L’iniziativa del carcere di Pavia per distribuire preservativi ai detenuti
È un approccio innovativo alla sessualità che punta a limitare le malattie, ma è già stato contestato

Dallo scorso febbraio la direttrice del carcere di Pavia Stefania Mussio ha autorizzato la distribuzione di preservativi ai detenuti per evitare la trasmissione di malattie: la notizia è emersa solo mercoledì in seguito alle critiche del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap), la sezione del ministero della Giustizia che si occupa delle carceri. Il Dap ha contestato l’iniziativa, giudicandola un rischio per la sicurezza.
Le critiche sono dovute principalmente al fatto che la sessualità in carcere è un argomento poco discusso e di fatto ignorato dalle normative ufficiali. In teoria non ci sono leggi che vietano di fare sesso in carcere, ma spesso nelle carceri maschili il sesso non è consensuale e viene sfruttato come forma di scambio per ottenere alcol, sigarette, medicine o favori. L’obiettivo della direttrice è appunto limitare le conseguenze sanitarie di questo fenomeno: è un’iniziativa eccezionale e al momento non se ne conoscono di simili tra le carceri italiane, e anche per questo è criticata dal Dap.
La direttrice ha autorizzato l’acquisto di 720 preservativi, distribuiti sulla base delle valutazioni del dirigente sanitario Davide Broglia, obbligato tra le altre cose a registrare ogni consegna. Nell’ordine di servizio di febbraio l’iniziativa viene giustificata con «motivi terapeutici», un tentativo per limitare malattie come AIDS, epatiti o sifilide, più diffuse nella popolazione detenuta rispetto alla media. Finora ne sono stati distribuiti 20. In questo caso il preservativo è considerato un presidio sanitario esattamente come altri dispositivi di protezione individuale o strumenti di prevenzione, in quanto prescritto per tutelare la salute individuale e collettiva.
Il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ha scritto in una nota che la distribuzione di preservativi è un rischio per l’ordine e la sicurezza delle carceri e lo ha giudicato inefficace nella prevenzione di malattie. Secondo il Dap, i preservativi potrebbero anche essere utilizzati per nascondere sostanze stupefacenti per eludere i controlli.
Secondo i sindacati della polizia penitenziaria la distribuzione di preservativi per evitare la trasmissione delle malattie certifica il fallimento del sistema carceri. I sindacati hanno criticato anche il Dap, che si è limitato a contestare l’iniziativa senza offrire soluzioni.
L’associazione Antigone, che si occupa di tutelare i diritti delle persone che si trovano in carcere, crede invece che sia un’iniziativa ragionevole. «Il sesso in carcere è trattato come un tabù. Ignorarlo è essere omertosi e ciechi. In una comunità monosessuata è importante prevenire forme di sessualità forzata e violenta e malattie», ha detto il presidente Patrizio Gonnella.
In generale da anni in Italia si discute del diritto alla sessualità nelle carceri, anche per via delle sollecitazioni arrivate a livello nazionale ed europeo sotto forma di iniziative e appelli ma anche di giurisprudenza. Nonostante sia spesso sminuito e trattato come una questione frivola o poco importante, il suo riconoscimento si ispira ai principi costituzionali e ai regolamenti europei e italiani sulle carceri, che vietano i trattamenti inumani e degradanti.
Dall’inizio dell’anno in alcune carceri italiane sono stati avviati programmi sperimentali per permettere ai detenuti di fare colloqui intimi con le proprie compagne senza la sorveglianza della polizia penitenziaria, con l’obiettivo di avere rapporti sessuali (lo hanno esplicitato i detenuti nelle rispettive richieste). A Parma e a Terni ci sono stati i primi due casi da quando, nel 2024, una sentenza della Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo il divieto all’affettività in carcere.
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