Gli anni passati a trasmettere su Twitch iniziano a farsi sentire per gli streamer
Sono sempre di più quelli che lamentano le conseguenze di un tipo di lavoro che prima non c'era, e che in certi casi mollano

Gli streamer che riescono a guadagnarsi da vivere trasmettendo regolarmente video in diretta su piattaforme come Twitch e YouTube esistono da più di un decennio, e da più di un decennio c’è chi pensa che sia un modo facile e poco impegnativo di fare soldi. Negli ultimi anni però un numero crescente di streamer, sia all’estero che in Italia, ha cominciato a parlare pubblicamente degli effetti deleteri che questo lavoro ha avuto sulla propria salute mentale, tra burnout e periodi di depressione.
A inizio anno Cristiano Spadaccini, streamer italiano meglio noto come ZanoXVII, seguitissimo su Twitch dal 2019 per i suoi lunghi live dedicati ai videogiochi, ha annunciato che avrebbe smesso di usare Twitch senza sapere se avrebbe poi ricominciato. Spadaccini ha detto di aver preso questa decisione perché, dopo aver avuto problemi di salute, era tornato subito a lavorare intensamente, finendo per ignorare il resto della propria vita: «Nel 2024 sono uscito di casa cinque volte di numero. Non penso che sia una cosa normale e non voglio che lo streaming diventi una trappola per me, una fonte di ansia invece che una passione», ha raccontato.
Ora Spadaccini pubblica principalmente video su YouTube, che al contrario dei video in diretta possono essere pensati ed elaborati con maggiore calma e intenzione. Poco prima anche Dario Moccia, che dal 2019 era diventato uno degli streamer italiani più seguiti su Twitch, aveva annunciato che avrebbe lasciato Twitch per concentrarsi su altri progetti, sia su YouTube che offline.
Sia Moccia che Spadaccini sono creator che hanno avuto un successo straordinario, e dopo anni di lavoro hanno costruito un pubblico affezionato anche su altre piattaforme, cosa che concede loro un maggior grado di libertà. Moltissimi altri creator che pur si mantengono più che dignitosamente facendo gli streamer non possono dire lo stesso: la loro dipendenza da Twitch è molto superiore. E anche soltanto prendere l’influenza e dover staccare per qualche giorno può rappresentare un problema.
«Nessuno dice agli streamer quando registrare o quando smettere. Non esistono codici del lavoro, limiti di rendimento o regolamenti che impediscano alle piattaforme di fissare incentivi impossibili da raggiungere», ha spiegato di recente il giornalista Drew Harwell sul Washington Post. «Il caotico mercato libero di internet li costringe a spingersi oltre i propri limiti per distinguersi dagli altri. Così, finiscono per essere ossessionati dall’ottimizzare le loro vite per ottenere attenzione. Al contempo, gli spettatori si aspettano che si esibiscano costantemente, e possono scomparire da un momento all’altro».
In parte il malessere degli streamer ha a che fare con il fatto che si tratta di un lavoro molto sedentario: tanti di loro non trovano il tempo di mangiare e bere adeguatamente tra una sessione di streaming e l’altra e tendono a consumare un grande quantitativo di bevande energetiche per riuscire a reggere il ritmo dei propri video. Molti esperti sottolineano come uno stile di vita di questo tipo aumenta il rischio di stress, ansia e depressione.
A questi fattori, comuni anche a varie altre professioni d’ufficio, si aggiungono le difficoltà specifiche di creare contenuti come professione, all’interno di un contesto in cui quasi mai i creator hanno qualche tipo di controllo sulle dinamiche della piattaforma da cui dipendono. All’inizio di quest’anno Kenobit – persona molto nota nel settore dei videogiochi italiano, sia per la sua attività come giornalista e traduttore sia per il lavoro come content creator – ha annunciato che avrebbe smesso di pubblicare i propri contenuti su piattaforme come Twitch e YouTube e che li avrebbe spostati tutti su Owncast, una piattaforma di streaming open source, «funzionalmente identica a Twitch, ma totalmente indipendente, che mi permette di trasmettere senza infliggere pubblicità a chi mi guarda».
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Quasi tutti gli streamer più famosi, però, continuano ad appoggiarsi a Twitch, che è di proprietà di Amazon ed è progettato, come tutte le piattaforme di social networking più diffuse, per mantenere gli utenti online il più a lungo possibile, in modo da poter mostrare loro un grande quantitativo di pubblicità. La piattaforma ha avuto enorme successo durante la pandemia, quando molte persone, soprattutto giovani, si sono ritrovate a casa con molto tempo libero da riempire. Da tempo, però, il numero di utenti è in costante discesa: il mese di agosto del 2025, per esempio, è stato il peggiore dal 2020. Questo vuol dire, intanto, che gli streamer che dipendono soprattutto da questa piattaforma sanno di dover competere con tantissimi altri per l’attenzione di un numero sempre inferiore di persone.
Twitch offre in qualsiasi momento la possibilità di seguire stream dedicati agli interessi più disparati, anche se i contenuti più seguiti sono senza dubbio dedicati ai videogiochi. Gli utenti che seguono lo stream non si limitano soltanto a guardare le live, ma spesso interagiscono attivamente con il creator attraverso la chat. Nel caso degli streamer più seguiti, in chat possono apparire anche centinaia di nuovi messaggi al minuto, che i creator sono incoraggiati a tenere d’occhio per mantenere alto il coinvolgimento degli utenti, rispondendo a eventuali domande e usandole per trovare spunti per continuare la conversazione.
Per molti streamer, anche soltanto dover seguire la chat e dare attenzioni costanti agli abbonati è una grande fonte di stress. «Essere una figura pubblica su Internet comporta un sacco di critiche, bullismo, troll e negatività. Per gli streamer, le cose sono più difficili che per gli influencer dei social media perché vedono i commenti in tempo reale, mentre stanno trasmettendo», ha spiegato la psicologa Samantha Jones. «Da un lato questo modo di comunicare ha i suoi vantaggi perché consente interazioni più autentiche, ma non c’è assolutamente alcun filtro».
Un’altra potenziale fonte di stress sono le cosiddette relazioni parasociali: quel fenomeno in base a cui, pur non avendo mai incontrato il creator di persona, gli spettatori finiscono per considerarlo come un amico. Sebbene questo meccanismo aiuti molto nella crescita di una base di follower online, ha anche degli aspetti indubbiamente negativi sui creator. «Alcuni spettatori possono esercitare pressione sugli streamer, chiedendo loro di rivelare maggiori dettagli sulla loro vita privata o diventando aggressivi quando questi ultimi si prendono una pausa dallo streaming o non caricano i contenuti che piacciono loro. Con la crescita delle comunità di streaming, inevitabilmente si sviluppano relazioni parasociali e la situazione può degenerare in stalking e molestie», riassume Jones.
Da tempo, poi, Twitch ha introdotto vari meccanismi di “gamification”, applicando elementi, meccaniche e dinamiche tipiche dei giochi in un contesto che altrimenti non sarebbe ludico, per assicurarsi che le persone continuino a sentirsi motivate e coinvolte e quindi a generare contenuti che gli utenti vogliano consumare. I creator vengono divisi in livelli di status: chiunque può iniziare a fare streaming, ma per monetizzare serve lo status di Affiliato, ottenibile con requisiti bassi (pochi follower e minuti di streaming). Gli Affiliati possono ricevere denaro dagli abbonati (subs), guadagnare dalle pubblicità e ricevere pagamenti diretti tramite “bits”.
Il livello a cui gli streamer ambiscono davvero, però, è quello di Partner, che garantisce accesso a un maggiore supporto tecnico, più visibilità e maggiori ricavi pubblicitari. Raggiungere questo status è percepito come fondamentale per trasformare lo streaming in un vero lavoro, anche se affiancato ad altro, ma per diventare Partner bisogna impegnarsi moltissimo: almeno 25 ore di streaming in 30 giorni, distribuite in almeno 12 giorni distinti, con una media di 75 spettatori simultanei.
«Anche i content creator di grande successo, quelli percepiti come i più famosi della piattaforma, che magari fanno ottocento, mille spettatori in contemporanea e che rispetto agli altri se la cavano benissimo, non possono fermarsi mai», spiega Kenobit, che per anni ha trasmesso in diretta su Twitch. «Il loro pubblico non è loro: è in prestito».
Dato che il pubblico di Twitch è piuttosto abitudinario, e spesso segue i propri streamer di fiducia come se fossero i conduttori di programmi televisivi da tenere sullo sfondo mentre si fa qualcos’altro, fidelizzare gli utenti è una buona parte del lavoro, soprattutto se si vogliono ottenere i soldi degli abbonamenti mensili. «Se scrivi un libro puoi sperare che il suo impatto duri a lungo: una diretta su Twitch è a dir poco effimera, e la piattaforma non ti propone mai i canali non attivi», dice Kenobit. Questo vuol dire, però, che gli streamer devono apparire ogni giorno alla stessa ora, regolarmente. Se a un certo punto ci si ammala o si sente il bisogno di staccare un po’ per andare in vacanza, è un problema.
«Magari io mi sono costruito un pubblico per sette anni e per un mese di pausa perdo centinaia di spettatori e so benissimo che per riaverli ci metterò mesi, se mai riuscirò a riaverli», spiega Kenobit. «È un fuoco che va costantemente alimentato». E nelle comunità online in cui gli streamer si scambiano consigli tra loro, anche prendersi delle pause più lunghe di cinque minuti durante gli stream – magari per mangiare o andare in bagno – è sconsigliato.
A tutto questo si aggiunge il fatto che, nel tempo, su Twitch si è sviluppato un formato particolarmente estenuante: i “subathon”, “maratone di streaming” con un timer visibile che aumenta il tempo ogni volta che qualcuno si abbona o dona. La diretta finisce solo quando il timer arriva a zero. È un metodo per guadagnare rapidamente più soldi, follower e abbonati, incentivato anche dall’algoritmo di Twitch che premia le dirette lunghe portando maggiore traffico. Per gli spettatori sono momenti collettivi divertenti, ma per gli streamer rappresentano un picco di stress fisico e mentale dovuto alla pressione di performare anche per molti giorni consecutivi.
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Il subathon più lungo della storia di Twitch è ancora in corso: è quello di Emilycc, creator statunitense in diretta da quattro anni, guardata costantemente da centinaia di persone mentre mangia, dorme, fa la spesa. Il suo obiettivo è comprare una casa per il fidanzato, che però al momento non ha: sono quattro anni che non esce con nessuno e non ha rapporti sessuali. Di recente ha raccontato al Washington Post che sente di aver perso controllo sulla propria vita e che sa di vivere in un modo del tutto insalubre, ma che ha paura che se si prendesse una piccola pausa sarebbe «la morte della sua carriera».
«È una piattaforma che è progettata di proposito per renderti competitivo», spiega Federica Casùla, psicoterapeuta e content creator che si è specializzata sull’impatto psicologico del lavoro sugli streamer. Molti dei creator con cui ha parlato le hanno raccontato che nel tempo hanno cominciato a interpretare il proprio valore come esseri umani soltanto in funzione dei numeri che fanno su Twitch: «sentono che se hanno pochi spettatori non vuol dire che sono streamer poco interessanti: si sentono persone poco interessanti».
«Molti creator si sentono in colpa se non sono costantemente presenti online. E non è solo un senso di colpa verso gli abbonati, ma anche verso sé stessi: per non essere stati all’altezza dei propri standard di costanza e performance», dice. «Ma siamo esseri umani: abbiamo bisogno delle nostre pause e dei nostri tempi».
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