Gli eccezionali anni Settanta di Robert Redford
In pochi anni infilò una serie di film memorabili che lo resero l'attore simbolo di quel decennio, e un modello per i successivi

In una lunga intervista data al New York Times nel 1974 l’attore Robert Redford, morto martedì a 89 anni, raccontò che provava un certo disagio rispetto all’enorme notorietà che aveva raggiunto agli inizi di quel decennio, quando diventò tra i divi di Hollywood più richiesti e desiderati interpretando prima un introverso e taciturno cowboy, poi un candidato alla presidenza americana idealista e impostato, e dopo ancora un truffatore abile, navigato e vestito di tutto punto. «Non mi sono mai considerato un ragazzo affascinante, un bel ragazzo, niente di tutto ciò», disse parlando della fama da sex symbol che giornali e riviste di settore gli avevano attribuito, e che a suo dire finiva spesso per offuscare le sue prove da attore.
Negli anni Settanta, Redford fu un po’ ciò che Paul Newman aveva rappresentato per il decennio precedente: un attore carismatico, solido e versatile, capace di rendere bene in film diversissimi tra loro, ma anche un simbolo di bellezza ed erotismo maschile con pochi eguali. Martha Weinman Lear, la critica cinematografica che fece quell’intervista, lo definì «uno spettacolo splendido, uno dei migliori dai tempi di Marilyn Monroe».
Eppure, nonostante l’enorme riconoscimento che ebbe in quegli anni, l’ascesa cinematografica di Redford non era stata immediata. La sua carriera era cominciata nel 1962 con l’esordio in Caccia di guerra, e nei successivi 7 anni era proseguita senza grossi successi.
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Le cose cambiarono nel 1969, quando George Roy Hill decise di affiancarlo a Paul Newman in Butch Cassidy. Redford, che ai tempi aveva 32 anni, interpretò in modo magistrale Sundance Kid, un bandito silenzioso, letale e con una vena malinconica che controbilanciava in modo efficace il carisma più ironico, scanzonato ed esibito del fuorilegge che dava il titolo al film, interpretato da Newman. La loro intesa funzionò alla grande: Butch Cassidy ottenne un successo enorme, vinse quattro premi Oscar, e rese Redford uno degli attori più importanti di quella corrente di rinnovamento del cinema statunitense nota come Nuova Hollywood.
Dopo Butch Cassidy, Redford diversificò molto i suoi impegni cinematografici. Da un lato continuò a essere un volto dei western e del cinema di genere americano, dall’altro si dedicò sempre più frequentemente a film d’autore e di impegno sociale.
In entrambi i casi si trovò spesso a collaborare con Sydney Pollack, forse il regista che ha saputo esaltare al meglio le sue doti recitative. Nel 1972 fu l’esploratore Jeremiah Johnson, un altro personaggio arcinoto del cinema western statunitense, in Corvo rosso non avrai il mio scalpo!.
L’anno successivo Pollack e Redford lavorarono nuovamente insieme in Come eravamo, uno dei drammi sentimentali di maggior successo degli anni Settanta. Il film fu molto apprezzato dalla critica anche per il modo in cui Pollack mise in scena il rapporto tra i due protagonisti, Hubbell Gardiner (Redford) e Katy Morosky (Barbra Streisand). Questo perché Streisand e Redford misero in scena una sorta di inversione dei cliché sessuali che dominavano al tempo: la donna come corteggiatrice, l’uomo come oggetto di desiderio. Nel mezzo Redford era anche stato il candidato Democratico alla presidenza negli Stati Uniti in Il candidato (1972), un dramma politico diretto da Michael Ritchie che consolidò ulteriormente la sua fama.
Nello stesso anno Redford recitò in La stangata, film ambientato negli anni Trenta che parla di due uomini (uno interpretato da Redford, l’altro da Newman) che decidono di organizzare una grande e complicata truffa. Diretto da George Roy Hill, vinse 7 Oscar e fece ottenere a Redford la prima nomination come miglior attore.
Nel 1974 fu protagonista di Il grande Gatsby (1974), la prima trasposizione del celebre romanzo di Francis Scott Fitzgerald, quello dopo ancora tornò a collaborare con Pollack nei Tre giorni del Condor, un film di spionaggio tratto dal romanzo I sei giorni del Condor di James Grady (sì, nel romanzo il condor ha tre giorni in più). Fu uno dei più amati thriller degli anni Settanta, anche grazie alle interpretazioni di Faye Dunaway e Max von Sydow.
Già dopo la fine delle riprese di Il grande Gatsby, Redford aveva acquistato i diritti per trasporre al cinema Tutti gli uomini del presidente, libro in cui i giornalisti Bob Woodward e Carl Bernstein raccontavano la famosa inchiesta che avevano condotto al Washington Post, e che aveva portato alle dimissioni del presidente Richard Nixon. Redford scelse per sé la parte di Woodward, chiese al collega e amico Dustin Hoffman di interpretare Bernstein e ad Alan J. Pakula di dirigere il film.
Per calarsi nella parte studiò moltissimo: seguì alcuni corsi di giornalismo ad Harvard e frequentò in più occasioni la redazione del Washington Post, osservando da vicino non soltanto il modo in cui i giornalisti prendevano appunti o facevano telefonate, ma anche le loro riunioni e il loro modo di vestirsi e picchiettare sulla macchina da scrivere. «Preparare un ruolo è la parte del mio lavoro che mi piace di più. È un po’ come andare a scuola», disse parlando di quell’esperienza. Tutti gli uomini del presidente vinse quattro Oscar, e diventò il modello di tutti i film e delle serie sul giornalismo arrivati dopo.
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