Altri furti della storia del Louvre
Oltre a quello di domenica, e a quello famoso di un italiano con la Gioconda

Il furto di domenica al Museo del Louvre di Parigi è stato ripreso e commentato dai giornali francesi e internazionali, e sta alimentando un dibattito sull’efficacia delle misure di sicurezza di uno dei musei più grandi e visitati al mondo. I ladri hanno rubato otto pezzi della collezione di gioielli di Napoleone e di alcune sovrane francesi che erano esposti nella Galleria di Apollo, al primo piano. E ci sono riusciti in modo sorprendentemente semplice: usando un comune montacarichi, come quelli che si usano per i traslochi, per entrare da un balcone e poi fuggendo su due scooter; il tutto in circa 7 minuti.
Non si tratta del primo episodio del genere. Nel corso dei decenni, il Louvre ha dovuto più volte confrontarsi con furti, a volte anche clamorosi, che hanno messo in discussione i suoi sistemi di sorveglianza.
Nel 1990 un dipinto di uno dei più celebri pittori impressionisti, Pierre-Auguste Renoir, fu staccato dalla cornice e portato via da una galleria al terzo piano del museo. Otto anni dopo accadde lo stesso con un quadro di Jean-Baptiste Camille Corot. Nel 2021 furono ritrovati a Bordeaux due pezzi di un’armatura rinascimentale (un elmo e una corazza del XVI secolo) che erano stati rubati al Louvre nel 1983, dopo che un esperto d’arte li aveva riconosciuti durante la valutazione di una collezione privata. Nel gennaio del 1976 fu rubato un dipinto fiammingo e, nel dicembre dello stesso anno, un gruppo di ladri riuscì a sottrarre una spada tempestata di pietre preziose appartenuta al re di Francia Carlo X, entrando al secondo piano del museo attraverso un’impalcatura utilizzata dagli operai per i lavori di pulizia.
Il furto in assoluto più famoso della storia del Louvre fu però quello del 1911, quando l’italiano Vincenzo Peruggia decise di rubare la Gioconda portandosela via sotto il cappotto. Erano tempi in cui non esistevano gli allarmi, e le misure di sicurezza erano praticamente inesistenti. Peruggia si portò indisturbato la Monna Lisa a casa, tenendola nascosta per mesi sotto il pavimento della stanza da letto (secondo altre versioni fu un po’ più spudorato, e la appese addirittura sopra al tavolo della cucina).
L’indagine che ne seguì ebbe una risonanza mediatica enorme ma, come scrisse lo storico Aaron Freundschuh in un articolo del 2006 sulla rivista accademica Urban History, fu «incredibilmente infruttuosa». Peruggia fu arrestato soltanto nel 1913, quando provò a vendere la Monna Lisa a un antiquario di Firenze, che andò all’appuntamento insieme all’allora direttore degli Uffizi.
Nel giugno dell’anno dopo il tribunale di Firenze lo condannò a qualche mese di carcere. La pena fu poco severa, un po’ perché a Peruggia fu riconosciuta l’attenuante dell’infermità mentale, e un po’ perché il processo si svolse in Italia, dove nel frattempo parte dell’opinione pubblica aveva iniziato a considerare il furto un gesto patriottico. Peruggia raccontò infatti di aver rubato la Gioconda perché pensava che, essendo stata dipinta da Leonardo da Vinci, spettasse all’Italia, e che Napoleone l’avesse rubata. In realtà fu da Vinci a portarla in Francia e a venderla insieme ad altre opere al re Francesco I, e sembra che Napoleone si limitò a farla mettere nella propria camera da letto.

Una foto segnaletica di Vincenzo Peruggia (Getty)
Tra le persone brevemente coinvolte nel caso di Peruggia ci fu anche il pittore spagnolo Pablo Picasso, il più celebre interprete del cubismo. Picasso, che viveva a Parigi, venne interrogato non perché sospettato del furto della Gioconda, ma per un precedente episodio. Nel 1907 aveva acquistato due teste di statue iberiche rubate dal Louvre, ma poi le aveva consegnate alla polizia per timore di essere incriminato. Le aveva comprate da Géry Pieret, uno scrittore belga che ai tempi lavorava come segretario del poeta e drammaturgo francese Guillaume Apollinaire.
Come ha ricostruito lo storico dell’arte francese Noah Charney, tra il 1906 e il 1911 Pieret rubò piccoli oggetti dal Louvre, approfittando delle scarse misure di sicurezza del museo. Tra le altre cose, nel maggio del 1911 rubò una statua fenicia da una delle gallerie del Louvre, e poi inviò una lettera al Paris-Journal in cui offriva di venderla per 50mila franchi.
Parigi rimase sotto la dominazione nazista dal 14 giugno 1940 al 24 agosto 1944. In quel periodo gli occupanti si appropriarono di diverse opere d’arte del Louvre. Tra i casi più noti c’è quello dell’Immacolata Concezione dei Venerabili di Bartolomé Esteban Murillo, uno dei principali interpreti del barocco spagnolo. Il dipinto, realizzato a Siviglia nel 1678, fu portato in Francia dal generale Jean-de-Dieu Soult durante la guerra d’indipendenza spagnola dei primi dell’Ottocento, e verso la metà del secolo entrò nelle collezioni del Louvre. Nel 1941 il regime collaborazionista di Vichy lo cedette alla Spagna franchista in uno scambio di opere d’arte.
Nonostante l’occupazione, buona parte della collezione del Louvre fu però preservata grazie agli sforzi di Jacques Jaujard, l’allora direttore dei Musei nazionali di Francia, che organizzò lo spostamento delle opere più importanti in varie sedi sicure per proteggerle dalle requisizioni e dai saccheggi dei nazisti.
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