Va chiesta l’autorizzazione a procedere contro Giusi Bartolozzi anche se non è ministra?

C'è un dibattito tra giuristi e politici, che si è fatto più animato ora che la capa di gabinetto di Nordio è indagata nel caso Almasri

La capa di gabinetto di Carlo Nordio, Giusi Bartolozzi, durante una conferenza stampa alla Camera il 19 marzo 2019, quando era deputata di Forza Italia (Vincenzo Livieri/LaPresse)
La capa di gabinetto di Carlo Nordio, Giusi Bartolozzi, durante una conferenza stampa alla Camera il 19 marzo 2019, quando era deputata di Forza Italia (Vincenzo Livieri/LaPresse)
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La notizia dell’apertura dell’indagine su Giusi Bartolozzi, capa di gabinetto del ministro della Giustizia Carlo Nordio, era attesa nel mondo della politica. Da settimane sembrava un esito scontato, seppur indiretto, dell’inchiesta condotta dal tribunale dei ministri sul caso del generale libico Almasri, arrestato a metà gennaio perché ricercato dalla Corte penale internazionale e poi liberato dal governo. Per questo caso il tribunale ha chiesto l’autorizzazione a procedere nei confronti dei ministri Nordio e Matteo Piantedosi e del sottosegretario Alfredo Mantovano, e in quella richiesta c’era un giudizio inequivocabile delle tre giudici sulla testimonianza fornita da Bartolozzi: «inattendibile e, anzi, mendace». Che dunque la procura di Roma abbia deciso di accusarla di false informazioni ai pubblici ministeri non è sorprendente.

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I modi e i tempi di questa decisione della procura sono invece al centro di una complicata polemica politica già da settimane. Da quando è stata pubblicata la relazione del tribunale dei ministri relativa alle indagini, i partiti del centrodestra, e in particolare Fratelli d’Italia, avevano protestato che non fosse stata inserita anche Bartolozzi nella lista dei funzionari pubblici per i quali si chiedeva al parlamento l’autorizzazione a procedere. La loro richiesta era apparentemente bizzarra: la maggioranza si lamentava in sostanza del fatto che una dirigente del ministero della Giustizia non fosse stata indagata. Ma era una richiesta con un secondo fine: includendo Bartolozzi, infatti, le si sarebbe potuto concedere la protezione di cui beneficiano anche Nordio, Piantedosi e Mantovano, e cioè la garanzia che la Camera negherà l’autorizzazione a procedere.

Pur non essendo una ministra, Bartolozzi potrebbe in effetti essere considerata come parte dello stesso sistema nel quale hanno agito i ministri, e in questo modo i suoi eventuali illeciti andrebbero ricondotti allo stesso “disegno criminoso” ipotizzato dalle giudici del tribunale dei ministri. E dunque, a giudizio della maggioranza, anche la sua condotta sarebbe in ogni caso giustificabile in una logica di interesse nazionale: se quindi Bartolozzi ha commesso reati, lo ha fatto in sintonia coi ministri coinvolti nel caso Almasri che, sempre secondo le tesi della maggioranza, hanno liberato e rimpatriato il generale libico per ragioni di sicurezza nazionale più o meno dicibili. La tesi su cui si fonda la convinzione del centrodestra che intende negare l’autorizzazione a procedere per Nordio, Piantedosi e Mantovano è questa.

Il ministro della Giustizia Carlo Nordio alla Camera, il 23 luglio 2025 (Mauro Scrobogna/LaPresse)

Non a caso, il 7 agosto scorso, Nordio ha diffuso un comunicato a difesa di Bartolozzi, un mese prima che si sapesse dell’indagine su di lei. «Ritengo puerile ipotizzare che il mio capo di gabinetto abbia agito in autonomia. Ribadisco che tutte, assolutamente tutte le sue azioni sono state esecutive dei miei ordini, di cui ovviamente mi assumo la responsabilità politica e giuridica». Questa mossa serviva proprio ad avvalorare la tesi secondo cui anche gli eventuali illeciti di Bartolozzi andavano considerati come una sorta di estensione di quelli commessi da Nordio stesso.

In questo senso, dal governo e dalla maggioranza hanno fatto notare come le stesse giudici del tribunale dei ministri attribuiscano un ruolo centrale a Bartolozzi, nel caso Almasri. Cosa del resto inevitabile, dal momento che proprio la capa di gabinetto ha gestito in prima persona molte questioni in assenza di Nordio, partecipando al suo posto alle riunioni più riservate con altri esponenti del governo e coi dirigenti dei servizi segreti, dando istruzioni ai funzionari del ministero della Giustizia e insomma agendo in tutto e per tutto in sostituzione di un ministro, Nordio, che nel fine settimana decisivo del caso Almasri era a Treviso, lontano dal suo ufficio e in certi casi difficilmente reperibile.

Se dunque Bartolozzi ha avuto questo ruolo centrale, come la si può considerare estranea dalla richiesta di autorizzazione a procedere dei magistrati? A partire dalla seduta di mercoledì pomeriggio Fratelli d’Italia chiederà che la Giunta per le autorizzazioni della Camera, responsabile sul caso, chieda formalmente al tribunale dei ministri di rivedere la sua decisione e di inserire anche Bartolozzi in questo procedimento. Vari esponenti di centrodestra, ma anche costituzionalisti ed ex parlamentari di centrosinistra come Stefano Ceccanti o Salvatore Curreri, ritengono che questa sia l’interpretazione più corretta della legge costituzionale che disciplina le procedure legate ai reati ministeriali.

Tutto questo ragionamento, però, è in contrasto con la posizione della procura di Roma. E per comprendere, bisogna appunto soffermarsi sulla natura del reato contestato a Bartolozzi. La capa di gabinetto di Nordio è stata infatti accusata di falsa testimonianza, cioè di aver fornito consapevolmente delle informazioni infondate su almeno quattro aspetti della vicenda, quando è stata chiamata a testimoniare dalle giudici del tribunale dei ministri. Un reato, quindi, che sarebbe stato commesso non nella fase in cui il governo era affaccendato nel gestire l’arresto, la liberazione e il rimpatrio di Almasri, ma mesi dopo, quando il tribunale dei ministri cercava di ricostruire cosa fosse successo. Come può un reato eventualmente commesso per nascondere la verità ai magistrati essere ricondotto a una scelta fatta dal governo molto tempo prima?

Il capo della procura di Roma, Francesco Lo Voi, il 13 giugno 2025 (Cecilia Fabiano/ LaPresse)

È per questo che la procura di Roma ha deciso di isolare la posizione di Bartolozzi da quelle di Nordio, Mantovano e Piantedosi, per i quali vengono ipotizzati reati diversi (favoreggiamento, peculato e rifiuto d’atti d’ufficio). Insomma, per la procura Bartolozzi non avrebbe commesso un reato per proteggere la sicurezza del paese (giustificazione eventualmente riconoscibile ai due ministri e al sottosegretario), ma per nascondere la verità sull’accaduto. Per questo il procedimento a Bartolozzi viene considerato dalla procura non come lo stesso che riguarda i tre esponenti del governo, ma come un procedimento autonomo che è “germinato”, per così dire, da quello principale.

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La disputa riguarda anche il modo in cui per un governo sia lecito nascondere la verità in casi di cosiddetta ragion di Stato. Per queste faccende, che coinvolgono la sicurezza nazionale e riguardano aspetti troppo delicati per essere rivelati pubblicamente, esiste un istituto preciso, e cioè il segreto di Stato. Un governo può farvi ricorso anche per stoppare, di fatto, le inchieste dei magistrati. Ed è infatti quello che il sottosegretario Mantovano, responsabile dei servizi segreti, aveva suggerito di fare già a febbraio. Giorgia Meloni si era invece opposta: usare il segreto di Stato era considerata dalla presidente del Consiglio una scelta politicamente sconveniente, perché avrebbe reso evidente che il governo aveva qualcosa da nascondere.

Il punto però è che mentre il segreto di Stato è una procedura codificata dalla legge, e che dunque è pienamente legittima per un governo, l’eventuale resa di false informazioni ai magistrati non lo è affatto. Pur avendo lo stesso obiettivo, e cioè evitare di rivelare dettagli delicati o compromettenti per la sicurezza nazionale, le due condotte non sono assimilabili: in un caso, si ricorre alla legge, e nel farlo il capo del governo si assume la responsabilità della scelta e la giustifica al Copasir, il comitato parlamentare competente sulle vicende di sicurezza nazionale; nell’altro caso la legge la si infrange.