In Italia ormai gli studentati a prezzi accessibili sono rarissimi
Sempre più strutture sono gestite da privati perché gli enti locali non hanno le risorse per farlo (e il PNRR?)

A fine settembre è stato inaugurato il nuovo Villaggio Olimpico di Milano, costruito nell’area dell’ex scalo ferroviario di Porta Romana, a sudest del centro: ospiterà gli atleti delle Olimpiadi invernali del 2026 e, una volta terminati i giochi, verrà convertito in uno studentato, cioè una residenza per studenti universitari, da 1.700 posti letto. È un progetto ambizioso, dato che se tutto filerà liscio diventerà lo studentato convenzionato più grande in Italia: “convenzionato” significa che le sue tariffe sono oggetto di un accordo con un ente pubblico o con un’università (in questo caso, il comune di Milano).
Eppure nonostante sia convenzionato con il comune le tariffe che proporrà saranno piuttosto alte. Le ha pubblicate Coima, diventata nota negli ultimi mesi anche al di fuori di Milano perché è una delle aziende più coinvolte nelle inchieste sull’urbanistica in città. Prevedono 1.065 euro al mese per le stanze singole e 739 euro per le doppie: cifre che includono le utenze e alcuni servizi come il cambio biancheria e le pulizie settimanali.
Nell’ultima versione del progetto, e dopo molte polemiche, Coima ha annunciato che 450 posti saranno disponibili a tariffa calmierata a un costo mensile di 592 euro. Parliamo di circa 7mila euro all’anno: un costo difficilmente sostenibile per una famiglia a basso reddito.
Interventi simili a quello di Porta Romana sono aumentati molto negli ultimi anni, in particolare nelle grandi città universitarie. È diventato sempre più frequente che edifici abbandonati o senza un uso definito vengano trasformati in residenze studentesche.
Una volta strutture del genere erano gestite da enti pubblici, sempre più spesso invece oggi la riqualificazione e la gestione vengono affidate a investitori privati o fondazioni: perché hanno soldi e competenze che il pubblico non ha, perché i tempi per costruire spesso sono stretti – tutti i progetti previsti dal PNRR devono concludersi nel 2026, per esempio – e perché in sostanza è meno faticoso affidarsi a un soggetto privato per progetti del genere. Non è sempre stato così.

Uno studentato moderno a Francoforte, in Germania (Michael Brandt/dpa)
Per molto tempo l’offerta di alloggi universitari nelle grandi città italiane è stata quasi esclusivamente composta dalle strutture convenzionate con le singole università, pensate soprattutto per gli studenti con minore disponibilità economica. Tutti gli altri si arrangiavano nel mercato privato, che riusciva comunque a soddisfare la domanda a prezzi relativamente stabili.
Le cose hanno cominciato a cambiare quando una parte rilevante degli appartamenti normalmente affittati agli studenti è stata assorbita dal mercato degli affitti brevi, cresciuti rapidamente in molte città. Improvvisamente è diventato molto più conveniente affittare una stanza ai turisti su una delle varie piattaforme esistenti che fare contratti di due-tre anni a degli studenti. Nel frattempo a livello nazionale si è smesso o quasi di costruire nuove case, tutto questo mentre le grandi città continuano ad attirare persone da fuori (soprattutto Milano e Roma).
E quindi? Le case a disposizione degli studenti sono diventate sempre di meno, e di conseguenza le poche disponibili costano molto di più rispetto agli anni scorsi.
Nel 2023 la questione abitativa studentesca diventò un argomento di interesse nazionale dopo che una studente del Politecnico di Milano, Ilaria Lamera, piantò una tenda nel giardino antistante la sede di piazza Leonardo da Vinci, nella zona est della città. La sua iniziativa diede avvio a una mobilitazione che durò mesi e si estese a varie città italiane, denunciando l’aumento dei prezzi degli affitti nelle città universitarie.

Ilaria Lamera davanti al Politecnico di Milano in una foto scattata il 4 maggio 2023 (ANSA/MATTEO CORNER)
La combinazione dei fattori che abbiamo descritto sopra, unita alla pressione delle proteste, ha reso urgente trovare dei posti per gli studenti: il governo e gli enti locali hanno deciso di risolvere questo problema affidandosi soprattutto ai privati e ai fondi immobiliari.
La società dei Paesi Bassi The Social Hub, che gestisce una catena di alberghi che svolgono anche funzione di studentato, a febbraio ha inaugurato un enorme albergo-studentato a Firenze, e nel 2026 ne aprirà uno a Torino da 500 posti. Hines, una delle più grandi società immobiliari al mondo, ha investito pesantemente nella costruzione di diversi studentati a Milano.
Roma sta per riempirsi di studentati privati, come raccontiamo qui. A Torino, Venezia e Catania è attiva da molti anni Camplus, uno dei principali gestori privati di residenze universitarie in Italia, che per certi versi è stata precorritrice del modello attuale: strutture costruite o riconvertite grazie a fondi statali o europei e poi affidate alla gestione di un soggetto privato. Attualmente ne gestisce diverse decine.
– Leggi anche: Roma si riempirà di studentati privati
Le residenze di Camplus tendono ad avere prezzi più bassi rispetto agli studentati considerati di fascia alta, ma restano comunque distanti sia dalle tariffe delle residenze universitarie pubbliche sia dal mercato medio degli affitti nelle città in cui si trovano. A Verona per esempio una stanza singola costa un minimo di 740 euro al mese, a Palermo circa 900 euro. Grazie alla sua posizione dominante è diventata uno dei principali beneficiari dei fondi del PNRR destinati ad aumentare i posti letto per studenti.
Nel febbraio del 2024 il ministero dell’Università del governo Meloni ha provato infatti a intervenire sulla vicenda indirizzando fondi del PNRR nella costruzione di studentati. La ministra Anna Maria Bernini disse che la creazione di posti letto per gli studenti universitari era un «tema prioritario del governo». Esistevano già leggi precedenti che sollecitavano la costruzione di studentati, come la legge 338 del 2000, ma i tempi di realizzazione erano troppo lunghi per gli obiettivi fissati dall’Unione Europea. Nel frattempo molti investitori immobiliari, che si stavano già muovendo da qualche anno sul mercato italiano, hanno cominciato a considerare la crescente domanda di alloggi per studenti come un’occasione.
Gli investimenti del PNRR hanno previsto circa 1,2 miliardi di euro destinati a enti pubblici e privati per aumentare i posti letto disponibili. Non sono fondi per costruire direttamente gli studentati, ma per la loro gestione, in modo da convincere i vincitori dei bandi a mettere loro i soldi necessari per la costruzione o ristrutturazione degli edifici. I fondi del PNRR offrono infatti un sussidio fisso di 19.966 euro per posto letto messo a disposizione nei nuovi studentati. L’obiettivo era aggiungere 60mila posti letto entro il 2026.
Il ministero stabilì un massimo di due anni per individuare gli immobili, fare i bandi, avviare i lavori e completare le strutture: troppo pochi per il settore pubblico. «Per un ente pubblico è obiettivamente difficile completare tutte queste fasi entro il 2026» ha spiegato Emilio Di Marzio, presidente dell’Adisurc, l’Azienda per il diritto allo studio universitario della regione Campania. Così al bando hanno partecipato soprattutto soggetti privati: solo il 5 per cento delle domande è provenuto dal settore pubblico. Secondo Di Marzio il piano ha comunque prodotto almeno un effetto positivo, perché il 30 per cento dei posti letto introdotti dovrà essere destinato agli studenti più meritevoli anche se privi di mezzi: un vincolo che dovrà valere per almeno dodici anni.
Nonostante alcuni paletti, il bando ha ingolosito molti investitori privati: anche perché per i primi tre anni le spese sono coperte interamente dal ministero.
Oltre a Camplus, un altro grande gestore di studentati che ha beneficiato in modo significativo del bando è CampusX, che ha creato quasi duemila posti letto distribuiti in cinque strutture usufruendo del bando PNRR. Per realtà come CampusX, il bando risulta particolarmente conveniente: oltre ai finanziamenti pubblici, gli obblighi tariffari riguardano solo il 30 per cento dei posti offerti. Per tutti gli altri, il bando prevede semplicemente che «i soggetti gestori applichino agli studenti tariffe ridotte almeno del 15% rispetto al valore medio di mercato». Il punto è capire cosa si intenda esattamente per “valore medio di mercato”. La definizione può variare notevolmente a seconda del segmento preso come riferimento. Se si guarda agli studentati privati, che offrono servizi aggiuntivi e presentano prezzi mediamente molto più alti, la media di mercato risulterà elevata; se invece si considerano le residenze pubbliche o convenzionate, le cifre scendono drasticamente.
Osservando il piano tariffario pubblicato da CampusX sembra evidente che sia stata adottata la prima interpretazione, cioè quella basata sui prezzi degli studentati privati. Basti confrontare i numeri: il piano prevede un costo minimo di 425 euro al mese per una camera doppia a Bari, mentre a Firenze la stessa stanza costa fino a 670 euro al mese. Cifre che fanno pensare che la riduzione del 15 per cento sia stata calcolata su una media di mercato già molto alta. Il risultato è che il prezzo finale, pur tecnicamente “calmierato”, rimane comunque lontano dai livelli delle strutture pubbliche o delle soluzioni abitative davvero accessibili.
La città forse più coinvolta dall’intero piano è Milano, il polo universitario italiano più in espansione dal punto di vista demografico e urbanistico.
La ricercatrice del Politecnico di Milano Alice Ranzini, che con Francesca Cognetti ha curato una ricerca recente sull’offerta di casa accessibile a Milano, dice che per i finanziatori privati oggi è persino ulteriormente vantaggioso costruire studentati a Milano, per una ragione che riguarda le norme urbanistiche locali.
«Con la revisione del piano di governo del territorio del 2012 e poi del 2019 l’edilizia universitaria è stata inserita come possibile forma di edilizia residenziale sociale (ERS), che i privati sono tenuti a produrre quando intervengono su aree di grandi dimensioni», dice Ranzini. In sostanza: al posto di riservare alcuni appartamenti da vendere o affittare a canone più basso, i costruttori possono scegliere di costruire e gestire degli studentati.
Secondo Ranzini però a Milano la normativa sugli alloggi per studenti in ERS è «molto lasca», rispetto per esempio agli appartamenti da lasciare a canone concordato. Per esempio «l’edilizia universitaria non è regolata da parametri stringenti rispetto ai costi finali per l’utenza, che sono stabiliti in sede di negoziazione tra pubblico e privato attraverso la sottoscrizione di una convenzione urbanistica». Tradotto: non ci sono paletti fissi per cui l’affitto di una camera singola in uno studentato debba costare una cifra X, ma i canoni vengono concordati di volta in volta fra privato e pubblico.
«Questo “vuoto” di regolamentazione rischia di fare passare l’idea che la residenza universitaria sia una tipologia abitativa sociale di per sé», dice Ranzini. Che in sostanza sia positiva a prescindere dai costi che impone agli studenti.
Più in generale secondo Elena Granata, che insegna Analisi della città e del territorio al Politecnico di Milano, la gestione pubblica della crisi abitativa degli studenti avrebbe potuto seguire strade molto diverse da quelle prese negli ultimi anni. «Si potevano fornire sostegni diretti agli studenti, attraverso contributi economici per l’affitto per chi vive lontano da casa», dice. Oppure «incentivi ai proprietari privati, così da spingerli a mettere a disposizione appartamenti a prezzi calmierati». O ancora programmi di ospitalità diffusa, famiglia per famiglia, del tipo “adotta uno studente”.
Accanto a queste soluzioni, Granata sottolinea che esisteva anche un’opzione più strutturale, incentrata sulla valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico. Le amministrazioni avrebbero potuto intervenire sugli immobili sfitti, molto numerosi nelle grandi città italiane, che restano vuoti perché poco convenienti da affittare. Invece hanno scelto di appoggiarsi quasi solo ai privati per trovare rapidamente posti letto. In altri paesi europei, osserva Granata, accade l’esatto contrario: la gestione degli studentati rimane in mano pubblica, mentre il contributo del privato resta complementare.
La mancanza di alternative strutturali ha portato a una forma di «gentrificazione studentesca», sostiene Granata: cioè un processo che crea disuguaglianze ancora prima che gli studenti e le studenti entrino nel mercato del lavoro. «Nelle città dove si concentrano le università migliori, come Milano, arrivano e restano solo gli studenti che possono permettersi affitti elevati. In questo modo non conta più il merito o il talento, solo la disponibilità economica».



