Com’è andata davvero la storia del corso di filosofia rifiutato all’esercito
L'università di Bologna è stata accusata dal governo di averlo fatto per motivi politici, ma è una grossa strumentalizzazione

Negli ultimi giorni l’università di Bologna è stata molto criticata perché ha deciso di non organizzare un corso di filosofia per alcuni allievi ufficiali dell’esercito. Diversi importanti esponenti del governo, tra cui la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, hanno accusato l’ateneo di averlo fatto per motivi politici, travisando e strumentalizzando le ragioni principali della decisione: in realtà alla base di tutto ci sono considerazioni tutt’altro che politiche, come ha ricostruito il Post sulla base delle testimonianze di alcuni professori (lo ha ribadito anche l’università dopo che il caso è diventato oggetto di dibattito politico). C’entrano soprattutto le caratteristiche del corso, incompatibili con le poche risorse, e la carenza di fondi e personale a disposizione dell’università.
La storia è iniziata prima dell’estate, quando il generale Carmine Masiello, capo di Stato maggiore dell’Esercito, ha chiesto all’università di Bologna di creare un corso di laurea in filosofia per circa 15 alunni dell’accademia militare di Modena. Tra l’università e l’accademia ci sono già da molti anni accordi didattici in base ai quali agli allievi sono riservati alcuni posti in certi corsi: questa volta però sarebbe stato diverso, perché era stato chiesto di organizzare un intero corso di laurea. Le lezioni sarebbero state tenute dai professori del dipartimento di filosofia e non nelle aule dell’università di Bologna, ma a Modena, direttamente all’interno dell’accademia.
Si sarebbe trattato, dice un professore, di una modalità del tutto insolita per l’Università di Bologna: in altri accordi fatti con caserme dei carabinieri o della guardia di finanza, per esempio, le lezioni si svolgono comunque in sede. In cambio, l’accademia di Modena proponeva di finanziare con circa 8mila euro i contratti dei docenti.
La decisione di attivare o meno il corso spettava al dipartimento di filosofia, che prima di tutto avrebbe dovuto valutarne la fattibilità anche in base ai costi e alla disponibilità dei docenti. Se ne sarebbe dovuto parlare in una riunione del consiglio di dipartimento, un organo universitario che organizza e coordina le attività dei diversi corsi di laurea, e di cui fanno parte docenti, rappresentanti di studenti e del personale tecnico amministrativo.
Già prima del consiglio la posizione degli studenti era piuttosto netta: i collettivi universitari si erano opposti alla creazione del corso, interpretandolo come una forma di sostegno al riarmo e alle guerre in corso in Ucraina e nella Striscia di Gaza. La proposta del corso, in generale, arrivava in un momento particolarmente delicato nei rapporti tra l’ateneo e i movimenti studenteschi: poche settimane prima, durante le manifestazioni per la Global Sumud Flotilla, gli studenti avevano occupato il dipartimento di scienze politiche e avevano chiesto all’università di interrompere ogni rapporto con Israele.
La posizione dei collettivi contro l’esercito è stata attribuita dagli esponenti del governo anche all’università, ma l’ateneo non l’ha mai sostenuta. Tra i professori, infatti, erano state fatte riflessioni diverse. Il corso avrebbe permesso di portare la filosofia in un ambiente come quello dell’esercito che, come ha detto lo stesso Masiello, nello stereotipo viene percepito come molto lontano dagli studi culturali e umanistici. Allo stesso tempo, però, realizzarlo avrebbe significato togliere tempo e aggiungere un impegno ai professori per tenere un corso praticamente a domicilio, e per pochissimi alunni: una soluzione poco sostenibile per l’università, visto che i professori sono già pochi in rapporto al numero di studenti, e per questo spesso in affanno.
Quando poi il 23 ottobre si è svolto il consiglio di dipartimento, gli studenti hanno organizzato un presidio e interrotto la riunione. A quel punto il direttore di dipartimento, il professore Luca Guidetti, ha deciso di non proseguire la discussione e ha inviato un’email in cui spiegava che non c’erano più «le condizioni materiali e formali per portare avanti il progetto».
La polemica contro l’università però è iniziata solo sabato scorso, quando durante un evento organizzato a Bologna il generale Masiello ha detto che l’ateneo si era rifiutato di organizzare il corso «per timore di militarizzare l’università», appiattendo quindi tutte le ragioni della decisione sulla sola posizione degli studenti. Privata di tutto il contesto, la scelta dell’università di Bologna viene presentata in modo molto parziale e sembra mossa solo da ragioni politiche: la destra ci ha visto subito un’occasione facile per attaccare una generica “sinistra”, in questo caso rappresentata dai collettivi studenteschi, accettando la versione del generale Masiello senza tanti approfondimenti.
Così la ministra dell’Università Anna Maria Bernini ha parlato di una decisione «discutibile», mentre il ministro della Difesa Guido Crosetto ha accusato i professori di aver rifiutato gli stessi ufficiali che potrebbero difenderli in futuro. Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, invece, ha detto che un’università non può essere gestita come una sezione di partito. Infine è intervenuta anche Meloni, e in modo piuttosto pesante: secondo lei la decisione sarebbe «un gesto lesivo dei doveri costituzionali che fondano l’autonomia dell’Università».
Meloni ha anche parlato di pregiudizi ideologici da parte dell’ateneo e l’ha accusato di aver messo in discussione il ruolo delle forze armate. Poi ha portato il discorso su un altro piano, sottolineando l’importanza di una formazione umanistica, e non solo tecnica, per gli ufficiali e condannando «ogni tentativo di isolare, delegittimare o frapporre barriere ideologiche» a questo tipo di progetti.
In un primo momento il rettore dell’università, Giovanni Molari, aveva detto che era stata una scelta autonoma del dipartimento di filosofia, il cui direttore aveva preferito non commentare. Dopo la reazione di Meloni, però, l’ateneo ha pubblicato un comunicato ufficiale, in cui spiega di non aver mai negato o rifiutato l’iscrizione a nessuna persona e che chiunque, anche i membri delle forze armate, possono iscriversi liberamente ai corsi.
L’ateneo non ha spiegato esplicitamente i motivi della mancata attivazione del corso presso l’accademia, ma ha ricordato che farlo avrebbe richiesto un «significativo fabbisogno didattico» e risorse economiche che andavano ben oltre i costi dei contratti dei professori che l’accademia si era offerta di pagare. Intanto però la polemica è proseguita: lunedì la ministra Bernini ha fatto visita all’accademia di Modena e ha garantito che il corso di filosofia si farà comunque, grazie al supporto di altre università dell’Emilia-Romagna.



