• Media
  • Sabato 29 novembre 2025

Perché il contratto dei giornalisti è fermo al 2016

Gli editori e il sindacato dei giornalisti hanno posizioni molto lontane su come modificarlo: è la ragione dello sciopero nazionale che si è tenuto venerdì

La redazione di Radio Popolare, a ottobre 
(Claudio Furlan/LaPresse)
La redazione di Radio Popolare, a ottobre (Claudio Furlan/LaPresse)
Caricamento player

Il motivo che ha portato venerdì 28 novembre i giornalisti di molti giornali italiani a scioperare (compresa la redazione del Post) è il mancato rinnovo del contratto collettivo nazionale, che come ogni contratto di categoria definisce le condizioni minime del rapporto di lavoro come stipendio, orari e tutele di base.

Il contratto nazionale dei giornalisti è scaduto nel 2016, e sebbene in Italia sia molto comune che i dipendenti lavorino con un contratto oltre scadenza, lo è molto meno che passi così tanto tempo: in media si arriva a circa due anni e mezzo di ritardo, e quasi dieci anni senza un rinnovo significa non solo che gli stipendi sono fermi da allora, ma anche che quello dei giornalisti è un contratto che regola in maniera anacronistica un settore che nel frattempo è molto cambiato.

Ci sono diversi motivi per cui si è arrivati a questo punto. La crisi mondiale del settore e il fatto che nei giornali italiani girino sempre meno soldi è evidentemente il più rilevante. Ma c’entra anche la grande distanza tra le posizioni degli editori – cioè di chi possiede i giornali – e del sindacato unitario dei giornalisti, che talvolta si è arroccato a difendere garanzie previste per i giornalisti più anziani scegliendo di proteggere loro anziché le prerogative dei colleghi più giovani.

Nei primi anni successivi alla scadenza il sindacato unitario dei giornalisti – la FNSI, la Federazione Nazionale Stampa Italiana – ha di fatto temporeggiato nelle trattative con la FIEG, la Federazione Italiana Editori Giornali, che raggruppa le aziende giornalistiche italiane più grandi e influenti. La posizione degli editori era sempre la stessa: coi giornali si fanno sempre meno soldi, e se il contratto va rivisto deve prevedere un alleggerimento del costo del lavoro. Il che avrebbe significato per esempio ridurre gli avanzamenti automatici di carriera, gli scatti di anzianità, il pagamento di straordinari, festivi, turni di lavoro notturno, tredicesime, e così via.

Il contratto dei giornalisti prevede condizioni in certi casi piuttosto generose, soprattutto negli scatti di anzianità, concordate in anni in cui i giornali rendevano molto di più. E in un generale mercato del lavoro già molto tassato condivide con altri settori, ben più ricchi, alcune tutele vetuste, come per esempio il pagamento tramite permessi retribuiti di festività abolite da decenni.

Il risultato è una grossa distorsione nel settore: gli editori non vogliono assumere giornalisti, anche per via di questi contratti molto onerosi, e quindi usano spesso in maniera spregiudicata e sovrestesa i contratti di collaborazione (che però non prevedono le stesse tutele dei colleghi assunti regolarmente). Dall’altra parte i sindacati sono tradizionalmente molto restii nel cedere tutele e garanzie previste da decenni.

Le trattative sono rimaste in stallo per anni, fino a che è arrivata una grave urgenza per il rinnovo: l’inflazione degli ultimi anni, innescata dalla pandemia e dalla guerra in Ucraina.

La manifestazione nazionale del FNSI, a Roma, il giorno prima dello sciopero del 28 novembre (ANSA/MAURIZIO BRAMBATTI)

Dal 2021 in Italia c’è stato un aumento del costo medio della vita di quasi il 20 per cento. Per chi ha un reddito fermo da anni ha rappresentato un problema più che per gli altri, e dunque nell’ultimo anno e mezzo le trattative per il rinnovo del contratto dei giornalisti erano ripartite.

Rinnovare un contratto però non significa solo adeguare gli stipendi, ma anche aggiornarne le condizioni generali per tenere conto di un settore che è cambiato: non include per esempio professionalità che nel frattempo sono diventate rilevanti, come i social media manager o i fact-checker, mentre prevede figure che praticamente non esistono più, come i dimafonisti, coloro a cui i corrispondenti dettavano il testo dell’articolo e che sono ancora inquadrati col contratto dei poligrafici. L’ultimo rinnovo complessivo del contratto è stato nel 2009, e l’ultima versione fu negoziata nel 2013, quando però cambiarono di fatto solo le condizioni economiche: dal punto di vista qualitativo il contratto è fermo di fatto da sedici anni.

Anche perché c’era molto di cui discutere, sindacato ed editori si erano accordati per tenere separate le trattative sugli aspetti qualitativi e quelle sugli aspetti economici, queste ultime considerate più urgenti. Negli ultimi mesi c’è stato uno scambio di proposte per un accordo “ponte” sugli stipendi, in attesa di un rinnovo complessivo: da una parte il sindacato chiedeva il pieno recupero dell’inflazione, cioè un aumento medio di 410 euro lordi al mese; dall’altra gli editori hanno risposto offrendo meno della metà, e chiedendo di rimettere mano ad alcune tutele a loro dire costose, rivedendo in peggio (per i giornalisti) gli inquadramenti contrattuali, e il pagamento di straordinari e festivi, per esempio.

Gli editori hanno chiesto di adottare questi nuovi tipi di contratto con molte meno tutele solo per le nuove assunzioni, quindi per chi inizia a fare questo mestiere e per chi cambia azienda nel corso della propria carriera. Il sindacato l’ha giudicata una proposta irricevibile – sostenendo che di fatto gli editori non si impegnavano a mettere più soldi, ma ad aggiungerli ad alcuni e toglierli ad altri – e ha indetto lo sciopero.