I necrologi di Carlo Antonelli e Luca Guadagnino sono diventati un genere letterario

Quando muore una celebrità ormai c'è chi aspetta il ricordo del giornalista e del regista sul Corriere della Sera

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Da alcuni anni sulle pagine dei necrologi del Corriere della Sera si è definita una consuetudine contenuta nelle dimensioni e molto saltuaria nella frequenza, ma che col tempo ha attirato sempre più attenzioni fino a diventare, a suo modo, un piccolo genere letterario.

In occasione delle morti di alcune celebrità italiane e straniere il regista Luca Guadagnino e il giornalista e produttore cinematografico Carlo Antonelli, amici e collaboratori da molto tempo, hanno discretamente firmato dei testi in certi casi spiritosi, a volte con velleità poetiche, spesso affettuosi, che finiscono in mezzo ai molti altri pubblicati a pagamento nella pagina dedicata. Da lì puntualmente qualcuno li pubblica sui social network, dove vengono poi ricondivisi e commentati.

Martedì ne hanno pubblicati due identici, dedicati ad Alice ed Ellen Kessler, nate insieme e morte nello stesso modo 89 anni dopo. Dicevano: «Forse questo è l’unico spazio in cui sei mai stata da sola».

In occasione della morte di Silvio Berlusconi, Antonelli e Guadagnino avevano raccontato una passeggiata celebrativa per Milano 2 (il quartiere residenziale costruito dalla sua società immobiliare) e millantato una giornata di giochi immaginari dedicati ad alcune note vicende che avevano coinvolto l’ex presidente del Consiglio. Per il regista francese Jean-Luc Godard scrissero: «Muore il futuro. Si chiamava, si chiama, si chiamerà Jean Luc Godard». Per lo stilista Giorgio Armani esordirono scrivendo «questo piccolo rettangolo di carta è in realtà un universo a forma di parallelepipedo con pareti di diverse sfumature di grigio e sabbia».

Non escono per ogni celebrità che muore, ma siamo arrivati al punto per cui in molti casi i lettori più attenti se li aspettano. Guadagnino, regista di vari film tra cui Chiamami col tuo nomeChallengers, ha detto di recente che saranno raccolti in un libro pubblicato dalla casa editrice Sellerio.

I necrologi sono annunci a pagamento che hanno una sezione apposita sui giornali, e normalmente vengono pubblicati dai familiari di una persona morta per dare la notizia, oppure da amici o colleghi per partecipare al suo ricordo con qualche parola sobria e affettuosa. Le formule e le espressioni scelte peraltro sono più o meno sempre le stesse. E quando muore una persona nota, sul quotidiano di riferimento – il Corriere della Sera per chi ha rilevanza nazionale, i giornali locali per chi è importante in una certa città o in una certa regione – escono molti necrologi pubblicati da persone e organizzazioni diverse, motivati dall’affetto ma in certi casi – quando muoiono politici o industriali – anche da convenienze e interessi.

Esiste anche una tradizione di necrologi arguti, spiritosi e letterari, ma quelli di Guadagnino e Antonelli sono un caso piuttosto unico perché riguardano persone con cui i due non avevano necessariamente un rapporto – ne scrissero uno per la regina Elisabetta II, per dire – e perché sono ormai una specie di rubrica, anche se esce ovviamente senza una cadenza fissa.

Antonelli e Guadagnino hanno cominciato a scrivere necrologi saltuariamente dal 2020 e lo fanno solo quando sono molto colpiti dalla morte di qualcuno. Il primo uscito sul Corriere della Sera era dedicato al designer Enzo Mari, il 19 ottobre 2020, e rispetto ai successivi era piuttosto sobrio.

Il giorno successivo alla morte di Mari, il 20 ottobre 2020, arrivò la notizia della morte della sua compagna, la critica d’arte Lea Vergine, che era stata amica di Antonelli e Guadagnino. I due decisero di pubblicare un altro necrologio, questa volta più lungo e creativo, ma sempre serio. Antonelli racconta che vollero trasmettere «l’affetto pazzesco» che provavano per lei, ricordando i pranzi che teneva a casa sua, a cui era capitato loro di partecipare.

Fu dopo la pubblicazione del secondo necrologio che Antonelli e Guadagnino si resero conto che quello che stavano occupando era uno «spazio libero non utilizzato per altri scopi e perfetto per fare scrittura». Ovvero uno spazio in cui potevano dire «quello che volevano» e potevano godere di un «pubblico molto alto».

Antonelli, che ha una lunga carriera di giornalista e direttore di giornali come Wired, GQ e Rolling Stone, spiega di trovare interessante il ricorso al necrologio perché funziona all’inverso rispetto alle piattaforme social, dove chiunque può scrivere un pensiero e qualche parola di commiato per un morto famoso. Con i loro necrologi invece sono Antonelli e Guadagnino a «pagare per scrivere un post», e hanno accesso a un pubblico selezionato e ampio, quello dei lettori di quella pagina del Corriere della Sera.

Da quando hanno cominciato i due hanno scritto sulla regina Elisabetta, raccontandone i completi color pastello, su Raffaella Carrà, definendola una «compagna umanista» e dicendo che aveva lasciato la terra per partire per «universi paillettati», o ancora su Robert Redford, a cui hanno augurato: «riposi nel suo adorato denim in pace».

Uno dei necrologi più ricordati è quello che pubblicarono in occasione della morte dell’ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, che è anche quello che Antonelli si è divertito di più a scrivere. Il necrologio fu diviso in due parti, una pubblicata il giorno dopo la morte di Berlusconi e l’altra due giorni dopo. Per scrivere il primo Antonelli andò a Milano 2, fornendone una descrizione che nelle intenzioni non era ironica, «sebbene il personaggio si prestasse facilmente», dice.

I loro necrologi sono diventati piuttosto attesi, una cosa che per Antonelli è un po’ «fastidiosa» perché il loro processo di scrittura è caratterizzato da spontaneità, rapidità e una profonda intesa derivante da una lunga amicizia. «Deve esserci subito un’intuizione di fondo e il processo di scrittura non può durare molto, massimo mezz’ora».

Di solito è Antonelli che scrive: dopo aver fatto un veloce confronto con Guadagnino procede con la stesura. Qualche anno fa, mentre Antonelli si trovava in una libreria di Milano, i commessi del negozio lo hanno fermato facendogli i complimenti perché con i necrologi aveva inventato un nuovo genere letterario. Antonelli non ci aveva mai pensato, ma dice che se fosse così «sarebbe molto bello e darebbe un ulteriore valore alla loro scrittura».