L’ingiustificato allarme di Trump sul paracetamolo in gravidanza
È uno dei farmaci più usati da chi è incinta: secondo lui causerebbe l'autismo ma non ci sono chiare prove scientifiche

Lunedì sera in un evento alla Casa Bianca, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha detto che saranno riviste le linee guida per l’assunzione in gravidanza del paracetamolo (venduto negli Stati Uniti col nome commerciale Tylenol, mentre in Italia il marchio più famoso è Tachipirina), sostenendo senza chiare basi scientifiche che possa causare l’autismo. L’annuncio ha suscitato molte perplessità in ambito medico e nella comunità scientifica, considerato che le prove su una correlazione tra paracetamolo in gravidanza e autismo sono discusse da decenni e ritenute deboli, senza un consenso scientifico tale da giustificare dichiarazioni perentorie come quelle di Trump e della sua amministrazione.
Nel corso dell’evento, Trump si è rivolto alle donne incinte dicendo più volte «Non prendete il Tylenol» e «Combattete come non mai per non prenderlo». Ma le linee guida sanitarie seguite da praticamente tutti i paesi nel mondo dicono il contrario, indicando il paracetamolo come un farmaco molto importante per evitare alcuni problemi durante la gravidanza (a patto di non eccedere con le dosi). Il paracetamolo è del resto uno dei principi attivi più diffusi ed economici, lo si usa per abbassare la febbre o ridurre il dolore, e si stima che sia usato da una donna incinta su due in tutto il mondo.
Trump ha ringraziato il segretario alla Salute Robert F. Kennedy Jr per avere consigliato la revisione delle indicazioni sul paracetamolo e per «avere portato la questione al centro della politica americana». Dopo la sua nomina, Kennedy aveva sostenuto che avrebbe trovato la causa dell’autismo entro la fine di settembre e aveva trascorso mesi a fare dichiarazioni sul tema. Per anni Kennedy ha inoltre sostenuto che ci sia una correlazione tra vaccini e autismo, una circostanza mai provata e che ha alla base una delle più grandi frodi scientifiche in ambito sanitario dell’ultimo secolo.
A oggi non è chiaro quali siano le cause dell’autismo, o per meglio dire dell’insieme di condizioni che si manifestano in età precoce e che portano le persone interessate ad avere vari livelli di difficoltà nell’interazione sociale. Proprio per via dei suoi confini difficili da identificare, la sua definizione è variata molto nel tempo ed è ancora al centro della discussione nella comunità scientifica. Si ritiene che tra i fattori di rischio ci siano problemi genetici e particolari condizioni che si verificano nella fase dello sviluppo neuronale, ma non è stata identificata una singola causa.
La maggior parte delle ricerche condotte sull’assunzione del paracetamolo durante la gravidanza e sull’insorgenza dell’autismo non ha trovato prove per indicare con certezza una correlazione. Ad agosto una revisione di una cinquantina di studi in merito, pubblicata sulla rivista Environmental Health, ha contemporaneamente segnalato che i dati sono incerti e che sia comunque sensato avvisare meglio le donne incinte sui potenziali rischi derivanti dall’assunzione del paracetamolo. Le conclusioni sono state però accolte con molti dubbi, soprattutto per la metodologia utilizzata nel lavoro di revisione, che non ha portato a basi sufficientemente solide per fare quelle affermazioni.
Il problema di fondo, emerso in decine di ricerche svolte in passato, è che è molto difficile identificare una potenziale correlazione e anche quando qualche ricerca la trova viene di solito indicato un fattore di rischio molto basso, che non spiega l’aumento dei casi di autismo registrato negli ultimi anni. Kennedy sostiene che sia in corso una sorta di epidemia, ma le cause della maggiore quantità di casi sono ancora molto discusse, con ipotesi sul fatto che rispetto a un tempo ci siano semplicemente criteri più ampi per far rientrare una persona nel grande insieme di condizioni che chiamiamo autismo, e che ci sia anche una più alta attenzione che porta a un maggior numero di diagnosi.
In questi anni si è soprattutto provato a capire se il paracetamolo sia una causa dell’autismo, o se più semplicemente sia assunto con maggiore frequenza in gravidanza da chi ha problemi come febbre e mal di testa, condizioni che potrebbero essere collegate allo sviluppo del feto e poi all’autismo. In medicina escludere questi fattori, che possono confondere lo studio di cause e correlazioni, è quasi sempre la parte più difficile da superare.
Per provare a ridurre i fattori confondenti, uno studio pubblicato lo scorso anno sulla rivista medica JAMA ha messo a confronto i casi in cui una stessa donna aveva assunto il paracetamolo in una gravidanza e non in un’altra, verificando gli effetti sui suoi figli. Lo studio aveva riguardato nel complesso due milioni e mezzo di bambini nati in Svezia tra il 1995 e il 2019 e aveva portato il gruppo di ricerca a ipotizzare che i casi identificati di autismo avessero cause genetiche e non legate al paracetamolo. Rifacendosi anche ad altri studi, si era notato che le gravidanze tra persone con un maggior rischio genetico di autismo sono più dolorose della media (con più emicranie, per esempio) e comportano un maggior uso di antidolorifici e quindi di paracetamolo, noto per essere ben tollerato rispetto ad altri farmaci.
Lo studio su JAMA si inseriva in un ampio filone di ricerche che avevano segnalato una componente genetica per l’autismo, non riconducibile a un singolo gene, ma a una combinazione di decine di geni e che può variare molto da persona a persona. L’ipotesi è che quindi un rischio dal punto di vista genetico porti a osservare un’associazione tra l’assunzione di paracetamolo e l’autismo. Lo studio realizzato con i dati svedesi è però ancora discusso perché potrebbe avere sottostimato il ricorso al paracetamolo, forse a causa di un uso non sempre dichiarato del farmaco durante le gravidanze.
Come avviene spesso in medicina, il nocciolo della questione è il rapporto tra costi e benefici nell’assumere un farmaco, che per sua natura comporta inevitabilmente degli effetti indesiderati (in questo caso ancora da appurare per l’autismo). Febbre alta o stati dolorosi non trattati possono comportare forti rischi nella fase di sviluppo del feto, tali da superare i rischi collegati a un certo farmaco. Per questo motivo l’uso del paracetamolo continua a essere consigliato durante la gravidanza, nelle minime dosi e nei tempi necessari per ottenere i risultati desiderati e mantenere al tempo stesso bassi i rischi, anche in termini di precauzione.
Secondo molti esperti le dichiarazioni perentorie di Trump, la campagna condotta da tempo da Kennedy e la revisione delle regole da parte degli organismi di controllo statunitensi (FDA), con l’annunciata aggiunta di nuove indicazioni sui foglietti del Tylenol e degli altri farmaci a base di paracetamolo, potrebbero disincentivare l’uso di un farmaco comunemente prescritto in gravidanza per la salute della madre e del bambino. Il minor ricorso al paracetamolo potrebbe indurre al consumo di altri farmaci antidolorifici noti per essere più rischiosi per la salute, o a trascurare problemi di salute durante la gravidanza con tutti i rischi del caso.
Kenvue, la società farmaceutica che vende il Tylenol negli Stati Uniti, aveva provato invano a contrastare le iniziative di Kennedy. La società secondo gli analisti rischia grandi perdite, considerato che il suo prodotto è tra gli analgesici più famosi negli Stati Uniti e che porta ricavi di circa un miliardo di dollari ogni anno. Il paracetamolo è una molecola in commercio da molto tempo e non ha quindi più vincoli legati ai brevetti: solo negli Stati Uniti è contenuto in almeno 600 prodotti, molti dei quali sono farmaci generici. Anche in Italia il paracetamolo è conosciuto soprattutto come Tachipirina, ma ci sono decine di farmaci generici più economici a base dello stesso principio attivo che danno gli stessi risultati.
Nel corso dell’evento Trump e Kennedy hanno inoltre segnalato il leucovorin (acido folinico) come una promettente terapia per l’autismo, nonostante per ora la molecola sia stata sperimentata in studi di piccole dimensioni. I risultati sono stati accolti con interesse, ma non sono solidi a sufficienza per arrivare a conclusioni.
Martedì l’Agenzia europea per il farmaco (EMA) ha confermato che a oggi «le prove disponibili non hanno trovato un legame tra l’uso del paracetamolo in gravidanza e l’autismo».



