Governo e opposizioni hanno chiesto il referendum sulla riforma della giustizia
Entrambe le parti vogliono mostrare di non temere l’esito del voto, che si terrà probabilmente in primavera

Due gruppi di parlamentari, uno di centrodestra e uno di centrosinistra, hanno presentato alla Camera la richiesta di indire il referendum confermativo per la riforma costituzionale della giustizia, approvata in via definitiva al Senato la settimana scorsa. Perché la richiesta sia efficace, almeno un quinto dei membri della Camera dovrà sottoscrivere almeno una delle due proposte, che a quel punto potrà essere depositata in Corte di Cassazione.
La riforma introduce tra le altre cose la separazione delle carriere dei magistrati ed è molto divisiva, come dimostra anche il fatto che sia centrodestra che centrosinistra abbiano presentato la richiesta per il referendum. Entrambe le parti vogliono mostrare di non temere l’esito del referendum: né il centrodestra, che sostiene la riforma, né il centrosinistra, che la osteggia.
Per la riforma della giustizia serve un referendum confermativo perché è una legge costituzionale, cioè che modifica o integra la Costituzione: leggi di questo tipo devono essere votate due volte da ciascuna camera con una distanza da un voto all’altro di almeno tre mesi, e se non sono approvate con almeno due terzi dei seggi può essere richiesto un referendum confermativo e non entrano subito in vigore.
Oltre che da un quinto dei deputati (come in questo caso), un referendum confermativo può essere richiesto da 500mila elettori o da 5 consigli regionali. Sia maggioranza che opposizione avevano detto di voler presentare la richiesta per il referendum, come poi è stato. Il referendum probabilmente si terrà tra la metà di aprile e l’inizio di giugno del 2026. La riforma potrà essere effettivamente promulgata solo se voterà a favore più del 50 per cento dei votanti (nei referendum confermativi non è previsto un quorum, che è invece previsto nei referendum abrogativi).
La parte più contestata della riforma della giustizia riguarda come detto la separazione delle carriere tra pubblico ministero e giudice: cioè tra magistrati inquirenti, che conducono le indagini, e giudicanti, che emettono le sentenze. Al momento chi vuole diventare magistrato sostiene un unico concorso pubblico, valido per entrambe le funzioni, e dopo averlo superato decide se fare il pubblico ministero (pm) o il giudice. Può decidere di cambiare funzione una sola volta, nei primi nove anni di carriera.
La separazione delle carriere dei magistrati sarebbe un cambiamento notevole nell’ordinamento della magistratura, di cui si discute da decenni. A testimonianza di quanto la questione sia sentita, l’ultimo voto alla Camera su questa riforma a settembre si era concluso con una discussione accesissima tra deputati di maggioranza e opposizione, che sulla riforma hanno idee molto diverse.
I partiti di destra sono favorevoli alla riforma della giustizia perché, secondo loro, consentirebbe ai giudici di avere competenze specifiche senza essere condizionati da precedenti attività da pm o dalla frequentazione degli stessi ambienti dei pm. La riforma è particolarmente apprezzata da Forza Italia perché realizza un vecchio desiderio di Silvio Berlusconi. Anche Azione, il partito di Carlo Calenda, ha votato a favore della riforma, mentre Italia Viva di Matteo Renzi si è astenuto.
Le opposizioni di centrosinistra sostengono invece che la riforma sia un modo per dividere e quindi indebolire la magistratura. Ufficialmente il Partito Democratico si è detto contrario alla riforma, ma al suo interno ci sono esponenti che in passato avevano proposto al loro partito la separazione delle carriere (e tra questi c’è l’attuale responsabile Giustizia della segreteria di Elly Schlein, Debora Serracchiani). Anche il Movimento 5 Stelle e Alleanza Verdi e Sinistra si sono opposti alla riforma: in un comunicato i leader di AVS in particolare hanno parlato di una avvenuta «svolta autoritaria» da parte del governo.



