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  • Martedì 30 settembre 2025

In Ecuador il video del pestaggio di un manifestante sta alimentando le proteste

Dopo una settimana di cortei e blocchi stradali delle comunità indigene contro l'aumento del prezzo del gasolio, repressi con violenza

Un soldato e alcuni manifestanti a Otavalo, Ecuador (AP Photo/Dolores Ochoa)
Un soldato e alcuni manifestanti a Otavalo, Ecuador (AP Photo/Dolores Ochoa)
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Un video che mostra alcuni soldati colpire ripetutamente un manifestante moribondo sta animando le proteste in Ecuador, dove già da una settimana sono in corso grandi manifestazioni organizzate dalle comunità indigene contro l’eliminazione di alcuni sussidi sul gasolio. Il manifestante si chiamava Efraín Fueres, aveva 46 anni ed era uno dei leader delle comunità indigene: aveva tre ferite da arma da fuoco ed è morto in ospedale domenica, alcune ore dopo il pestaggio che si vede nel video. Per gli organizzatori delle proteste la sua morte è il risultato della repressione violenta da parte del governo del presidente Daniel Noboa, conservatore e liberista.

Il video è ripreso da una telecamera di sicurezza sulla strada statale E35, che passa dalle montagne Cotacachi (nel nord del paese, dove è avvenuto il pestaggio) e arriva alla capitale Quito. Mostra alcuni manifestanti cercare riparo dopo scontri con l’esercito. Due persone stanno trasportando Fueres, che è ferito da tre pallottole e non riesce a camminare: resta sdraiato sulla strada, soccorso solo da una persona che non lo lascia mentre gli altri fuggono. A quel punto arrivano due mezzi dell’esercito da cui scendono quattro soldati, che non prestano aiuto ma colpiscono Fueres e il suo soccorritore prima prendendoli a calci, poi con il calcio del fucile.

La procura di Cotacachi ha aperto un’indagine per “uso illegittimo della forza” da parte dei soldati, il governo ha invece sostenuto che i manifestanti avessero in precedenza attaccato un convoglio governativo che portava aiuti ad alcune comunità locali isolate da giorni a causa delle proteste (ci sono stati blocchi stradali). Secondo i portavoce del governo la scorta militare al convoglio sarebbe stata attaccata: 12 soldati sarebbero stati feriti, e 17 che risultano dispersi sarebbero stati presi in ostaggio dai manifestanti, che Noboa e i suoi ministri definiscono “terroristi”. Noboa sempre domenica ha denunciato un altro attacco al convoglio presidenziale, dicendo che le auto che ospitavano lui e alcuni ambasciatori stranieri (fra cui quello italiano Giovanni Davoli) sono state colpite con bottiglie molotov e pietre.

Il blocco di una strada a Otavalo, Ecuador (AP Photo/Dolores Ochoa)

Le proteste sono organizzate dalla Confederazione delle nazionalità indigene dell’Ecuador (CONAIE), una potente organizzazione che ha molto seguito nelle comunità indigene: fra il 1997 e il 2005 organizzò manifestazioni e proteste che contribuirono a far cadere i governi di tre presidenti.

CONAIE smentisce le ricostruzioni del governo e dell’esercito sulla morte di Fueres e denuncia l’uso di armi da fuoco contro i manifestanti, le interruzioni della rete internet e di quella telefonica, il blocco di conti correnti delle associazioni legate alle proteste e procedimenti contro i suoi avvocati, accusati di reati finanziari. Dodici manifestanti arrestati nei giorni scorsi sono stati trasferiti in carceri lontane e note per essere molto violente, come quelle di Portoviejo ed Esmeraldas: in quest’ultima la scorsa settimana 17 persone sono state uccise negli scontri fra gruppi criminali. Per CONAIE si tratta di misure  per intimidire i manifestanti.

Le proteste sono cominciate per l’abolizione del sussidio al gasolio, passato da 1,8 a 2,8 dollari statunitensi al gallone (ossia 3,78 litri; dal 2000 la valuta dell’Ecuador è il dollaro). Si sono poi ampliate: le comunità indigene chiedono anche la cancellazione dell’aumento dell’IVA, salita lo scorso anno dal 12 al 15 per cento, il divieto di nuove estrazioni minerarie nelle regioni dove le comunità indigene sono più presenti, nonché una risposta immediata alle profonde carenze del sistema sanitario.

Un presidio dell’esercito a Latacunga, Ecuador (AP Photo/Dolores Ochoa)

Noboa, eletto ad aprile per un nuovo mandato di quattro anni, non intende trattare con i manifestanti: in passato provvedimenti simili sul prezzo del gasolio erano stati ritirati a causa delle proteste che avevano causato soprattutto tra la popolazione indigena. Il suo governo di centrodestra sta cercando di tagliare la spesa pubblica e ridurre il deficit dello stato, anche per rispondere alle richieste del Fondo Monetario Internazionale, dai cui prestiti l’Ecuador dipende a causa di una crisi economica profonda. Il paese è inoltre alle prese con ricorrenti blackout, causati da siccità e problemi alle infrastrutture, e con la diffusa violenza dei gruppi criminali, che Noboa sta provando a fronteggiare con misure radicali e impiegando l’esercito (ma senza finora ottenere risultati sensibili).