È morto James Watson, che contribuì a scoprire la struttura del DNA
Aveva 97 anni ed era stato uno dei più importanti, e criticati, scienziati del Ventesimo secolo

È morto a 97 anni lo scienziato statunitense James Watson, uno dei ricercatori che nel 1953 diedero un contributo fondamentale alla scoperta della struttura a doppia elica del DNA. Insieme ai britannici Francis Crick e Maurice Wilkins, morti entrambi nel 2004, vinse il premio Nobel per la Medicina nel 1962. La scoperta, che di fatto spiegava per la prima volta con completezza come funziona il DNA, è stata un punto chiave per comprendere gli esseri viventi e ha dato il via a una miriade di nuovi studi e ricerche nel campo della biologia moderna.
Quando pubblicò insieme a Crick l’articolo su Nature con l’esito dei loro studi Watson aveva solo 25 anni. Durante quelle ricerche, Watson non riconobbe a Rosalind Franklin, una chimica che lavorò al DNA, il ruolo cruciale che ebbe nella ricerca sulle immagini a raggi X, senza le quali lui e Crick non sarebbero stati i primi a scoprire la struttura a doppia elica (Linus Pauling e altri erano a un passo dalla scoperta e per poco non ci arrivarono per primi).
La scoperta del 1953 lo rese uno dei più importanti e celebrati scienziati del Ventesimo secolo, nonché uno dei fondatori di una branca molto importante e al tempo stesso specifica della biologia moderna. Dal 1968 al 1993 diresse il laboratorio di Cold Spring Harbor, nello stato di New York, rendendolo uno dei principali centri di ricerca biologici.

James Watson dietro un modellino del DNA, in una foto del 2004 (AP Photo/Markus Schreiber, File)
Watson era noto per il carattere scontroso, tanto da essere soprannominato il «Caligola della biologia», e dal 2007 in poi era stato messo ai margini della comunità scientifica per le sue posizioni razziste. Quell’anno sostenne in un’intervista col Sunday Times britannico che le persone nere fossero meno intelligenti di quelle bianche, una dichiarazione che ripeté in altre occasioni.
Nel 2014 Watson decise di mettere all’asta la sua medaglia del Nobel, in polemica col mondo accademico che a suo dire lo aveva abbandonato e sostenendo di avere bisogno di denaro. Riuscì a venderla per quasi 5 milioni di dollari a un miliardario russo, che poi gliela restituì.
Aveva avuto rapporti contrastati coi colleghi fin dal 1968, quando nell’autobiografia La doppia elica sminuì il ruolo dei colleghi nelle ricerche sul DNA, celebrando invece molto il suo. Nel libro faceva riferimento a Franklin chiamandola “Rosy” (un nomignolo che lei non usava), criticando il modo in cui si vestiva e si truccava, e la definiva erroneamente come l’assistente di un altro scienziato. Watson fu notoriamente offensivo e arrogante quando lavorò come docente all’università di Harvard, dove accusava i colleghi che non si occupavano del suo stesso campo di «collezionare francobolli», cioè perdere tempo.



