei dovuto sborsare delle somme per risolvere il deficit». Nello specifico: l’uso di tre carte di credito, un affitto da 1.600 euro mensili di un appartamento in zona San Pietro, il leasing di due auto e un contratto di consulenza per la compagna di Palumbo specializzanda in microbiologia, per un compenso mensile pari a 2.900 euro. Solo da Alfarone Palumbo avrebbe ricevuto oltre 700mila euro.

L’avvocato di Palumbo, Antonello Madeo, ha difeso il suo cliente dicendo che «stiamo parlando di uno dei principali nefrologi italiani. Grazie alle sue attività, l’ospedale ha guadagnato. Dimostreremo che Palumbo non ha preso alcuna mazzetta. Quelli erano soldi che gli spettavano per sue prestazioni professionali». Palumbo insomma ammette di aver preso dei soldi in nero, e quindi di aver evaso il fisco, ma solo per «non far apparire parte dei suoi guadagni per esigenze fiscali e per ridurre la base di reddito, sulla quale sarebbe stata calcolata la somma dovuta alla ex moglie in sede di divorzio».