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  • Venerdì 26 settembre 2025

L’Italia ha sprecato i fondi per migliorare le condizioni dei braccianti

Il PNRR prevede 200 milioni di euro per superare i “ghetti” di chi lavora nell'agricoltura: ne verranno spesi 24

La baraccopoli di San Ferdinando, in Calabria (Ansa)
La baraccopoli di San Ferdinando, in Calabria, nel 2018 (Alessandro Sgherri/Ansa)
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Nel 2022 il governo di Mario Draghi stanziò 200 milioni di euro di fondi europei del PNRR per smantellare i cosiddetti “ghetti”, cioè insediamenti informali dove vivono migliaia di lavoratori migranti impiegati nella raccolta stagionale di frutta e ortaggi. Più della metà del finanziamento, 114 milioni di euro, doveva servire a chiudere le baraccopoli di Borgo Mezzanone, di Cerignola e di Torretta Antonacci, in Puglia. In totale, furono finanziati 37 progetti, la gran parte dei quali nel Sud Italia. A tre anni di distanza però non è stata tolta neppure una baracca e non è stato creato nessun nuovo posto letto. E la quasi totalità di quei 200 milioni di euro non verranno spesi.

Fonti del ministero del Lavoro hanno confermato al Post che verranno finanziati soltanto 11 progetti, quelli più piccoli e che possono essere conclusi entro il mese di giugno del 2026. Alla fine di luglio il prefetto Maurizio Falco, commissario straordinario nominato dal governo di Giorgia Meloni, ha sbloccato 24 milioni di euro per realizzarli. Non saranno toccati invece gli insediamenti pugliesi, di fatto delle piccole città dove 10mila migranti vivono in tende o baracche senza acqua, senza corrente elettrica e senza nessun servizio.

Per capire come si è arrivati a questo punto bisogna tornare al 2022, quando l’allora ministro del Lavoro Andrea Orlando, del Partito Democratico, chiese ai comuni di fare un censimento delle persone nei “ghetti” per decidere come ripartire i soldi del PNRR. Sulla base dei risultati il ministero approvò 37 progetti che prevedevano di costruire nuovi alloggi, ristrutturare edifici abbandonati, creare un sistema di trasporti verso i campi e aprire centri medici o sportelli di assistenza ai migranti. L’obiettivo era di assicurare condizioni di vita dignitose ai lavoratori e di sottrarli al controllo dei cosiddetti caporali, che gestiscono gli affitti e il trasporto nelle campagne. La fine dei lavori fu prevista entro il mese di marzo del 2025. Di lì a qualche mese però Draghi si dimise, arrivò il governo Meloni e il piano fu di fatto congelato.

Nel frattempo sono cambiate anche alcune amministrazioni comunali, le quali non si sono più occupate dei progetti approvati dalle giunte precedenti o hanno rifiutato i finanziamenti. A Rovigo la sindaca Valeria Cittadin, di centrodestra, ha cancellato con una delibera la ristrutturazione di un’ex scuola elementare e di un ufficio dell’anagrafe per creare 30 posti letto, alcuni sportelli di assistenza ai migranti e un centro medico. Ha detto che voleva evitare che si creasse una «sacca di disagio» nel quartiere dove si trovano le strutture, che si trova in una zona periferica della città. In totale sono 12 i comuni che hanno ritirato i loro progetti.

Altri comuni hanno fatto pressione sul governo per non perdere i fondi e hanno denunciato lo stallo. Per sbloccare la situazione, a giugno del 2024 il governo Meloni ha nominato il commissario Falco, che per prima cosa ha chiesto e ottenuto dalla Commissione Europea una proroga per la fine dei lavori: da marzo del 2025 a giugno del 2026.

A febbraio del 2025 però la Corte dei Conti ha bocciato la metà dei progetti e ha dimezzato il finanziamento. Nella delibera che fa il punto sulla realizzazione del piano per il «superamento degli insediamenti abusivi» ha individuato solo 19 comuni «potenzialmente idonei» a realizzare i progetti, per un totale di poco più di 6mila posti letto. Gli altri progetti sono stati contestati perché avrebbero dei tempi di realizzazione troppo lunghi, per «l’indeterminatezza del numero di destinatari dell’intervento» e per la «difficoltà nel reperimento degli immobili». I magistrati contabili hanno scritto che il piano «avrebbe ancora potuto essere perseguito e realizzato entro il previsto termine del marzo 2025, qualora tutte le risorse disponibili fossero state messe a sistema in un contesto di grande e convinta collaborazione».

I progetti più impegnativi in un primo momento sono stati ridimensionati. A Borgo Mezzanone si è passati dalla costruzione di 4mila posti letto a 1.250, mentre a Cerignola quattro edifici per ospitare i migranti sono diventati 80 posti letto in alcuni container.

Il 24 luglio c’è stata una riunione del Comitato nazionale per il contrasto al lavoro sommerso, che è un organismo previsto dal PNRR di cui fanno parte i ministeri del Lavoro e dei Trasporti, le forze dell’ordine, l’Agenzia delle Entrate, l’INPS, l’INAIL, le associazioni dei datori di lavoro e i sindacati. Il dirigente del commissariato Augusto Santori ha comunicato lo sblocco di 26 milioni di euro per finanziare la costruzione di 700 posti letto in 12 comuni sparsi in tutta Italia.

Nei giorni seguenti, il sindaco di Lesina Primiano Di Mauro ha rinunciato ai fondi, in totale 1,9 milioni di euro per ristrutturare un ostello dove ospitare 30 braccianti, perché «la comunità è contraria». Lesina è un comune pugliese interessato da uno di questi progetti. Il finanziamento complessivo è così sceso a 24 milioni di euro, molti meno dei 200 milioni assegnati dal governo Draghi. Secondo quanto risulta al Post il governo ha chiesto alla Commissione Europea di utilizzare in altri modi i soldi che non saranno spesi ed è ancora in attesa di una risposta, ma è assai improbabile che la Commissione accetti.

Non è stato previsto nulla per la chiusura dei “ghetti” pugliesi, e neppure per quelli calabresi di San Ferdinando e Taurianova, in Calabria, che nel frattempo sono stati finanziati con il cosiddetto decreto “Caivano bis” sul recupero di alcune periferie considerate a rischio e con alcuni fondi di coesione europei. Inoltre non sono stati confermati né i 4 milioni di euro destinati a Latina, dove migliaia di migranti vivono in masserie diroccate e in baracche nelle campagne; né i 2 milioni e mezzo per sistemare 800 migranti che lavorano in agricoltura e nel settore forestale a Castel Del Piano, un comune alle pendici del monte Amiata in Toscana, dove da un anno l’amministrazione chiedeva al governo di poter cominciare i lavori.