Dobbiamo dimenticare tutto quello che sapevamo sulla SEO?
Dopo anni passati a capire come ottimizzare i contenuti online per farli comparire in alto su Google, le intelligenze artificiali stanno cambiando tutto

I primi tre risultati delle ricerche di Google ricevono circa il 68 per cento dei clic degli utenti, il primo da solo il 27,6 per cento del totale e solo lo 0,6 per cento degli utenti clicca sui link della seconda pagina. È per questo che, da quando si è diffuso Google, aziende, organizzazioni e media online hanno investito molto nell’obiettivo di costruire i contenuti dei propri siti in modo che questi finiscano il più in alto possibile nei risultati. L’insieme delle tecniche per ottenere questo risultato è noto come SEO, cioè Search Engine Optimization (ottimizzazione per i motori di ricerca).
Negli ultimi tre anni, però, servizi come ChatGPT hanno cambiato radicalmente il modo in cui le persone fanno ricerche online, offrendo direttamente risposte discorsive anziché link da aprire e consultare. Questo ha avuto conseguenze pesanti per il business di molti siti, le cui visite sono calate drasticamente.
In particolare, si è visto un grosso calo nelle visite provenienti da Google, che controlla circa il 90 per cento del mercato della ricerca online. Anche Google infatti da alcuni mesi ha affiancato ai risultati di ricerca tradizionali il suo servizio di intelligenza artificiale, AI Overview, che risponde in modo discorsivo alle domande degli utenti direttamente nella pagina dei risultati di ricerca, permettendo loro di leggere la risposta senza dover cliccare da nessuna parte.
– Leggi anche: Cos’è questo “AI Overview” che vi appare su Google
Chiunque navighi sul web ha visto la SEO in azione, anche senza rendersene conto: l’insieme di queste pratiche influenza da ormai decenni forma e struttura dei siti e dei contenuti che propongono. La SEO è per esempio il motivo per cui gli articoli e i post sono organizzati in capitoli con titoli in grassetto e corredati da immagini con didascalia, oltre a determinare dettagli più tecnici e invisibili agli utenti.
La SEO ha da sola un giro d’affari di quasi 75 miliardi di dollari l’anno. Negli ultimi anni gli esperti si sono spesso chiesti cosa succederà a queste strategie, se verranno rese obsolete dalle AI o dovranno semplicemente aggiornarsi. In molti hanno cominciato a parlare di GEO (Generative Engine Optimization), una versione della SEO focalizzata sulla capacità di un sito di venire citato nelle risposte dei chatbot e offerto agli utenti come contenuto di approfondimento.
Gli esperti di SEO hanno sempre dovuto aggiornarsi e seguire i cambiamenti imposti dai motori di ricerca. Negli ultimi dieci anni, ad esempio, Google aveva tentato di favorire i contenuti ritenuti più autorevoli, dando loro maggiore visibilità. Andrea Meregalli e Giulia Mozzini, che si occupano di comunicazione e SEO per le agenzie Digitools e Hurricane Media, hanno paragonato quella fase a un «umanesimo del web» che sembra ormai concluso, proprio a causa delle AI.
Con il passaggio da motore di ricerca tradizionale a chatbot, infatti, i contenuti devono risultare chiari e citabili innanzitutto alle AI, e vanno ripensati se si vuole avere maggiore esposizione, e quindi più pubblico. Per riuscirci, la SEO sta recuperando strategie che erano state nel frattempo abbandonate: in particolare, l’uso dei dati strutturati, ovvero di informazioni aggiuntive che non sono visibili agli utenti ma che servono soprattutto a descrivere i contenuti di una pagina ai bot.
Pur non essendo mai stati abbandonati del tutto, i dati strutturati avevano perso un po’ di peso negli ultimi anni, proprio perché Google voleva favorire un altro tipo di contenuti più autoriali e “umani”. Altri specialisti intervistati dal New York Magazine hanno consigliato di presentare i contenuti come farebbe un’AI, e quindi usando liste, elenchi e spiegando le cose più schematicamente.
Finora comunque le AI non hanno reinventato del tutto il settore della SEO. Secondo Andrea Colombo, SEO Specialist dell’agenzia t2ó Italia, «gli elementi che venivano considerati e ottimizzati prima sono gli stessi che vengono ottimizzati oggi: dati strutturati, heading tags, metadata, i link interni da una pagina all’altra, l’approfondimento dei testi con le fonti, essere menzionati su altri siti».
A pesare è anche il passaggio da un settore storicamente dominato da Google a uno con molti prodotti concorrenti, in continuo aggiornamento e con regole diverse. Non esistono strategie di SEO che valgano per tutte le AI disponibili sul mercato; e anche quando vengono trovate, il rischio è che una nuova versione di un modello linguistico o una novità di ChatGPT cambi tutto di nuovo.
Le principali attenzioni sono comunque su Google, che ha presentato anche AI Mode, un servizio non ancora disponibile nei paesi dell’Unione europea, in grado di dare risposte ancora più lunghe e complesse di AI Overview, oltre che essere dotato di capacità “agentiche” (cioè può compiere azioni online per conto dell’utente, come comprare un biglietto del treno). Adeguare i propri contenuti ad AI Mode è però complesso, oltre che probabilmente prematuro: come ha spiegato Lily Ray, responsabile SEO della società di marketing Amsive, la versione attuale del servizio non sarà con ogni probabilità quella definitiva, che sarà disponibile tra sei mesi.
Google sta anche modificando la posizione di AI Overview nella pagina dei risultati. In sempre più casi (il 12,4 per cento del totale), il boxino che contiene la risposta generata con le AI non è in cima alla pagina ma compare più in basso, dando maggiore visibilità ai link ai siti. Come ha scritto il sito specializzato Search Engine Land, «questi dati suggeriscono che ci sono ancora opportunità di superare AI Overview e ottenere clic da risultati tradizionali».
Quel che è certo è che, nel corso dell’ultimo anno, molti siti hanno dichiarato di aver visto diminuire fortemente il traffico che tradizionalmente proveniva da Google. Finora Google si è difesa rispondendo che AI Overview sta generando più richieste da parte degli utenti, cosa che avrà un impatto positivo anche sui siti. Elizabeth Reid, responsabile della ricerca su Google, ha aggiunto che questo servizio ha aumentato la «qualità dei clic» (e quindi diminuito i casi in cui gli utenti aprono un link e lo chiudono subito, considerato un segnale di scarso interesse).
L’ottimismo mostrato da Google contrasta però con alcune sue recenti dichiarazioni in tribunale, dove ha definito il web aperto «in declino», dando ragione a chi critica l’impatto delle AI sulla rete.



