La tassa sui ricchi di cui si parla tanto in Francia
Si chiama “tassa Zucman”, dal nome del suo ideatore, e molti a sinistra la vedono come un'alternativa all'austerità

Durante le partecipate manifestazioni che si sono svolte il 10 e il 18 settembre in Francia contro i tagli alla spesa pubblica, si vedevano spesso spuntare dei cartelli che invocavano la cosiddetta “tassa Zucman”, taxe Zucman. È una proposta fatta dall’economista francese Gabriel Zucman, che prevede un’imposta annuale del 2 per cento sui patrimoni netti superiori ai 100 milioni di euro. Nelle ultime settimane la “tassa Zucman” è diventata una specie di simbolo della sinistra francese, e i manifestanti e i partiti di sinistra vorrebbero venisse inserita nella prossima legge di bilancio al posto di eventuali politiche di austerità che indebolirebbero il sistema di welfare francese.
Una proposta di legge che prevedeva la tassa Zucman era stata approvata a larga maggioranza dall’Assemblea Nazionale lo scorso febbraio, ma era poi stata bloccata a giugno dal Senato. Oggi se n’è tornati a parlare non più come una misura autonoma, ma come un possibile pezzo della legge di bilancio per il 2026, di cui il governo sta discutendo in queste settimane. Sui giornali, online e nelle trasmissioni televisive viene spesso presentata come l’unica cosa che potrebbe convincere il Partito Socialista a votare a favore della legge, dando al nuovo primo ministro Sébastien Lecornu i voti che al momento gli mancano per farla approvare.
Benché secondo un recente sondaggio dell’istituto francese Ifop la tassa Zucman goda di un ampio e trasversale sostegno fra la popolazione francese, i partiti vicini al presidente Emmanuel Macron e il partito di estrema destra del Rassemblement National sono contrari alla sua introduzione. Quasi tutti riconoscono la necessità di tassare di più i cosiddetti “ultraricchi”, ma allo stesso tempo sostengono che una tassa di questo tipo finirebbe per causare un loro trasferimento fuori dalla Francia, con conseguenze a lungo termine per la sua economia: fra i sostenitori di questa tesi ci sono anche Macron e l’ex primo ministro François Bayrou.
Della stessa opinione è Bernard Arnault, amministratore delegato di LVMH e uno degli uomini più ricchi del mondo, che ha accusato Zucman di essere un «militante di estrema sinistra» che vuole «distruggere l’economia francese».

Un cartonato di Bernard Arnault che tiene un cartello con scritto “tassatemi” durante una manifestazione vicino al Senato il giorno del voto sulla tassa Zucman, a giugno del 2025 (REUTERS/Abdul Saboor)
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Secondo Gabriel Zucman, la sua tassa riguarderebbe solo 1.800 famiglie francesi e potrebbe portare allo stato circa 20 miliardi di euro all’anno, circa la metà di quanto Bayrou contava di risparmiare nella sua impopolare proposta di legge di bilancio, che ha poi portato alla caduta del suo governo a inizio settembre. Secondo alcuni economisti fra cui Philippe Aghion, professore al Collège de France (una prestigiosa scuola di Parigi), questa stima sarebbe esagerata e la tassa frutterebbe al massimo 5 miliardi di euro: una cifra importante ma molto più bassa e che, sostengono, non varrebbe il rischio di veder scappare dalla Francia i suoi imprenditori più ricchi.
Questo divario dipende soprattutto dalla stima che viene fatta sulle persone che lascerebbero la Francia dopo l’imposizione della tassa, che secondo Zucman sarebbero molte meno di quelle che alla fine sceglierebbero di rimanere. Inoltre, argomenta Zucman, la tassa potrebbe essere modificata per coprire tutte le persone che hanno la cittadinanza francese, anche se risiedono all’estero (come succede per esempio per i cittadini degli Stati Uniti) oppure potrebbe essere imposta per cinque o dieci anni a chi ha lasciato il paese subito prima o subito dopo la sua entrata in vigore.
Per Zucman e altri economisti che sostengono la sua tesi, fra cui Thomas Piketty e sette vincitori del premio Nobel che ne hanno parlato su Le Monde, la tassa non solo sarebbe utile, ma servirebbe anche a rimediare al fatto che le persone più ricche finiscono per pagare in proporzione molte meno tasse non solo rispetto alla classe media, ma anche agli altri ricchi. Secondo l’Istituto di Politiche Pubbliche di Parigi, lo 0,1 per cento delle persone più ricche di Francia paga un’aliquota fiscale effettiva media del 46 per cento, ma quelle che appartengono allo 0,0002 (quindi i più ricchi tra i ricchi) ne pagano una effettiva del 26 per cento.
Questo accade perché in Francia – come in Italia e non solo – il reddito da lavoro è molto più tassato rispetto ai redditi finanziari, da cui dipende una parte considerevole dei patrimoni delle persone più ricche. Inoltre i redditi finanziari finiscono per essere tassati ancora meno perché spesso vengono gestiti attraverso la creazione di holding familiari, ancora più vantaggiose. Come ha scritto recentemente il settimanale economico francese Challenges, la ricchezza totale delle 500 famiglie più ricche di Francia è cresciuta molto più della ricchezza nazionale. Nel 1996 rappresentava il 6 per cento del PIL, contro il 40 per cento di oggi.

Gabriel Zucman nel 2021 (ANSA/EPA/FRANCOIS WALSCHAERTS)
Una critica più complicata a cui rispondere è quella che riguarda le persone a capo di aziende valutate in miliardi di euro che però generano ancora entrate molto limitate, come diverse start-up che si occupano di intelligenza artificiale. Un esempio è Arthur Mensch, amministratore delegato Mistral AI, fra le più importanti aziende europee nel settore dell’intelligenza artificiale. Il patrimonio di Mensch è valutato sulla base della quotazione della sua azienda, di cui lui possiede delle partecipazioni. Ma Mensch non possiede fisicamente il denaro derivante dalle sue partecipazioni in Mistral, e in una recente intervista ha detto che non sarebbe in grado di pagare 24 milioni di euro di tasse annuali che gli spetterebbero se entrasse in vigore la tassa.
Zucman ha detto che per questi casi, che sono comunque pochi, si potrebbe trovare un accordo che permetterebbe, per esempio, di pagare la tassa attraverso il trasferimento di azioni di queste società allo Stato. Allo stesso tempo diverse persone che lavorano in questo settore hanno detto che, se questa tassa fosse stata già in vigore qualche anno fa, forse avrebbero scelto di fondare le loro aziende in paesi con regimi fiscali più agevolati. Questo effetto indiretto sull’economia è proprio quello di cui hanno paura i politici che si oppongono all’approvazione della tassa, il cui impatto a lungo termine è difficile da valutare.
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