Perché le protagoniste delle commedie degli anni Duemila erano spesso giornaliste?
Ci sono più motivi di quanti immaginate

Nella prima scena della commedia romantica del 2003 Come farsi lasciare in 10 giorni la giornalista Andie Anderson – interpretata da Kate Hudson – legge a una collega un suo articolo di politica estera. Lo vuole proporre alla caporedattrice, ma sa già che non verrà mai pubblicato perché il giornale per cui scrive è una rivista che si occupa di tendenze di moda, celebrità e rubriche di “lifestyle”.
La scena inizia al minuto 2:30
Anche la protagonista di 30 anni in 1 secondo (2004) – interpretata da Jennifer Garner – è una redattrice di moda a New York. E lo stesso vale in I Love Shopping (2009) tratto dal libro di Sophie Kinsella, Il buongiorno del mattino (2010) con Rachel McAdams, L’amore non va in vacanza (2006) con Kate Winslet.
Insomma in molte commedie romantiche – un genere che andava fortissimo nel cinema statunitense degli anni Novanta e Duemila – le protagoniste fanno lo stesso lavoro. La giornalista forse più famosa delle commedie di quel periodo – anche se non di una commedia romantica – è il personaggio interpretato da Anne Hathaway ne Il diavolo veste Prada (2006): un’aspirante giornalista che viene assunta come assistente della caporedattrice della più famosa rivista di moda al mondo.
Non è casuale. I critici che negli anni hanno scritto di questa ricorrenza spiegano che un motivo è che alcune attività tipiche del lavoro giornalistico sono ottime come espedienti per avviare una trama romantica. Un’intervista, una trasferta per un articolo, o un incarico sotto copertura – come in Mai stata baciata (1999) con Drew Barrymore, inviata in un liceo per cercare informazioni per un articolo – creano un pretesto perfetto e credibile per l’incontro tra i protagonisti.
Inoltre gli sceneggiatori sceglievano spesso di far fare alle protagoniste le giornaliste perché questo lavoro si adattava bene al tipo di personaggi di cui parlavano le commedie romantiche, cioè tendenzialmente donne bianche della classe media. Il fatto che fossero giornaliste trasmetteva agli spettatori l’idea che avessero una professione intellettuale.
Inoltre questo lavoro permetteva loro di evitare la routine statica dell’ufficio. Alcune, come Andy Sachs in Il diavolo veste Prada, sono sempre in movimento, spesso nel ritmo frenetico di una grande città – molto spesso New York –, tra appuntamenti di lavoro ed eventi. In questo modo la loro professione appare credibile, ma al tempo stesso garantisce una dinamicità necessaria a far avanzare la storia.
Inoltre un lavoro che prevede la scrittura si adatta bene allo stile della commedia romantica perché sfrutta un certo grado di creatività che esiste in quel settore. Il lavoro giornalistico poi permetteva di trasmettere rapidamente al pubblico i valori e la personalità di un personaggio, soprattutto attraverso quelle scene in cui riflette su come scrivere un articolo, o lo rilegge fra sé e sé, e usa i propri pezzi come sfogo per raccontare le proprie ambizioni o i propri timori.
Uno dei primi personaggi per cui è stato pensato e sviluppato questo tipo di monologo interiore è Carrie Bradshaw, la protagonista della serie tv Sex and the City (1998-2004) interpretata da Sarah Jessica Parker. Bradshaw è generalmente considerata il modello originale che ha definito le protagoniste delle commedie romantiche degli anni Duemila. È una giornalista che cura una rubrica settimanale su sesso, relazioni e vita sentimentale su un quotidiano di New York. Ha una vita sociale molto attiva ed è riconosciuta come un’icona di stile, e nonostante sia sempre di fretta – è diventata famosa la sua corsetta sui tacchi – è vista come una donna impeccabilmente affascinante.
Questa rappresentazione ha contribuito a far sembrare il giornalismo un lavoro «chic, sexy e affascinante», e questa immagine è stata sfruttata in moltissime delle commedie romantiche successive, visto il successo internazionale della serie in quegli anni.
Tuttavia molti giornalisti, persone che quindi fanno questo lavoro veramente, hanno raccontato come in Sex and the City – e di conseguenza nelle commedie romantiche – la professione venga rappresentata in modo poco realistico, romanzato e soprattutto funzionale alla trama.
Viene mostrato come un lavoro per cui si ha molto tempo libero e per cui si esce spesso dalla redazione, non è il modo in cui lavora la maggior parte dei giornalisti (oggi ma neanche nei primi anni Duemila), che devono gestire più aspetti della produzione di un giornale contemporaneamente, spesso con tempistiche molto strette e spesso passando intere giornate in redazione.
A proposito di tempistiche poi, a volte non vengono rispettate fedelmente quelle del funzionamento di un vero giornale: Andie Anderson in Come farsi lasciare in 10 giorni ha appunto 10 giorni per scrivere il suo articolo, perché dopo 11 giorni la rivista andrà in stampa: è una tempistica piuttosto irrealistica perché oltre alla stesura del pezzo, a cui lavora il giornalista, ci sono fasi di revisione, editing e infine impaginazione che richiedono tempo.
Anche la deontologia professionale non viene sempre presa sul serio: il personaggio di Meg Ryan in Insonnia d’amore (1993) usa le ricerche per un articolo come scusa per fare una trasferta da Baltimora a Seattle per cercare di incontrare un uomo che le interessa. In 30 anni in 1 secondo si fa riferimento al fatto che Jenna Rink ingannava le persone con cui collaborava, rubava i progetti alle colleghe, e poi le faceva licenziare. Oppure ancora in Come farsi lasciare in 10 giorni durante una riunione si parla di come sfruttare la vicenda personale di una redattrice per un articolo.
Infine, un’altra teoria è che il giornalismo si adattava bene alle norme di genere eterosessuali tipiche delle commedie romantiche di quegli anni: era percepito come un lavoro «romantico», non minaccioso come avrebbero potuto esserlo invece professioni in ambito scientifico, tecnologico o ingegneristico considerate poco femminili. Lavori come la medica o l’avvocata avrebbero invece comportato uno stipendio troppo elevato, col rischio che potesse competere o superare quello del coprotagonista maschile.



