La legge di bilancio complica ancora di più il sistema fiscale

Se n'è parlato nelle audizioni in parlamento, da cui sono emerse anche le storture generate dalla riduzione dell'IRPEF

La presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti durante la conferenza stampa per la spiegazione della legge di bilancio, il 17 ottobre 2025 (Roberto Monaldo / LaPresse)
La presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti durante la conferenza stampa per la spiegazione della legge di bilancio, il 17 ottobre 2025 (Roberto Monaldo / LaPresse)
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Alle commissioni Bilancio di Camera e Senato si sono svolte nuove audizioni sulla legge di bilancio, il provvedimento che stabilisce come varieranno le spese dello Stato il prossimo anno. Le analisi di Istat, Banca d’Italia e Ufficio Parlamentare di Bilancio hanno riguardato soprattutto la misura più significativa della manovra, cioè la riduzione dell’IRPEF per la parte di reddito tra i 28 e i 50mila euro. In sintesi dicono che la manovra complica ulteriormente il sistema fiscale, causa alcune storture e non risolve del tutto il cosiddetto fiscal drag, o “drenaggio fiscale”, che ha fatto aumentare le imposte incassate dallo Stato ma che ha penalizzato molti contribuenti negli ultimi anni.

Secondo i calcoli di Istat, molto ripresi dai partiti di opposizione e dai giornali, la riduzione dell’IRPEF costerà circa 2,9 miliardi di euro, l’85 per cento dei quali andrà a beneficio dei contribuenti con redditi più alti. Questo avviene per come funziona il nostro sistema fiscale, che è progressivo e prevede che si paghino in proporzione più imposte all’aumentare del reddito percepito. Il sistema divide il reddito in scaglioni, a cui si applica una percentuale diversa per stabilire quante imposte sono dovute su quelle parti di reddito: significa che della misura beneficia chi ha un reddito tra i 28 e i 50mila euro, ma anche chi ne ha uno superiore, che per quella parte pagherà come gli altri una percentuale ridotta, dal 35 al 33 per cento.

Istat dice che la riduzione dell’IRPEF darà un vantaggio a 14 milioni di contribuenti, che in media pagheranno 230 euro all’anno in meno di imposta: dividendo le famiglie per cinque gruppi di reddito, dal più alto al più basso, il guadagno medio va da 102 euro per le famiglie con redditi più bassi ai 411 per quelle con i redditi più alti. Al crescere del reddito cresce anche l’imposta da pagare, e dunque lo sconto di cui si beneficia.

La presidente dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio Lilia Cavallari in audizione davanti alle commissioni bilancio di Camera e Senato, l’8 ottobre 2025 (Mauro Scrobogna/LaPresse)

Viene interessato dalla misura il 90 per cento delle famiglie del gruppo più ricco, nonostante la misura preveda una sorta di tetto: oltre i 200mila euro la riduzione dell’IRPEF dovrebbe essere annullata attraverso una riduzione corrispondente delle detrazioni spettanti, cioè quegli sconti sulle imposte che si ottengono per esempio per i figli a carico o per le spese sanitarie. Il problema, come ha segnalato l’Ufficio Parlamentare di Bilancio (UPB), è che sopra quella soglia solo un terzo dei contribuenti ha detrazioni che si possono ridurre. Il resto no e quindi beneficia della piena riduzione dell’IRPEF.

L’analisi dell’Istat è quella che più ha agitato i parlamentari di opposizione in Commissione, che accusano il governo di favorire i redditi alti. Cosa che per quest’anno è in parte vera, per come funziona il sistema progressivo. Ma come hanno ricordato le diverse istituzioni, questo intervento sull’IRPEF è solo l’ultimo previsto dal governo di Giorgia Meloni, e serve anche a correggere le storture che hanno subìto i lavoratori con redditi medi, i più penalizzati negli ultimi anni. Da quando è in carica il governo ha già abbassato le imposte per i redditi più bassi: nel 2022 le aliquote erano 4 mentre ora sono 3, ed è stata ridotta di due punti percentuali quella per i redditi sotto i 28mila euro.

La valutazione da fare è dunque considerare questa nuova riduzione come una misura incrementale di un piano più ampio di riforma del fisco. Ma anche facendo questo esercizio alcuni problemi restano.

Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti e alcuni membri delle commissioni Bilancio durante le audizioni (Mauro Scrobogna/LaPresse)

In particolare li ha rilevati l’UPB, secondo cui il meccanismo per annullare la riduzione dell’IRPEF ai redditi sopra i 200mila euro è solo l’ultima complicazione a un sistema fiscale che negli anni ha stratificato una serie di regole ed eccezioni che hanno finito per renderlo talvolta contraddittorio e iniquo. Lo dimostra calcolando quanto il governo è riuscito a compensare il drenaggio fiscale, che è un fenomeno che agisce sul sistema facendo aumentare le imposte da pagare non tanto perché la condizione economica dei contribuenti è migliorata, ma perché i loro redditi stanno aumentando per tenere il passo dell’inflazione: i redditi crescono, sforano le soglie entro cui si ha accesso a detrazioni e bonus, si pagano più imposte.

Secondo l’UPB, l’Istat e la Banca d’Italia, con questa ulteriore misura il governo però compenserà quasi del tutto il drenaggio fiscale. Concretamente non significa che i contribuenti avranno davvero un beneficio, ma che almeno smetteranno di venire penalizzati.

L’iniquità del sistema si vede dal fatto che alcune categorie, in particolare i lavoratori autonomi e i pensionati, non avranno però la piena compensazione che spetterà ai lavoratori dipendenti con lo stesso livello di reddito. L’UPB comunque segnala che anche tra i lavoratori dipendenti c’è chi resta ancora svantaggiato: mentre i redditi più bassi sono stati più che compensati per il drenaggio fiscale, chi ha un reddito tra i 32 e i 50mila euro ancora no, e non lo sarà neanche col nuovo intervento.

A prescindere dalle analisi degli istituti, il drenaggio fiscale è un tema su cui c’è molto dibattito, non solo perché ha molto impoverito i lavoratori negli ultimi anni, già colpiti dall’aumento del costo generale della vita, ma anche perché è difficile arrivare a un consenso sui fatti. Da una parte c’è la prevedibile discussione politica tra governo e opposizioni, che lo accusano di non avere restituito tutto quanto è riuscito a incassare in più tramite il fiscal drag. il governo sostiene di averlo fatto, come ha ribadito al termine delle audizioni anche il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti.

Dall’altra c’è discussione anche tra gli economisti, che però concordano almeno su un punto, cioè che per una piena restituzione servirebbe un’indicizzazione del sistema fiscale. Significa che le soglie per gli scaglioni e per gli accessi ai bonus dovrebbero essere riviste in misura appropriata per tenere conto dell’aumento dei prezzi e dei redditi: questo non è stato fatto, e il governo ha preferito agire in modo graduale, con interventi incrementali che però nel frattempo hanno generato distorsioni e impoverito i lavoratori.

L’UPB però mostra che gli interventi del governo di Meloni hanno dato in proporzione più beneficio ai redditi bassi e meno a quelli medi e alti, e lo hanno fatto più di quanto avrebbe fatto un’indicizzazione pura. È un punto che un po’ smentisce la lettura delle opposizioni e di alcuni giornali, secondo cui il governo avvantaggia i ricchi.

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