San Francisco contro le multinazionali del cibo
La città ha fatto causa ad alcune delle più importanti negli Stati Uniti, accusandole di vendere alimenti dannosi per la salute

La città di San Francisco ha fatto causa ad alcune delle multinazionali alimentari più presenti negli Stati Uniti, accusandole di produrre e vendere alimenti dannosi per la salute delle persone. La causa riguarda in particolare i cosiddetti alimenti “ultraprocessati” o “ultralavorati”, cioè quelli che subiscono numerose lavorazioni e contengono additivi come conservanti, emulsionanti, addensanti e coloranti. Un consumo elevato di questi alimenti è associato a un maggiore rischio di sovrappeso, obesità e di diverse malattie croniche, benché non ci sia ancora un consenso scientifico sui loro eventuali danni per la salute.
È la prima causa di questo tipo presentata da un ente pubblico negli Stati Uniti, e secondo gli esperti potrebbe contribuire sia a indagare ulteriormente gli effetti di questi alimenti sulla salute delle persone, sia a una maggiore regolamentazione del settore.
La causa è stata annunciata martedì in una conferenza stampa da David Chiu, il difensore civico di San Francisco, una sorta di pubblico ministero che agisce in nome e per conto della città. Si rivolge a undici aziende, tra cui Kraft Heinz, General Mills, Coca-Cola, PepsiCo, Mondelēz, Nestlé e WK Kellogg. Chiu ha detto che il consumo di alimenti ultraprocessati comporta problemi di salute e costi enormi per milioni di persone in tutti gli Stati Uniti. Ha poi paragonato il settore alimentare all’industria del tabacco, sostenendo che queste aziende sappiano che i loro prodotti fanno male alle persone, ma nascondano la verità per massimizzare i loro guadagni, senza curarsi delle conseguenze per i consumatori.
I documenti presentati al tribunale di San Francisco accusano le aziende di «pratiche ingannevoli e sleali», che penalizzano soprattutto i bambini e le comunità di persone non bianche a basso reddito. Chiedono un’ordinanza che le obblighi ad adottare misure per evitare queste pratiche, e puntano a ottenere multe e sanzioni, in parte per compensare i costi sanitari sostenuti dal governo locale.
Per il momento le aziende coinvolte non hanno commentato. La Consumer Brands Association, un’associazione di categoria, ha però invitato a fare attenzione a stigmatizzare certi cibi, solo perché sono processati, e sostenuto che il settore si stia impegnando a introdurre alimenti con più fibre e proteine, e meno sale, zuccheri e coloranti artificiali.
Secondo un recente rapporto dei Centers for Disease Control and Prevention, l’organismo federale di controllo della salute pubblica, circa il 55 per cento dell’apporto calorico giornaliero medio negli Stati Uniti è composto da alimenti ultraprocessati. Non sono solo cibi e bevande facilmente riconoscibili come tali, tra cui bibite, patatine e merendine, generalmente poco costose e molto saporite, ma anche certi tipi di prodotti, come pane o burro d’arachidi, che contengono nutrienti salutari ma sono molto raffinati.
Anche il discusso segretario per la Salute statunitense Robert F. Kennedy Jr. fa da tempo pressione sulle aziende alimentari per incentivarle a produrre cibi che considera più sani. Nell’ambito dell’iniziativa che ha chiamato “Make America Healthy Again”, cioè “rendiamo di nuovo sana l’America” (una variante del celebre slogan “Make America Great Again”) ha promesso tra le altre cose di aggiornare la definizione di alimenti ultraprocessati, e ci si aspetta che a breve un’apposita commissione proporrà limitazioni più stringenti per la loro produzione.
Nel frattempo alcuni stati del paese hanno approvato leggi per vietare l’uso di certi coloranti o additivi a livello locale. A ottobre il governatore della California, Gavin Newsom, ne ha firmata una che ha lo scopo di eliminare gradualmente gli alimenti ritenuti potenzialmente più preoccupanti dal sistema delle mense scolastiche.
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