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  • Venerdì 7 novembre 2025

Belém non era pronta per la COP30

È la capitale di uno degli stati più poveri del Brasile e ha dovuto creare alloggi per 50mila persone, usando anche soluzioni creative

Il Parque Linear da Nova Doca, costruito in vista della COP30 e inaugurato all'inizio di ottobre del 2025 a Belém (REUTERS/Anderson Coelho)
Il Parque Linear da Nova Doca, costruito in vista della COP30 e inaugurato all'inizio di ottobre del 2025 a Belém (REUTERS/Anderson Coelho)
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Lunedì 10 novembre inizierà a Belém (in Brasile) la COP30, la conferenza sul clima organizzata ogni anno dalle Nazioni Unite. Terminerà il 21 novembre e si prevede che parteciperanno complessivamente circa 50mila persone. È un numero altissimo, che ha causato un grosso problema organizzativo: la città non aveva abbastanza alloggi per tutti, e l’iniziale disorganizzazione del governo brasiliano ha portato a un enorme aumento dei prezzi, al punto che alcuni paesi hanno ridotto le loro delegazioni o hanno rinunciato del tutto ad andare.

Belém è una città portuale di circa 1,3 milioni di abitanti e si trova sul limitare dell’Amazzonia, che comprende la più grande foresta pluviale del mondo, con una superficie totale di circa 6 milioni di chilometri quadrati, più del 60 per cento dei quali in territorio brasiliano. Possiede alcuni degli ecosistemi più ricchi al mondo in termini di specie e dà un contributo essenziale nella regolazione del clima a livello globale, influenzando i cicli dell’acqua e del carbonio e contribuendo all’assorbimento dell’anidride carbonica atmosferica.

Il presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva ha scelto di ospitare la COP a Belém proprio per la sua vicinanza all’Amazzonia: ha sempre difeso la decisione e ha ignorato le richieste dei vari paesi partecipanti e delle Nazioni Unite di spostare la conferenza in città più facilmente raggiungibili e più preparate a ospitare eventi così grandi, come Rio de Janeiro o la capitale Brasilia. A febbraio, quando molte delegazioni si lamentavano della difficoltà di trovare un alloggio, aveva suggerito loro di «dormire sotto le stelle, guardando il cielo» nel caso in cui fossero esaurite le camere negli hotel. In questi giorni lui ha deciso di dormire in uno yacht.

Era chiaro fin da subito che Belém non sarebbe stata la città più adatta a ospitare la COP: è la capitale del Pará, uno degli stati più poveri del Brasile, il suo centro storico è abbandonato e in città ci sono circa 200 “favelas”, ossia quartieri sorti in modo spontaneo e informale e caratterizzati da edifici ammassati in modo caotico. Prima della COP aveva una capacità alberghiera fra i 14mila e i 18mila posti letto, molto inferiori ai 50mila delegati, ospiti e partecipanti attesi.

Oggi il governo brasiliano sostiene che a Belém ci siano 53mila posti letto, distribuiti tra 14.547 camere d’albergo, 6mila posti letto a bordo di due navi da crociera, circa 10mila alloggi offerti da agenzie immobiliari e 22.452 sulla piattaforma Airbnb. Raggiungere questi numeri però non è stato facile, né economico.

Negli ultimi due anni il governo brasiliano ha cercato di costruire il maggior numero possibile di nuovi alloggi, convertendo in strutture ricettive per i delegati e i partecipanti scuole, caserme militari e persino i cosiddetti “love motel”, alberghi normalmente prenotabili a ore. Nel frattempo le autorità locali hanno apertamente incoraggiato le attività esistenti ad alzare i prezzi e la popolazione ad approfittare della COP per ristrutturare le loro case e metterle su Airbnb: entrambe le cose sono successe.

Per mesi in città è stato impossibile trovare da dormire a meno dell’equivalente di 300 euro a notte, con la maggior parte delle offerte che superava ampiamente questa soglia e arrivava a 4mila euro a notte per una camera d’albergo. Molte strutture ricettive inoltre chiedevano una prenotazione minima non rimborsabile di 10 o 15 notti.

Le due navi da crociera con 6mila posti letto per i delegati della COP30, attraccate al porto di Bélem (AP Photo/Eraldo Peres)

Ad agosto, secondo un sondaggio riservato condotto dal comitato della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici e visto da Le Monde, solo 18 paesi avevano già prenotato il loro alloggio, per lo più paesi ricchi. L’87 per cento di quelli che non l’aveva ancora fatto avevano detto che il problema erano i prezzi. Un membro di una delegazione europea rimasto anonimo ha detto a Le Monde che era stato proposto loro di dormire in più persone in una cabina di una delle due navi da crociera affittate dal governo brasiliano «per 600-1.300 dollari a notte a persona, condizioni difficili per i negoziatori che finiscono regolarmente [di lavorare] dopo mezzanotte».

Mentre il governo centrale e quello locale cercavano di creare alloggi aggiuntivi, molti paesi decidevano di ridurre il numero dei loro delegati, e in alcuni casi proprio di non andare in Brasile. Alla fine questo ha portato a un’eccessiva offerta di alloggi, che nelle ultime settimane ha avuto come conseguenza un abbassamento notevole dei prezzi: nel mese di ottobre, per esempio, il costo medio di un alloggio su Airbnb per i giorni della COP è sceso del 40 per cento.

Oggi, secondo il segretariato speciale per la COP30, 159 paesi avrebbero trovato una sistemazione e confermato la loro partecipazione, ovvero più del minimo necessario per convalidare le decisioni della conferenza. Al 3 novembre 49 paesi che volevano partecipare non avevano ancora trovato un alloggio.

Una parte del porto di Bélem (AP Photo/Eraldo Peres)

Ad avere problemi in questi mesi sono stati soprattutto i delegati dei paesi più poveri, fra cui molti dell’Alleanza dei piccoli stati insulari (Aosis), che riunisce 39 tra gli stati più colpiti dal cambiamento climatico. I costi degli alloggi sono particolarmente proibitivi per le loro delegazioni: per Belém le Nazioni Unite mettono a disposizione una diaria da 147 dollari al giorno, che dovrebbe includere vitto, alloggio e spostamento, ma non è minimamente sufficiente.

Il fatto che molti dei paesi che subiscono maggiormente le conseguenze del cambiamento climatico abbiano avuto difficoltà a partecipare è un problema, anche perché fra i paesi più ricchi c’è sempre meno interesse a porre obiettivi ambientali ambiziosi. Gli Stati Uniti inoltre, che sono il secondo paese più inquinante al mondo dopo la Cina, si stanno ritirando dagli accordi sul clima di Parigi del 2015 e non invieranno alla COP alcun rappresentante di alto livello.

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