Cosa ne è delle videoteche

Ne sono rimaste poche e non noleggiano più, ma hanno una clientela di collezionisti che sembra in crescita

di Gabriele Niola

(James Leynse/Corbis via Getty Images)
(James Leynse/Corbis via Getty Images)
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«Le videoteche come le intendevamo una volta purtroppo non esistono più» spiega Luciana Migliavacca, presidente di Univideo, l’associazione che cura i diritti delle aziende che lavorano nell’home video. «Ci sono in linea di massima negozi che trattano l’intrattenimento – dai dischi ai gadget o ai libri – e che vendono anche DVD e Blu-ray». Dopo un decennio di costante declino molti esercenti, anche in Italia, raccontano però che negli ultimi anni qualcosa è cambiato e che c’è un nuovo pubblico. «Esistono diversi negozi che vendono l’usato», dice Migliavacca, «ma il vero segnale che ci fa pensare che ci sia un rifiorire del settore è che le grandi catene come Feltrinelli o MediaWorld hanno ricominciato a esporre DVD e Blu-ray».

Non esiste una stima precisa di quanti siano oggi i negozi che noleggiano e vendono DVD in Italia: Terminal Distribution, uno dei più grandi distributori di prodotti home video, sostiene che siano circa 600.

È naturalmente un numero piccolo rispetto a quando il business delle videoteche in Italia era in salute, prima che arrivassero le piattaforme di streaming. Per fare un esempio Blockbuster, la catena con più punti vendita al mondo (9mila), nata nel 1985 a Dallas, ne aveva 40 in Italia. Oggi di quei 40 ne sono rimasti una manciata, che non sono più affiliati a Blockbuster – la società è fallita nel 2010 e ha chiuso definitivamente nel 2013 – ma continuano a lavorare come videoteche con un’attività che è molto cambiata. Prima il noleggio on demand e poi lo streaming in abbonamento hanno soppiantato la pratica di noleggiare film, che oggi resiste solo per i classici, poco presenti nei cataloghi delle piattaforme. Il grosso dell’attività delle videoteche è quindi la vendita, in particolare per il collezionismo (ma quasi sempre vendono anche altri prodotti).

La prima videoteca nacque nel 1975 in Germania, in un negozio nato per prestare pellicole Super 8, poi passato al noleggio. Fu però negli Stati Uniti che qualcuno pensò di chiedere a uno studio, la 20th Century Fox, il permesso di vendere in licenza la versione in videocassetta di cinquanta dei loro film. Per i consumatori fu la prima volta in cui poterono vedere un film autonomamente, senza dipendere da orari di proiezione o di messa in onda.

Per molti anni i negozi di videonoleggio rimasero per lo più indipendenti, gestiti in autonomia, e solo in rari casi parte di piccole catene. Fu Blockbuster, tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90, a trovare la formula che portò a un’espansione maggiore di tutti gli altri. Le innovazioni di quella catena furono sia tecniche (per esempio inventarono le penali per la riconsegna in ritardo) sia di marketing.

I negozi si presentavano meglio, erano molto più illuminati, colorati e ordinati. Tutto il design e l’arredamento erano finalizzati a far percepire l’esperienza del noleggio come un momento speciale. Inoltre avevano un catalogo più ampio della media, con molte novità e pochissimi classici, ma capace di offrire una grande scelta grazie a un sistema informatizzato. La quantità di copie a disposizione per ogni film dipendeva da quanto erano richiesti per evitare di scontentare i clienti. Inoltre cominciarono a vendere popcorn, snack e tutto ciò che poteva completare l’esperienza della visione. Si stima che, al picco della loro diffusione negli Stati Uniti, la maggior parte dei videonoleggi distassero meno di 500 metri l’uno dall’altro.

Negli anni Duemila l’arrivo della pirateria informatica non intaccò troppo gli affari dei videonoleggi, almeno in Italia. Le piattaforme di streaming invece ne portarono molti alla chiusura, specialmente quelli che come Blockbuster puntavano sulle novità. Le videoteche che invece avevano una clientela affezionata e puntavano sui classici e sul collezionismo sopravvissero. Molte di queste chiusero in seguito alla pandemia, sia per i mesi di inattività, sia perché i lockdown spinsero un gran numero di persone a sottoscrivere un abbonamento alle piattaforme.

Oggi ci sono circa 600 videoteche attive sparse in tutta Italia, sia in grandi centri che in provincia, a differenza delle sale cinematografiche, più concentrate nelle città grandi. Raccontano che il pubblico che le sostiene non è piccolo, anche visto lo scarso numero di concorrenti. A Milano per esempio ce ne sono quattro: Videobrera, Antica videoteca di Baggio, Bloodbuster e Zari Films 1965. A Roma invece le più grandi e note in attività sono due: Hollywood, in centro, e Green Video. Tutte confermano che il loro margine è sui film assenti dalle piattaforme, non pochi, specialmente tra i classici o i film che per ragioni diverse sono difficili da trovare, spesso perché poco famosi e stampati in poche copie. Come all’inizio della sua storia, oggi l’home video è quindi legato più che altro all’idea di possedere un film, l’unica cosa che le piattaforme non consentono.

Come spesso infatti fanno notare gli appassionati (il più famoso dei quali è Quentin Tarantino, che ha anche un podcast in cui parla di film a partire dalle edizioni in videocassetta) è sbagliato pensare che i film oggi disponibili online lo saranno per sempre. Anzi. La disponibilità è soggetta a modelli di business, convenienze aziendali e costi da sostenere. Le piattaforme di streaming potrebbero non rendere più disponibile nessuno dei loro film se un diverso modello diventasse per loro più conveniente.

In questo senso per essere certi di poter vedere un film quando si vuole bisogna possederlo. Inoltre molti titoli sono disponibili online solo a noleggio per un prezzo intorno ai 4 euro, mentre l’acquisto del supporto fisico costa il doppio ma non ha il limite di una sola visione.

Nonostante il pubblico delle videoteche abbia prevalentemente più di 40 anni, negli ultimi anni diversi esercenti hanno visto un piccolo aumento di spettatori giovani, anche perché i film sono sempre più sparsi su piattaforme diverse, il cui prezzo tende ad aumentare e con sempre più limitate possibilità di condivisione degli abbonamenti. Se ne sono accorti anche gli editori, che sempre di più puntano sul collezionismo facendo uscire edizioni di lusso dei loro film, con molti contenuti extra sia all’interno dei dischi sia fuori, con libretti, gadget e merchandising inclusi nei cofanetti. Vale sia per i titoli storici che puntano a un pubblico adulto, sia per altri più recenti e destinati a un pubblico più giovane, come gli anime giapponesi o gli OAV (cioè produzioni pensate direttamente per l’home video).

«È un pubblico che vuole l’oggetto materiale in casa, quindi i titoli che vengono fatti uscire hanno una confezione “bella”, che avvicina l’home video al culto del vinile o del libro» spiega Terminal. «In fondo è lo stesso pubblico, quello dei supporti materiali, per questo i vinili si vendono nelle librerie». Il prezzo non è poi molto diverso da quello che si paga comprando online e c’è chi ha stabilito un rapporto con l’esercente, che avverte per tempo gli appassionati delle uscite più interessanti.

Infine la cultura dell’home video è durata così a lungo che esistono molti titoli, tra cortometraggi, lungometraggi e documentari, che sono pubblicamente disponibili solo in un formato home video, magari perché non più ristampati, per questioni di diritti o perché sono stati modificati, come per esempio la trilogia originale di Guerre stellari, la cui prima versione è disponibile solo in vecchie videocassette o LaserDisc. Questo ha reso alcuni archivi di videocassette o DVD particolarmente preziosi.