Non è più obbligatorio dare un bacio a zia

La sensibilità comune sul contatto fisico richiesto o imposto tra adulti e bambini è cambiata, per la pandemia ma non solo

Una bambina piccola piange vicino a una signora adulta che cerca di rincuorarla
(Harold M. Lambert/Lambert/Getty Images)
Caricamento player

«Dai un bacio alla zia» è il tipo di frase che chiunque ricorda di aver sentito almeno una volta nella vita. E se non era la zia, erano nonni, altri parenti o amici di famiglia: persone, non per forza intime, che spesso si avvicinano ai bambini piccoli con naturalezza e cercando il contatto fisico. Vale anche per i neonati, spesso accarezzati amorevolmente e con trasporto da quelle persone, a volte nell’imbarazzo dei neogenitori.

Da tempo la sensibilità comune verso questi comportamenti affettuosi è cambiata. Toccare mani e piedi ai neonati, sbaciucchiarseli o avvicinarseli al volto, per quanto affettuoso, è un gesto sempre più spesso riservato a parenti stretti, e a volte nemmeno a quelli. In molti altri casi o è silenziosamente tollerato, o esplicitamente disincentivato dai genitori, tramite allusioni o richieste che possono anche suonare antipatiche o scortesi.

La predisposizione negativa verso baci e abbracci a neonati e bambini è in parte un’eredità della pandemia. Le misure straordinarie adottate allora per limitare i contagi hanno avuto in generale, tra gli effetti duraturi, un aumento delle attenzioni abituali ai rischi igienico-sanitari di ogni contatto fisico non strettamente necessario, tanto più con soggetti percepiti come più vulnerabili. Per limitare questi rischi, nei reparti di pediatria di alcuni ospedali, capita di vedere esposti avvisi che vietano esplicitamente di dare baci ai pazienti.

Alla base della tendenza attuale a limitare il contatto fisico con i bambini c’è però anche un’altra motivazione, precedente la pandemia, e discussa anche in altri paesi. Ne ha scritto di recente anche l’Atlantic. Oltre alle preoccupazioni di tipo sanitario sono aumentate le attenzioni a evitare che baci e abbracci a persone adulte poco familiari possano essere percepiti dai figli piccoli come un’imposizione o una costrizione.

– Leggi anche: Attenti, col solletico

La costrizione può essere fisica, ma anche psicologica. A fronte della riluttanza di alcuni bambini ad abbracciare o baciare un parente mai visto prima, o frequentato raramente, può capitare per esempio di sentire frasi come «Se non la abbracci, la zia piange». Ma rispetto a prima c’è una maggiore attenzione agli effetti psicologici che anche queste espressioni colpevolizzanti possono avere nello sviluppo dei bambini.

Le attenzioni di questo tipo provengono principalmente dai genitori. È una tendenza emersa all’interno di un modello di «genitorialità gentile» che si è affermato in anni recenti e da prima della pandemia, dice Valentina Tobia, professoressa di psicologia dello sviluppo all’Università Vita-Salute San Raffaele a Milano. Chi si ispira a questo modello prende molto in considerazione, tra le altre cose, il rispetto del bambino come agente autonomo e il rischio che il contatto fisico possa essere associato a una forma di imposizione.

Molto dipende dalle circostanze dell’interazione e dal contesto culturale, anche. In Italia il contatto fisico è molto presente nei saluti, e quindi baci e abbracci fanno parte di comportamenti normali che i bambini osservano di frequente fin da piccoli. Proprio perché è un tipo di contatto connotato da un significato culturale, non risulta minaccioso: nemmeno ai bambini, spiega Tobia, se sono abbastanza grandi da coglierne l’aspetto sociale e culturale.

Il fatto che salutarsi con trasporto sia normale, tra parenti e amici, porta alcune persone – soprattutto delle generazioni più vecchie – a trovare esagerate ed eccessive le preoccupazioni di certi genitori riguardo al disagio dei bambini nel contraccambiare i saluti degli adulti. Ma è vero anche che quelle attenzioni provengono sempre più spesso, oltre che dai genitori, anche dagli altri adulti che si trovano a interagire con i bambini: la sensibilità è cambiata anche dal loro punto di vista. Rispetto a prima, insomma, molte persone si fanno più problemi ad abbracciare con trasporto i figli di amici e parenti, o comunque non pretendono né si aspettano da loro baci e abbracci.

«L’aspetto chiave è il tipo di legame», spiega Tobia. Il disagio dei bambini è facilmente comprensibile se il contatto fisico o la richiesta di contatto fisico proviene da persone non intime, parenti che magari vedono una o due volte l’anno. Ed è normale che il contatto fisico imposto possa risultare non gradito con una persona con cui il bambino non ha una relazione. Il che non significa che baci e abbracci siano tutto sommato una parte sacrificabile di qualsiasi interazione: sono anzi fondamentali, nelle relazioni in cui una certa familiarità pregressa li rende appropriati, spontanei e reciproci.

– Leggi anche: Fare i bulli con i propri figli è un metodo educativo?

Non ci sono ancora studi specifici e approfonditi sulla percezione che i bambini hanno del contatto fisico non richiesto e sporadico con parenti distanti. Esiste invece un’ampia letteratura scientifica sui benefici del contatto fisico nelle relazioni affettive in generale. È una forma di comunicazione non verbale che permette di esprimere emozioni primarie, influenza i livelli di diversi neurotrasmettitori associati a stati emotivi positivi, e riduce i conflitti interpersonali.

Ma sono effetti che valgono appunto «all’interno del legame di attaccamento, che sia con i nonni, con gli zii o con altre figure con cui il bambino ha una relazione», chiarisce Tobia. L’attenzione al rischio che il contatto fisico sia percepito come un’imposizione è una questione che si pone invece quando il contatto è sporadico e imposto, esplicitamente o subdolamente, al di fuori di una relazione significativa.

Anche il carattere del bambino è un fattore, aggiunge Tobia. Ce ne sono tantissimi che abbracciano volentieri e spontaneamente anche persone a loro estranee, in diversi contesti, e altri che invece sono infastiditi o imbarazzati dalle richieste di abbracci. Anche l’attenzione al carattere di ciascun bambino rientra in una generale tendenza contemporanea a comprenderli e rispettarli come individui, e non come una generica e indistinta categoria.