La saga di Predator aveva bisogno di un po’ d’ordine
Lo fa “Predator: Badlands”, il primo film per il cinema di Disney su un franchise molto prolifico e altrettanto caotico

Nel primo film della saga di Predator, l’unico con Arnold Schwarzenegger, il suo personaggio prendeva a pugni un alieno sanguinario in una giungla del Centro America. Era il 1987 e a partire da quella storia sono stati prodotti altri sei film più una serie molto ampia di fumetti, videogiochi e romanzi. In questi casi di solito si parla di franchise, cioè diverse storie collegate tra sequel, prequel e via dicendo; per Predator però è stato tutto caotico e per nulla strutturato, quasi casuale. E nulla ha avuto il successo di quel primo film.
Adesso il franchise appartiene alla Disney ed è uscito un nuovo film per il cinema, Predator: Badlands, dopo due film per Disney+ (Prey e Predator: Killer dei killer) pensati per portare questa saga a un pubblico più ampio. Nonostante sia il terzo tentativo di Disney di sfruttare quell’idea, per la prima volta l’intenzione è di fare ordine in una mitologia nata spontaneamente lungo più di trent’anni di prodotti spesso svincolati gli uni dagli altri, e che a un certo punto ha cominciato anche a incrociare quella di un altro film di alieni che non avevano niente a che fare con i suoi: Alien.
In Predator: Badlands infatti ci sono per la prima volta pezzi di storia e di mitologia nati e sviluppati fuori dai film (nei libri, nei fumetti o nei videogiochi). Questo film non è ambientato sulla Terra come la maggior parte degli altri. Per la prima volta poi la razza aliena ha un nome (Yautja) e anche l’alieno (Dek). E per la prima volta è lui il protagonista, e anziché andare a caccia di umani è cacciato da loro. Tutto questo consente di esplorare la cosiddetta backstory del personaggio (cosa faceva prima di questo film? da dove viene? ha parenti o amici?). È tutto materiale che esisteva in vari prodotti della serie ma non era mai stato affrontato nei film.
Oltre a questo ci sono altri espedienti che consentono di empatizzare con quello che è sempre stato “il cattivo”: lo si sente parlare per la prima volta (nella sua lingua), si scopre l’organizzazione tribale della sua razza e i rapporti tra fratelli e genitori alieni, così come i suoi problemi e le sue aspirazioni, oltre a molte altre cose che non riveliamo e che riguardano la coprotagonista Elle Fanning. Includere tutti questi dettagli narrativi è un modo di fare ordine tra i tanti indizi sparsi per anni in storie diverse, e di trasformare una saga d’azione, horror e fantascienza in un film per la prima volta pensato per un pubblico ampio.
La stranezza della serie Predator viene dal fatto che alla base di tutto non c’è mai stata una storia, ma un personaggio, l’alieno, di cui non si sapeva niente. Il film del 1987 con Schwarzenegger, scritto da Jim e John Thomas, raccontava la storia di un commando di militari che doveva portare a termine un’operazione nella giungla del Centro America e lì incontrava un alieno che, senza motivazioni, li uccideva quasi tutti. L’ultimo militare rimasto dismetteva ogni arma moderna e si industriava come un uomo primitivo per combatterlo con trappole ed espedienti elementari.
Solo verso la fine si capiva che l’alieno era sulla Terra a caccia di esseri umani e che quella era la ragione di vita della sua razza. È una non-storia, cioè non spiega niente, cosa che è parte del fascino del film: aveva insomma uno svolgimento da cinema di serie B ma era elevato da un buon budget e da un grande regista, John McTiernan, che riuscì a non usare dialoghi per tutta la seconda parte.
Il successo stimolò subito un adattamento letterario, cioè un romanzo che racconta la stessa storia del film, e una serie a fumetti; solo tre anni dopo arrivò il sequel cinematografico, Predator 2, senza Schwarzenegger e ambientato in città invece che nella giungla. Quel secondo film non andò bene e per un po’ non ce ne furono altri. Intanto, però, uscirono altri romanzi (dal 1999 in poi anche slegati dalle trame dei film), con al centro storie di alieni Predator, altri videogiochi e molte miniserie a fumetti (cioè storie autoconclusive da due o quattro albi).
Uno di questi fumetti contiene un crossover: far scontrare la razza dei Predator (che dal primo adattamento letterario viene chiamata Yautja) con quella del film Alien (chiamati xenomorfi). Il successo dell’idea portò a una serie di videogame e, nel 2004, al film Alien vs. Predator, il primo con un alieno Yautja dopo Predator 2, diretto dallo specialista in adattamenti di videogiochi a basso costo Paul W. S. Anderson. Tra gli umani di quel film americano c’era anche Raoul Bova, che all’epoca tentava una carriera internazionale.
Alien vs. Predator ebbe un successo di nicchia e generò un sequel nel 2007, che fece venire voglia alla 20th Century Fox, da sempre l’unica a possedere i diritti cinematografici del personaggio, di provare a fare un nuovo film. Uscì nel 2010, si intitolava Predators e il protagonista era Adrien Brody. Non andò bene. Ci riprovarono otto anni dopo con The Predator, scritto e diretto da Shane Black (quello di Arma letale), e anche quello non andò bene. Intanto romanzi, videogiochi e fumetti continuavano a essere pubblicati regolarmente.
Quando nel 2019 la 20th Century Fox diventò parte della Disney, fu cambiata impostazione. Nel 2022 fu prodotto Prey, un film che non ha nemmeno “Predator” nel titolo e che non fu molto promosso. Non andò al cinema ma direttamente su Disney+ e non mostrava il volto caratteristico degli alieni Yautja nelle immagini di anteprima. Era un esperimento a basso costo, con un regista mai testato su questo tipo di film, Dan Trachtenberg, e una storia diversa da quella degli altri film – niente militari contro gli alieni – e ambientata nel passato, negli Stati Uniti del 1700, con protagonista una donna nativa americana in lotta da sola contro un alieno.
Il film quasi non ha dialoghi, è ben fatto, teso ed è ritenuto uno dei migliori film del franchise. Andò bene rispetto alle aspettative, dimostrando che l’interesse per libri, fumetti e videogiochi poteva essere catalizzato anche con nuovi film. Dimostrò anche che Trachtenberg aveva capito come riproporre il tipo di azione e il mix tra dinamiche di caccia, astuzia e ovviamente violenza che avevano fatto apprezzare il primo film. A lui è stato poi affidato un film animato contenente tre storie di alieni che cacciano umani, Predator: Killer dei killer, uscito su Disney+ e anch’esso molto apprezzato. Dietro al film uscito questa settimana, il terzo di Disney, c’è sempre Trachtenberg e si vede, perché ha le stesse qualità e lo stesso stile di Prey.
È evidente in questo cambiamento l’influenza della Disney, società che più di qualunque altra investe sugli universi narrativi e i franchise, dai fumetti Marvel, a Guerre stellari, Avatar e via dicendo. Il desiderio di far confluire personaggi, elementi narrativi e pezzi di storia da tanti film precedenti in questi nuovi si era cominciato a vedere già nel film d’animazione, in cui non solo c’erano molte informazioni sulle gerarchie e sulle dinamiche degli alieni Yautja, ma alla fine, dopo i titoli di coda, venivano mostrati i protagonisti umani di Prey, Predator e Predator 2 imprigionati (quindi anche Schwarzenegger, disegnato). Per la prima volta venne tracciata un’ideale linea temporale tra i film (che fino a quel momento sembravano esistere a sé, senza tenere conto degli altri) e fu suggerita l’idea che quei personaggi potessero tornare.
L’influenza della Disney si avverte a maggior ragione ora in Predator: Badlands, tanto che Polygon ha parlato di “disneyficazione” del franchise. L’alieno protagonista ha per la prima un suo arco narrativo, cioè evolve e risolve un suo problema. Questo consentirà allo studio, se ci sarà un successo sufficiente, di cominciare a immaginare uno sfruttamento più strutturato e narrativamente più coerente.



