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  • Mercoledì 22 ottobre 2025

Entrare nella Striscia di Gaza

Lo storico Jean-Pierre Filiu è riuscito a farlo pochi mesi fa e lo ha raccontato nel libro “Niente mi aveva preparato”, da oggi in libreria

Il fumo di un'esplosione sopra le macerie di Gaza, agosto del 2025 (Amir Levy/Getty Images)
Il fumo di un'esplosione sopra le macerie di Gaza, agosto del 2025 (Amir Levy/Getty Images)
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Dal 7 ottobre 2023, il giorno dell’attacco di Hamas nel sud di Israele, il governo israeliano ha vietato l’ingresso nella Striscia di Gaza ai giornalisti stranieri, chiudendo l’unico varco che in passato potevano usare per entrare nella Striscia, quello di Erez: una scelta che ha reso molto complicato raccontare e verificare in modo indipendente tutto ciò che è successo durante i due anni di attacchi contro Gaza.

Lo storico francese Jean-Pierre Filiu, esperto del Medio Oriente, ha potuto entrare nella Striscia con Medici Senza Frontiere e passarci più di un mese all’inizio di quest’anno, osservando le condizioni e la distruzione di un luogo che aveva spesso visitato in passato e che ha ritrovato completamente cambiato. 

Quel mese a Gaza Filiu lo ha raccontato nel libro Niente mi aveva preparato. Un reportage da Gaza, che esce oggi in libreria. È pubblicato da Altrecose, il marchio editoriale creato dal Post insieme a Iperborea, con la traduzione di Silvia Manzio: si può acquistare anche sul sito del Post. Niente mi aveva preparato racconta quello che Filiu ha visto con i propri occhi e quello che gli hanno raccontato le persone che abitano nella Striscia, ma è anche una lezione che mette il reportage nel contesto di quello che è successo prima e delle sue ragioni, volendo chiamarle ragioni.

Questa è una parte del capitolo “Il coordinamento”, che spiega come è organizzato l’accesso alla Striscia di Gaza, e come si è arrivati a queste restrizioni.

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Perché bisogna sapere che prima di poter accedere alla Striscia, ed eventualmente uscirne, tutto – assolutamente tutto – deve essere «coordinato» con le autorità israeliane, e quindi approvato da queste ultime. Tutto: le persone, che siano straniere o palestinesi, i beni, che si tratti di forniture umanitarie o di prodotti commerciali, tutto quello che si mangia e che si beve, che cura e che si vende, tutto, i pezzi di ricambio, le tubature per l’acqua, le bombole d’ossigeno e i sacchi di cemento, con il rischio che vengano respinti a causa di un possibile «duplice uso».

Contrariamente a quanto si pensa, un «coordinamento» tanto scrupoloso non è iniziato con l’assedio imposto da Israele alla Striscia dopo il massacro perpetrato da Hamas e dai suoi alleati il 7 ottobre 2023. Non deriva nemmeno dal blocco imposto all’enclave palestinese nel giugno del 2007, dopo che Hamas ne aveva preso il controllo. No, risale alla «guerra dei Sei giorni» del giugno del 1967, quando il trionfo di Israele sugli eserciti arabi gli consegnò il territorio palestinese di Gerusalemme Est, della Cisgiordania e della Striscia di Gaza – oltre alla penisola egiziana del Sinai e alle alture siriane del Golan –, e ogni distinzione fisica tra il territorio israeliano e i territori appena conquistati venne eliminata.

L’occupazione prese il nome volutamente neutro di «coordinamento delle attività del governo nei territori», più noto con l’acronimo inglese COGAT, diretto da un generale membro dello Stato maggiore. L’esercito israeliano consolidò quindi il suo controllo sulla Striscia attraverso lo sfollamento forzato di un decimo della sua popolazione e l’apertura tramite bulldozer di vie di controllo per i carri armati. Puntò inoltre sulla divisione tra gli islamisti, disposti a collaborare, e i nazionalisti palestinesi, nonché sull’apertura al mercato israeliano, molto interessato alla manodopera a basso costo di Gaza. Ma paradossalmente fu una dinamica di pace a contribuire alle successive chiusure dell’enclave.

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Puoi comprare Niente mi aveva preparato in libreria o sul sito del Post (con spedizione gratuita).

Qui sopra, alcune delle pagine illustrate di Niente mi aveva preparato. Un reportage da Gaza di Jean-Pierre Filiu.