Anche la Corte europea dei diritti dell’uomo ha respinto il ricorso di Alfredo Cospito per la revoca del 41-bis

La Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) ha respinto il ricorso del militante anarchico Alfredo Cospito per la revoca del 41-bis, ritenendo la richiesta infondata. Secondo la Corte l’applicazione del regime a cui è sottoposto Cospito è legittima e compatibile con le sue condizioni di salute, che si sono deteriorate a causa dello sciopero della fame che aveva condotto tra il 2022 e il 2023 proprio per protesta contro il provvedimento: il 41 bis, il cosiddetto “carcere duro” nell’ordinamento giudiziario italiano, gli era stato imposto nel maggio precedente.
La richiesta di revoca era stata respinta prima dal tribunale di sorveglianza di Roma e poi, nell’aprile del 2023, dalla Corte di Cassazione, l’ultimo grado della giustizia italiana. Flavio Rossi Albertini, l’avvocato di Cospito, ha detto che la decisione della CEDU era scontata, e che la richiesta «non lasciava grandi speranze di successo»; ha ricordato che tra pochi mesi scadranno i termini del provvedimento (a maggio del 2026, dato inizialmente dura 4 anni), e che pertanto attenderanno nuovi pareri sulla necessità o meno del rinnovo.
Cospito è un anarchico insurrezionalista, cioè seguace della teoria anarchica che prevede atti di ribellione violenta individuali e collettivi. Nel 2013 fu condannato a una pena di nove anni e sei mesi per aver ferito un dirigente dell’Ansaldo e, quando era già in carcere, per un attentato del 2006 a una caserma dei carabinieri in provincia di Cuneo che non causò né morti né feriti. Nel 2022 tuttavia la Corte di Cassazione stabilì che dovesse essere giudicato non per “strage comune” ma per “strage politica”, un reato più grave: contestualmente fu ritenuto parte di un’organizzazione terroristica e gli fu imposto il 41-bis, che si applica per impedire ai membri di organizzazioni come quelle mafiose e terroristiche di mantenere i contatti con i propri gruppi criminali fuori dal carcere.
Per 182 giorni Cospito condusse uno sciopero della fame con l’obiettivo di riportare l’attenzione sull’applicazione dei regimi di detenzione estremi in Italia, e che fu effettivamente molto seguito sui media e dall’opinione pubblica. Una parte della sua vicenda giudiziaria si concluse nel giugno del 2023, con la condanna a 23 anni da parte della Corte d’assise d’Appello di Torino. La sua vicenda comunque continuò a far discutere del 41 bis, che da tempo molti critici ritengono contrario ai princìpi costituzionali.
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