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  • Lunedì 10 novembre 2025

L’Uzbekistan e la democrazia continuano a non andare d’accordo

Le elezioni non sono libere, i media sono controllati e dal 1991 ci sono stati solo due presidenti, nonostante i progressi in vari altri settori

di Valerio Clari

Il monumento del primo presidente Islam Karimov a Samarcanda
(Valerio Clari/il Post)
Il monumento del primo presidente Islam Karimov a Samarcanda (Valerio Clari/il Post)
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L’Uzbekistan è uno stato indipendente dal 1991, dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica. Da allora è una repubblica presidenziale e in 34 anni ha avuto due presidenti: uno, Islam Karimov, è rimasto in carica dall’indipendenza fino alla morte, nel 2016. L’altro, Shavkat Mirziyoyev, gli è succeduto un po’ a sorpresa. Nel 2023 ha cambiato la Costituzione: quella nuova gli permetterà di restare al potere fino al 2037, quando avrà 80 anni. L’approccio dei due presidenti è stato molto diverso e l’Uzbekistan ha cambiato il suo modo di presentarsi al mondo da quando c’è Mirziyoyev. Le relazioni diplomatiche ed economiche con l’Occidente, Italia compresa, oggi sono intense e in crescita.

Ma come molti altri paesi dell’area centroasiatica, i rapporti dell’Uzbekistan con la democrazia continuano a essere pochi e complessi. Le elezioni sono un evento di facciata, non esiste una vera vita politica, le possibilità di dissenso sono estremamente limitate, così come la libertà di stampa.

Shavkat Mirziyoyev dopo un incontro con Vladimir Putin a Tashkent, Uzbekistan, il 27 maggio 2024 (Sergei Bobylev, Sputnik, Kremlin Pool Photo via AP)

Mirziyoyev promuove la sua azione politica con lo slogan “Nuovo Uzbekistan”. È presente un po’ ovunque, nei discorsi politici, nei piani economici e nei cartelloni che coprono i molti cantieri delle maggiori città uzbeke. Il “cambiamento” trova molte applicazioni in campo economico e imprenditoriale, funziona per i turisti e per gli investitori stranieri, ma non riguarda le libertà dei cittadini né il modo in cui è gestito il paese.

Yuriy Sarukhanyan è uno specialista di relazioni internazionali e analista politico. Dice che le riforme di Mirziyoyev non sono un vero cambiamento, ma solo una «trasformazione apparente». Indica un vecchio palazzo sovietico nel centro di Tashkent, la capitale, e dice: «Immagina di dipingere tutta la facciata di blu, ma di lasciare dentro tutto com’era. Questo è quello che è successo e sta succedendo in Uzbekistan».

Il paese restò isolato dal mondo fino al 2016, durante tutta la presidenza di Karimov, che era stato già Segretario del partito comunista ai tempi dell’Unione Sovietica. I suoi cittadini non avevano un passaporto, le carceri erano piene di prigionieri politici e l’economia era ancora tutta incentrata sulla coltivazione del cotone. Gli investitori stranieri erano pochissimi e guardati con sospetto, la povertà era diffusa e il cambio ufficiale della moneta locale veniva deciso dal governo (e quindi ce n’era uno clandestino).

La facciata dell’hotel Uzbekistan, Tashkent, 24 settembre 2025: dal 1974, per tutto il periodo sovietico e nei primi anni dell’indipendenza era l’unico hotel per stranieri, oggi è un esempio di architettura brutalista e ospita ancora turisti, ma le strutture ricettive sono diventate migliaia (Valerio Clari/il Post)

Quando Karimov morì, non si sapeva bene chi gli sarebbe succeduto: non c’erano precedenti. Per alcuni anni la figlia Gulnara Karimova era stata la seconda persona più importante del paese: cantante, designer di gioielli, ambasciatrice, a capo di un impero finanziario che comprendeva tra le altre cose una fabbrica di cemento, un operatore di telefonia cellulare e una squadra di calcio, il Bunyodkor, che comprava campioni brasiliani come Rivaldo e Denilson. Karimova era l’erede designata, ma dal 2013 a causa dei suoi eccessi perse il sostegno paterno e venne anche arrestata. Tutt’oggi è in carcere, condannata a 23 anni complessivi per vari reati, fra cui frode e riciclaggio di denaro.

Fra i vari candidati alla presidenza emerse Mirziyoyev, che era stato per 13 anni primo ministro: sembrava un uomo della continuità, un ex funzionario sovietico che poteva contare su buoni rapporti con la Russia di Vladimir Putin. Assunse l’incarico ad interim e iniziò subito ad annunciare una serie di riforme: dopo tre mesi fu eletto presidente in elezioni in cui non ebbe veri rivali.

Il nuovo presidente non ha mai pubblicamente criticato il predecessore: Karimov in Uzbekistan continua a essere trattato come un “padre della patria”, senza troppa problematizzazione del suo operato. Nelle città maggiori ci sono statue dedicate a lui e a Samarcanda, dove nacque, il suo mausoleo è in una posizione preminente, nell’area delle moschee e dei monumenti affollata dai turisti.

Il mausoleo di Islam Karimov a Samarcanda, nella zona delle moschee: la targa vicina alla tomba monumentale lo indica come «il grande statista e politico, il rispettabile e onorevole figlio del popolo uzbeko» (Valerio Clari/il Post)

Mirziyoyev in compenso ha sovvertito molte delle sue decisioni: ha liberato molti prigionieri politici, chiudendo anche il carcere più famigerato, quello di Jaslyk; ha normalizzato i rapporti con i paesi vicini, soprattutto Kirghizistan e Tagikistan; ha permesso ai suoi cittadini di andare all’estero e agli stranieri di entrare facilmente in Uzbekistan, puntando molto sul turismo. La liberalizzazione del mercato dei cambi, la riforma del sistema bancario e la riduzione di molti dazi hanno attirato imprese e investitori stranieri. Nel 2022 su pressione delle multinazionali straniere ha infine abolito il lavoro forzato e minorile nei campi di cotone, che fino ad allora coinvolgeva ampi settori della società uzbeka.

Ma per molte altre cose l’Uzbekistan non è cambiato affatto e resta uno stato autoritario. Mirziyoyev ha vinto le elezioni del 2016 con il 90 per cento dei voti, quelle del 2021 con l’80 per cento, e quelle del 2023 con l’87 per cento, dopo la riforma della Costituzione che gli ha attribuito più potere e la possibilità di fare due nuovi mandati da sette anni. Alle elezioni parlamentari i cinque partiti maggiori si dividono i voti in modo più bilanciato, ma sostengono tutti il presidente. Le formazioni di reale opposizione non possono partecipare perché non ottengono l’autorizzazione necessaria da parte del ministero della Giustizia. Il partito Verità, Progresso e Unità, guidato dal professore universitario Xidirnazar Allaqulove, ci prova dal 1991.

Dice Sarukhanyan: «Le elezioni non sono reali, i partiti non lottano per il potere, i politici non sono politici, ma burocrati. Abbiamo una rappresentazione della politica, ma non una vita politica».

Per quel che riguarda la libertà di espressione, le cose sono prima migliorate e poi tornate a peggiorare. Darina Solod è la direttrice di uno dei pochi siti di informazione indipendenti dell’Uzbekistan, Hook.report. Dice che dal 2017 fino al 2021 il controllo sui media si era allentato: «È stato un periodo aperto e divertente, potevamo scrivere di tutto e non c’era repressione. Ma è finito presto». Nel 2021 sono state introdotte leggi che punivano con la reclusione le offese al presidente e a partire dal 2024 è aumentato il numero di blogger o persone comuni arrestate per aver criticato online o sui social Mirziyoyev.

Ci sono argomenti che non si possono trattare pubblicamente, dice Solod: «Non puoi parlar male del presidente o della famiglia, non puoi indagare sull’origine dei soldi che hanno finanziato le aziende dei parenti, non si può parlare di corruzione ad alto livello e non puoi toccare argomenti che il governo ritiene sensibili».

I giornalisti in Uzbekistan ricevono chiamate personali da parte dei servizi segreti che li invitano a rimuovere certi contenuti, minacciando ripercussioni in caso contrario. A volte vengono chiamati i genitori dei giornalisti, per segnalare il “pericolo” per il figlio o la figlia. I media indipendenti sono pochi, anche perché il processo burocratico per registrare una testata è complesso e costoso, i giornali cartacei evitano gli argomenti politici o pubblicano i comunicati del governo, e in televisione i canali più visti sono quelli russi.

Il legame con la Russia resta molto forte: l’Uzbekistan non ha mai condannato l’invasione dell’Ucraina – a cui tra l’altro fa riferimento parlando di “operazione speciale” e non di “guerra”, seguendo la propaganda russa – e vota con il regime di Putin alle Nazioni Unite. Dialoga però con i maggiori organismi internazionali per cercare, con un certo successo, di uscire dalla “lista nera” dell’Occidente ed essere considerato un partner presentabile. Grazie alla sua posizione e alle sue dimensioni (ha oltre 36 milioni di abitanti) sta cercando un ruolo di leadership nell’Asia centrale e di connessione fra Occidente e Oriente, proponendosi come alternativa proprio alla Russia, che al contrario è sempre più isolata a livello internazionale. Le influenze della Cina sono crescenti, soprattutto a livello economico.

Il presidente cinese Xi Jinping, quello russo Vladimir Putin, l’uzbeko Shavkat Mirziyoyev, e il tagiko Emomali Rahmon a Samarcanda nel 2022 (Sergei Bobylev, Sputnik, Kremlin Pool Photo via AP)

Mirziyoyev non ha promosso un culto della propria personalità pari a quello di altri autocrati dei paesi della regione, ma è piuttosto frequente imbattersi in sue foto non solo sui cartelloni pubblicitari, ma anche incorniciate all’interno di esercizi commerciali privati.

La figlia Saida Mirziyoyeva è la sua prima consigliera, nonché possibile erede politica: fra le altre cose, ha attivato campagne che almeno formalmente puntano a migliorare la condizione delle donne. C’è un problema diffuso di violenza domestica e una cultura patriarcale islamica che limita diritti e possibilità delle donne.

Proteste e manifestazioni sono rare: le ultime importanti sono state quelle del 2022 in Karakalpakstan, un ex stato indipendente nel nord-ovest, che oggi è più povero del resto del paese: durarono vari giorni e 18 persone furono uccise. Gli spazi per il dissenso sono ridotti, ma la popolazione sta anche vivendo una stagione di maggiori possibilità di migliorare le proprie condizioni economiche, sfruttando il crescente successo del turismo o emigrando all’estero, cosa prima impossibile. Nelle principali città si vedono uffici dedicati all’assistenza nella richiesta della green card, il permesso di residenza permanente per gli Stati Uniti.

L’Uzbekistan non è uno stato ricco, ma la fascia della popolazione che vive in povertà si sta riducendo e decenni di propaganda di governo e di poche libertà personali hanno contribuito ad abbassare gli standard delle richieste di gran parte degli uzbeki verso il governo.

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