Non è mai troppo presto per pensare alla pensione
Ha senso occuparsi fin da subito persino di quelle dei neonati, come incoraggia a fare una nuova iniziativa del Trentino-Alto Adige

Il consiglio regionale del Trentino-Alto Adige voterà, e con ogni probabilità approverà, un disegno di legge con cui la regione si impegna a versare fino a 1.100 euro per costituire un fondo pensione privato a ogni neonato e neonata: il requisito è che i genitori siano residenti in Trentino-Alto Adige da almeno tre anni, che aprano effettivamente il fondo pensione e che ci versino almeno 100 euro ogni anno per 4 anni. È una misura molto innovativa non tanto per il contributo in sé, ma soprattutto perché incentiva ad anticipare una questione che solitamente si affronta ben più avanti negli anni.
Iniziare a mettere via già dalla nascita soldi che serviranno per l’ultima parte della vita può sembrare una scelta eccessivamente previdente, eppure è generalmente una buona idea sul piano finanziario, per come funzionano i fondi pensione, ma soprattutto per com’è messo il sistema pensionistico italiano. Per le nuove generazioni, ma già per i lavoratori di oggi, disporre di un’integrazione alla pensione pubblica sarà infatti essenziale per garantirsi un buon tenore di vita quando si smetterà di lavorare. È però una necessità che stenta a entrare nella mentalità delle persone, ancora abituate a pensare a un sistema pensionistico generoso.
Quando in Italia era in vigore il cosiddetto sistema retributivo non c’era infatti molta necessità di una pensione integrativa, perché lo Stato pagava pensioni ancorate agli ultimi stipendi percepiti: si arrivava così a importi piuttosto alti, con la possibilità di mantenere praticamente lo stile di vita raggiunto dopo decenni di carriera. Il sistema diventò però insostenibile e dal 1996 è in vigore il cosiddetto sistema contributivo, che invece calcola l’importo della pensione sulla base dei contributi versati. I contributi sono quella quota del reddito che tutti i lavoratori in regola versano all’INPS, e che tra le altre cose dà loro diritto a una pensione futura: il principio è che più si guadagna, più contributi si versa, e più alta sarà la pensione.

(AP Photo/Martin Meissner)
Chi ha iniziato a lavorare dopo il 1996 avrà una pensione interamente calcolata col sistema contributivo; chi ha iniziato prima avrà una quota ancora determinata con il retributivo. Via via che sarà smaltita questa coda e si arriverà a erogare pensioni calcolate solo con il contributivo (le stime indicano che succederà intorno al 2040) si vedrà che non basteranno più a garantire uno stile di vita accettabile.
Mentre il sistema retributivo garantiva una pensione pari a circa l’80 per cento della media degli ultimi stipendi, con quello interamente contributivo la pensione arriverà a circa il 50 per cento, con la quota che sale o scende a seconda degli anni di contributi versati. Significherebbe dover vivere in pensione con la metà dei soldi che si guadagnavano lavorando, e la percentuale è probabilmente destinata a scendere ulteriormente per come sta cambiando il mercato del lavoro.
– Ascolta Wilson: La colossale ingiustizia delle pensioni
Da una parte oggi nel lavoro ci sono stipendi meno generosi, carriere più discontinue e precarietà: tutti elementi che portano a versare meno contributi durante la carriera, e quindi ad ambire a una pensione meno elevata. Dall’altra ci sono le questioni demografiche: in Italia le pensioni di oggi le pagano concretamente i lavoratori attualmente attivi con i loro contributi. Dato che la popolazione sta diventando sempre più vecchia, il risultato è che ci saranno sempre più pensioni da pagare e sempre meno lavoratori attivi per farlo. È possibile che in futuro quindi saranno necessarie nuove riforme che penalizzeranno il sistema per mantenerlo sostenibile.
Per tutte queste ragioni non è più in discussione se servirà una pensione integrativa per ottenere nel complesso un reddito accettabile quando si smette di lavorare, ma quanto servirà a supplire all’inadeguatezza di quella pubblica. E prima ci si pensa e più è probabile arrivare alla pensione con una somma interessante, anche investendo somme iniziali piccole. I motivi sono due.

(AP Photo/Alessandra Tarantino)
Il primo è legato a come funzionano gli investimenti nei fondi pensione, di gran lunga la forma di previdenza integrativa più comune. Il fondo raccoglie i soldi dei clienti, li investe per loro conto, e li restituisce al momento della pensione, con gli interessi.
Gli interessi vengono calcolati col metodo del cosiddetto interesse composto: significa che via via che i fondi depositati producono interessi, questi stessi interessi vengono automaticamente reinvestiti, contribuendo così ad aumentare la somma complessiva su cui vengono calcolati gli interessi nel corso dell’investimento.
Per fare un esempio concreto: si investono 100 euro e in un anno c’è un guadagno del 10 per cento; si ottengono così 110 euro, che col metodo dell’interesse composto l’anno dopo si investiranno interamente, e con un guadagno del 10 percento da 110 euro diventeranno 121, e così via. Prima si inizia ad accantonare anche somme piccole, più tempo si dà a questo meccanismo di far accumulare cifre interessanti al momento della pensione. È anche il motivo per cui molti lavoratori dipendenti scelgono di destinare il loro Trattamento di Fine Rapporto a un fondo pensione dall’inizio della carriera (una scelta spiegata qui).
Altro esempio concreto. Se alla nascita di un figlio si iniziano a versare in un fondo 50 euro al mese per la sua pensione, e poi questo continuerà a versarli per tutta la sua vita lavorativa, ipotizzando un guadagno medio del 5 per cento arriverà alla pensione a 67 anni con un capitale complessivo di 327mila euro. Se si inizia a versare sempre 50 euro al mese a 25 anni, a 67 anni il capitale è di 85mila. Se si inizia a 40 si arriva a 34mila euro in tutto. Qui c’è uno strumento di Banca d’Italia che aiuta a fare delle simulazioni, ma il principio è sempre lo stesso: più tardi si inizia e più bisognerà versare cifre alte per ottenere capitali importanti.
E le cifre dovranno essere importanti, perché nel frattempo bisognerà tenere conto che sul capitale complessivo graveranno sia imposte da pagare che l’inflazione. In termini netti e reali, quindi considerando tasse e svalutazione del denaro, le cifre di cui si potrà disporre sono sempre molto minori.
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Anche in termini di strategia di investimento prima si inizia e meglio è. Quando si decide di investire in un fondo pensione il cliente dice espressamente che tipo di rischio vuole prendersi. Viene stilato cioè il profilo di rischio del cliente, una sorta di “mandato” di investimento da cui il fondo non dovrà discostarsi. Il cliente può decidere di volere un rendimento alto, accettando un maggiore rischio di perdite, e dunque il fondo avrà il permesso di investire i suoi soldi anche in titoli che considera più altalenanti ma più redditizi; al contrario può accontentarsi di un guadagno più basso, ma sicuro, e quindi il fondo si limiterà a investirli in attività più conservative, o può scegliere una posizione intermedia.
Non esiste una scelta giusta o sbagliata, e ognuno deve decidere sulla base della propria propensione al rischio e delle proprie esigenze (generalmente i fondi pensione, vista la loro particolare funzione sociale, hanno un atteggiamento più prudente della media del settore finanziario: un alto profilo di rischio per loro potrebbe essere uno medio per un fondo di investimento tradizionale). Un metodo abbastanza comune è quello però di scegliere un profilo di rischio più alto per i primi decenni, quando si possono fare buoni guadagni e avere tutto il tempo per compensare eventuali perdite, per poi ridurlo gradualmente verso il momento della pensione, quando è più raccomandabile tenere il valore dell’investimento più costante vista l’imminente liquidazione. Più tardi si inizia e meno rischi è consigliabile prendere, e allo stesso tempo meno guadagni si ottengono.
Tutti questi motivi spiegano perché è importante pensare presto alla pensione, e perché le iniziative come quella del Trentino-Alto Adige sono utili più che altro a cambiare la mentalità dei lavoratori in Italia, che ricorrono ancora molto poco alla previdenza integrativa rispetto agli altri paesi europei. Una misura simile in Italia esiste solo in Friuli Venezia Giulia, dove il contributo pubblico è soggetto però alla condizione economica della famiglia.
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