In dieci anni Netflix è cambiata, e ha cambiato noi
Da quando è arrivata in Italia si è mangiata le abitudini televisive delle persone ed è passata dalle serie d'autore alle fiction generaliste
di Gabriele Niola

La piattaforma di streaming Netflix ha cominciato a operare in Europa per la prima volta nel 2012, nel Regno Unito, in Irlanda, Finlandia, Norvegia e Svezia, paesi madrelingua inglesi o con una buona conoscenza della lingua inglese, in cui la connettività a internet ad alta velocità era molto diffusa. Nel 2014 aprì in Austria, Belgio, Francia, Germania, Lussemburgo e Svizzera e dieci anni fa, nell’ottobre del 2015, arrivò in Italia, Spagna e Portogallo, paesi lasciati tra gli ultimi d’Europa perché con una minore penetrazione della banda larga.
L’espansione in Europa fu l’inizio di un grande cambiamento sia per la piattaforma, sia per la produzione di film e serie dei paesi in cui sarebbe arrivata, sia infine per le abitudini di visione di molte persone. Se oggi le serie turche sono molto diffuse, se conosciamo i giochi dei bambini coreani di Squid Game e c’è una più diffusa abitudine a vedere contenuti con i sottotitoli, è una conseguenza dell’espansione di Netflix.

Una persona vestita da guardia di Squid Game al Torino Comics (Diego Puletto/Getty Images)
Dieci anni fa Netflix proponeva pochi contenuti originali. Solo due anni prima dell’arrivo in Italia aveva iniziato a produrre le proprie serie con House of Cards, e per il resto offriva film e serie di altre società, quasi tutti americani. Nel 2017 poi iniziò a produrne anche in Europa e, solo cinque anni dopo, l’area EMEA (Europa, Africa e Medio Oriente, in cui l’Europa era la parte che contava di più) aveva più abbonati di quanti ce ne fossero nel Nordamerica: 76 milioni contro 74.
La politica di localizzazione dei contenuti fu cruciale in questa crescita. Le prime serie europee di Netflix furono Dark in Germania, Marseille in Francia, Le ragazze del centralino in Spagna, The Crown nel Regno Unito e Suburra in Italia. La produzione originale è ancora adesso una delle maniere principali in cui la piattaforma attira abbonati, proponendo programmi che non possono essere visti altrove. È un tipo di strategia vecchia, Netflix ci arrivò quando fu chiaro che anche altre società avrebbero creato le proprie piattaforme di streaming e avrebbero tenuto per sé i propri film e le proprie serie invece di darli in concessione. Per Netflix divenne quindi importante cominciare per tempo a costruire un proprio catalogo. Meno scontato all’epoca era che producesse contenuti locali in tanti paesi del mondo.
A favorire questa decisione contribuì una direttiva dell’Unione Europea applicata nel 2018 e recepita entro il 2020, che imponeva a qualunque operatore video Over The Top, cioè attivo in più paesi, di avere nei propri cataloghi almeno il 30 per cento di produzioni europee. Netflix, come ogni altro concorrente, avrebbe potuto raggiungere questa quota solo con film o serie di catalogo, cioè vecchie, ma trovò più conveniente proporre anche produzioni locali nuove, per guadagnare abbonati. Nel 2017 spese circa 4 miliardi di euro in produzioni europee e nel 2018 il doppio, in uno sforzo che è cresciuto costantemente fino al 2022, anno in cui, secondo uno studio della società di analisi Ampere, Netflix nel suo catalogo aveva ben più del 30 per cento di prodotti europei richiesto.
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Le scelte su cosa produrre sono molto cambiate nel tempo a seconda di come cambiava il pubblico da raggiungere. I primi abbonati erano spettatori appassionati e informati, che conoscevano già il servizio e desideravano vedere serie e film americani. Poi la piattaforma si espanse rivolgendosi alle persone interessate a produzioni americane moderne ma che non la conoscevano. A quel punto, esaurito il pubblico poco interessato alle produzioni di Hollywood, per espandersi ancora Netflix cominciò a produrre in lingua locale, entrando in concorrenza con le reti nazionali dei singoli paesi. In un primo momento, tra il 2017 e il 2022, tutto questo veniva gestito da Los Angeles. I produttori europei che volevano proporre una serie o un film a Netflix dovevano volare lì: se la proposta veniva approvata, però, la distanza assicurava grande libertà durante la lavorazione.
All’epoca Riccardo Tozzi, produttore esperto che con la società Cattleya aveva già creato Romanzo criminale e Gomorra per Sky, e per Netflix aveva fatto Suburra, notò subito l’ampio margine di libertà che gli veniva lasciato nonostante il budget importante. Per tutto quel periodo Netflix non faceva nemmeno promozione, perché il servizio si promuoveva da solo con il passaparola. Alcuni di quei primi tentativi furono successi (come Dark, andata bene anche nei paesi anglofoni) e altri decisamente meno (Marseille, distrutta dalla stampa francese). Per la piattaforma era però più importante fare catalogo, cioè produrre quanto più possibile. In certi casi Netflix entrava subito nel progetto, dall’origine, in altri comprava serie o film a lavorazione finita, mettendoci il proprio marchio e distribuendole sulla piattaforma in esclusiva. In questo secondo caso per vincere sulla concorrenza offriva di più. Indigo, la casa di produzione di molti film di Sorrentino, fu una delle prime in Italia ad avere rapporti con la piattaforma quando nel 2016 le vendette il film Slam – Tutto per una ragazza, e rimasero sorpresi di quanto fossero stati pagati.
Questa fase terminò quando Netflix cominciò ad aprire le sedi nazionali. Fino a quel momento l’unico ufficio europeo era ad Amsterdam, e ci lavoravano circa 500 persone tra squadre di marketing, effetti visivi, postproduzione e localizzazione, oltre agli impiegati a capo delle operazioni di ogni singola nazione. La sede italiana fu aperta a maggio del 2022, in centro a Roma accanto a via Veneto. Come vicepresidente dei contenuti per l’Italia era già stata assunta da due anni Tinny Andreatta, che era stata a capo di Rai Fiction per vent’anni. Fu una scelta in tutto e per tutto simile a quelle fatte negli altri paesi, e racconta bene come in quel momento Netflix fosse arrivata a cercare di attirare un pubblico sempre più generalista. Non voleva più essere un servizio d’élite, ma mirava a fare concorrenza alla televisione gratuita, quindi aveva bisogno di qualcuno che conoscesse la produzione per un pubblico ampio.
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La scelta di aprire uffici nei singoli paesi fu motivata anche dalle ottime reazioni ai contenuti locali e quindi dalla necessità di aumentare la produzione, questa volta però con una squadra di ogni paese che ne conoscesse le specificità e potesse stare più vicina alla lavorazione. Da quel momento Netflix è diventata un committente più “normale” per il modo in cui approccia le singole produzioni, ma sempre originale per ciò che richiede. In ogni paese ha fatto richieste e approvato progetti che all’epoca non trovavano molte altre possibilità. In Italia ha riportato in produzione SKAM, sospesa da TIMVision e senza un canale, ha creato una serie fantasy come Luna Nera (andata molto male), ha prodotto serie animate di Zerocalcare, una serie documentaria come SanPa, un’altra con un protagonista con superpoteri come Zero, e infine una sulle baby squillo intitolata Baby, che è stata uno dei maggiori successi internazionali partiti dall’Italia. Lo sforzo produttivo di Netflix nei paesi europei ha spinto gli altri operatori a investire di più per non rimanere indietro e ad adeguare le proprie produzioni, nel tipo di storie ma anche nell’aspetto formale, a standard più internazionali.
Tra il 2022 e il 2023, dopo aver raggiunto un picco di abbonati durante la pandemia, le piattaforme entrarono tutte in crisi e cambiarono tattica. Netflix per prima: negli ultimi anni ha rallentato gli investimenti in produzione in tutto il mondo, per la prima volta ha cancellato delle serie in corso, è diventata più attenta a come spende i soldi e ha cominciato a puntare con ancora più decisione a un pubblico generalista.
Ora le sue produzioni locali non per forza hanno ambizioni internazionali. Anzi. Possono essere adattamenti di produzioni straniere oppure, come nel caso di Mare fuori, un grande successo può nascere da una serie che arriva su Netflix in seconda visione, dopo essere stata sulla Rai. È arrivata la possibilità di avere un abbonamento da 6,99 euro al mese con pubblicità e, dal 2024, quando ha toccato i 300 milioni di abbonati in tutto il mondo, Netflix ha smesso di comunicarli, nel tentativo di non essere più valutata in base a una metrica che ormai cresce di poco ogni anno.
Poche settimane fa, nel presentare la sponsorizzazione del restauro di una sala cinematografica di Roma di proprietà del Centro Sperimentale, il co-CEO di Netflix Ted Sarandos ha sostenuto che, tra il 2021 e il 2024, le sue produzioni abbiano creato oltre 5.500 posti di lavoro (ma bisogna tenere presente che una stessa persona può lavorare più volte per Netflix, in produzioni diverse, e che ogni incarico può essere conteggiato come un singolo posto di lavoro creato) e che queste produzioni abbiano avuto un impatto di oltre un miliardo di euro sull’economia italiana.



