• Mondo
  • Giovedì 13 novembre 2025

Il primo ministro al Sudani ha vinto le elezioni in Iraq, ma ci sono molti “ma”

La sua coalizione non ha la maggioranza per governare, e non è detto sarà confermato nell'incarico

Un uomo a Baghdad mostra uno striscione con il primo ministro Mohammed Shia al Sudani, dopo l'annuncio dei risultati preliminari delle elezioni in Iraq (REUTERS/Ahmed Saad)
Un uomo a Baghdad mostra uno striscione con il primo ministro Mohammed Shia al Sudani, dopo l'annuncio dei risultati preliminari delle elezioni in Iraq (REUTERS/Ahmed Saad)
Caricamento player

Secondo i risultati preliminari, ma comunque affidabili, in Iraq la coalizione sciita dell’attuale primo ministro Mohammed Shia al Sudani ha vinto le elezioni, risultando la più votata in 8 province su 18. Nessuna forza politica o coalizione ha però i voti necessari per governare da sola: come succede quasi sempre nel paese, la formazione del governo sarà il risultato di una lunga trattativa fra le forze politiche e le diverse componenti etniche e religiose a cui fanno riferimento, ossia principalmente quella sciita, quella sunnita (i due rami principali dell’Islam) e quella curda.

Le elezioni si sono svolte martedì per rinnovare i 329 seggi del parlamento unicamerale del paese. I risultati non sono stati particolarmente sorprendenti e hanno confermato il quadro attuale, nonostante la diffusa corruzione e uno sviluppo del paese che procede molto lentamente. Le élite politiche hanno però da tempo creato una profonda struttura clientelare ed è opinione diffusa che anche queste elezioni siano state condizionate da un consistente traffico di voti comprati.

Uno schermo annuncia i risultati con una foto del primo ministro al Sudani (AP Photo/Hadi Mizban)

La politica irachena è poi fortemente condizionata dagli opposti interessi di Iran e Stati Uniti. L’Iran finanzia milizie molto influenti nel paese, tra cui Kataib Hezbollah, la più potente e considerata un’organizzazione terroristica dagli Stati Uniti. Alcune si sono presentate alle elezioni con proprie liste, che hanno ottenuto successi locali ed eletto alcuni rappresentanti. Gli Stati Uniti vorrebbero la dissoluzione delle milizie, ma questo potrebbe mettere a rischio una situazione politica e sociale già fragile. Il primo ministro al Sudani cerca invece di presentarsi come un politico capace di mediare fra le due potenze e limitare le influenze iraniane.

Al Sudani guida la nuova coalizione Ricostruzione e cambiamento, il cui simbolo è una gru da cantiere, scelto per ricordare il grande sviluppo delle infrastrutture pubbliche degli ultimi anni che ha portato alla costruzione di strade, ponti, edifici e via dicendo. Ricostruzione e cambiamento a sua volta fa parte della più grande coalizione Quadro di coordinamento sciita (CF), che comprende le maggiori forze sciite e che ha sostenuto l’ultimo governo. Lo sciismo è uno dei due grandi rami dottrinali dell’Islam, complessivamente minoritario ma molto presente in Iraq e in Iran.

Proprio all’interno di questa coalizione ci sarebbero le maggiori resistenze alla sua conferma come primo ministro, cosa che quindi non è scontata.

Uno striscione che invitava al boicottaggio delle elezioni a Baghdad, domenica (AP Photo/Hadi Mizban)

Le precedenti elezioni, nel 2021, furono vinte dal Movimento Sadrista, un partito rivale sciita guidato da Muqtada al Sadr, leader politico e religioso molto noto e ancora potente nel paese. Le trattative per formare un governo però fallirono, lui ritirò i suoi rappresentanti dal parlamento e quest’anno ha boicottato le elezioni.

Anche per via del boicottaggio, alle elezioni era attesa un’affluenza molto bassa. Avevano diritto al voto 32 milioni di persone, ma 11 milioni non hanno chiesto i necessari documenti. Degli altri 21 milioni di persone, ha votato il 56 per cento. La percentuale reale è quindi bassa, ma superiore alle aspettative. L’astensione è stata maggiore nelle province dove il movimento sadrista è più forte.

– Leggi anche: Le elezioni in Iraq, una questione delicata

In generale è stata confermata la tendenza degli iracheni a votare prevalentemente su base etnica e religiosa: i partiti sciiti hanno vinto nelle province a maggioranza sciita, quelli sunniti in quelle maggioranza sunnita, i curdi in quelle curde.

Dopo la pubblicazione dei risultati definitivi inizieranno le trattative per formare un governo ed eleggere le maggiori cariche dello stato: nel 2021 ci volle oltre un anno e ci furono grosse proteste. La consuetudine finora è stata che il primo ministro appartenesse alla maggioranza sciita, il portavoce del parlamento al gruppo sunnita, il presidente della Repubblica (con funzioni prevalentemente cerimoniali) a quello curdo.

Mercoledì quando sono stati comunicati i primi risultati i sostenitori di al Sudani hanno festeggiato in piazza Tahrir, nel centro della capitale Baghdad, mentre il primo ministro ha sostenuto che la «volontà popolare» fosse chiara.