Le mummie più antiche mai trovate
Secondo uno studio vengono dall'Asia e risalgono fino a 12mila anni fa, millenni prima di quelle egizie

Secondo uno studio pubblicato lunedì e molto ripreso, una serie di corpi umani ritrovati in scavi archeologici nel sud della Cina e in diversi paesi del Sudest asiatico, risalenti a un periodo fra 12mila e 4mila anni fa, sono stati mummificati tramite affumicatura. Sarebbero le mummie più antiche mai trovate, visto che finora le più vecchie erano considerate quelle della cultura Chinchorro, in Cile, che risalgono fino a 7mila anni fa.
Per mummia si intende un cadavere animale (non necessariamente umano) che è stato sottoposto a condizioni che ne limitano fortemente la decomposizione, se mantenuto in determinate condizioni, tipicamente secche e fresche. È un processo che può avvenire naturalmente, per esempio in ambienti privi di ossigeno (come le paludi), molto secchi o molto freddi, ma anche artificialmente, tramite una varietà di complesse procedure.
Le mummie al centro dello studio sono molto diverse da quelle a cui si pensa più di frequente, quelle egizie, i cui esemplari più antichi sono di circa 5mila anni fa. Mentre le mummie egizie furono essiccate con una serie di complessi processi che includevano la rimozione degli organi, l’imbalsamatura con oli, la disidratazione con il sale e l’avvolgimento in bende di lino, il metodo di mummificazione di quelle asiatiche è così semplice che per anni non ci si è neanche accorti che fosse stato applicato. I corpi, tutti trovati molti anni prima dello studio, non presentano infatti segni evidenti di mummificazione, e nonostante la mummificazione si sono comunque ridotti a scheletri col passare dei millenni.

Uno dei corpi studiati, un uomo di mezza età sepolto 9mila anni fa nel sud della Cina in una postura accovacciata (foto: Hirofumi Matsumura)
Secondo i ricercatori i corpi studiati sono stati affumicati lentamente sopra un fuoco poco intenso e molto fumoso, una tecnica tuttora in uso fra alcune comunità degli altopiani della Nuova Guinea e documentata dagli etnografi che hanno studiato lo stile di vita tradizionale delle popolazioni aborigene dell’Australia meridionale. Questi processi richiedono di mantenere anche per tre mesi il corpo sospeso sopra al fuoco, che viene tenuto sempre acceso. Lo studio, oltre che su tecniche di laboratorio, si basa anche sul confronto con queste pratiche registrate dagli etnografi, dato che non abbiamo alcuna testimonianza di queste sepolture risalente al periodo in cui avvennero (a differenza di quanto accade per esempio con l’antico Egitto, di cui conosciamo numerosi testi scritti riguardanti la mummificazione).
La principale autrice dello studio, Hsiao-chun Hung dell’Australian National University, ha detto che la possibilità che i corpi fossero stati affumicati le era venuta in mente nel 2017 cercando di spiegare la presenza di segni di bruciatura in alcuni di essi, ricollegandola appunto alle pratiche delle popolazioni della Nuova Guinea. I ricercatori coinvolti hanno condotto uno studio sul campo per osservare le tecniche in uso oggi, e hanno poi verificato l’ipotesi in laboratorio.

Una mummia moderna creata da persone di cultura Dani nella parte indonesiana della Nuova Guinea, fotografata nel 2019: secondo lo studio è stata fatta con tecniche simili a quelle usate millenni fa nel Sudest asiatico (foto: Hirofumi Matsumura e Hsiao-chun Hung)
Sono state impiegate due tecniche per confermare l’uso dell’affumicatura: la diffrazione dei raggi X e la spettroscopia infrarossa a trasformata di Fourier. In questo modo è stato possibile confermare che le ossa erano state sottoposte a temperature elevate pur senza rimanere carbonizzate, cosa che spiega la presenza limitata di segni di bruciatura (dovuti probabilmente a momenti in cui il fuoco si faceva accidentalmente più intenso, per esempio quando vi veniva aggiunto materiale combustibile).
Lo studio mette in dubbio la classificazione delle sepolture in questione: finora gli archeologi le avevano inserite nella categoria delle “sepolture primarie”, in cui cioè il corpo viene messo direttamente nel terreno senza riti elaborati. Secondo gli autori della ricerca si tratterebbe di casi più vicini alle “sepolture secondarie”, in cui al contrario l’inumazione avviene con tecniche più complesse. Per i ricercatori la mummificazione per essiccamento veniva praticata per permettere la conservazione dei cadaveri nel clima caldo e umido del Sudest asiatico, che altrimenti avrebbe causato la loro rapida decomposizione. I significati culturali di questa pratica rimangono però totalmente sconosciuti.
I corpi erano già stati ritrovati in ricerche precedenti allo studio pubblicato lunedì, e secondo gli archeologi seguivano uno stile di vita da cacciatori raccoglitori, diffuso in quella parte di Asia fino a un periodo compreso fra i 5.000 e i 3.500 anni fa (anni in cui si diffuse l’agricoltura, e in cui cessano le testimonianze archeologiche di mummificazione). Come tipico delle sepolture di quel periodo in questa regione, i corpi sono legati in posizioni innaturali e contorte, spesso accovacciate. La maggior parte è stata trovata nella regione di Guangxi, nel sud della Cina, e nel nord del Vietnam, ma lo studio riguarda anche un piccolo numero di corpi provenienti da Laos, Thailandia, Malaysia, Filippine e Indonesia.
– Leggi anche: Il più antico esempio di arte figurativa conosciuto



