• Moda
  • Venerdì 5 settembre 2025

Come vanno le aziende di Giorgio Armani

Che non si occupano solo di moda: ora bisogna capire chi le gestirà e come funzionerà la successione

Giorgio Armani alla sfilata di Emporio Armani per la collezione primavera-estate del 2020 a Milano, 15 giugno 2019 (AP Photo/Luca Bruno)
Giorgio Armani alla sfilata di Emporio Armani per la collezione primavera-estate del 2020 a Milano, 15 giugno 2019 (AP Photo/Luca Bruno)
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Nel 2024 Giorgio Armani disse al Corriere della Sera che «due o tre anni come responsabile dell’azienda» poteva ancora concederseli: «Di più no, sarebbe negativo». Al tempo Armani aveva 90 anni ed era ancora stabilmente a capo del suo gruppo, come presidente, amministratore delegato e direttore creativo. Sono ruoli che ha mantenuto fino alla morte: «La mia più grande debolezza è che ho il controllo di tutto», aveva detto in un’intervista uscita una settimana fa sul Financial Times.

Secondo molti però questo controllo totale è stato tra le ragioni del successo di Armani nei decenni. A differenza di molte maison di moda che negli ultimi anni sono state comprate dai più grandi gruppi del lusso come LVMH e Kering, Armani è infatti riuscito a mantenere indipendente la sua azienda, fondata il 24 luglio del 1975. È stato di fatto l’unico azionista di un gruppo che vale miliardi di euro, controlla attività in molti altri settori oltre a quello della moda, e che ora deve affrontare quella che il Wall Street Journal definisce come la sua «prova più grande», cioè quella della successione.

In cinquant’anni il gruppo Giorgio Armani ha espanso parecchio le sue attività, realizzando molti prodotti accessibili anche alle masse: profumi, occhiali, biancheria intima, linee di abbigliamento più economiche e adatte ai giovani (come Emporio Armani e Armani Jeans, che dopo il 2017 è stata accorpata ad Armani Exchange) e vestiti o accessori prodotti in licenza, cioè fatti da altre aziende che pagavano Armani per poterci mettere sopra il suo logo. Ha aperto una linea per la casa e costruito hotel e resort. Oggi il gruppo ha circa 2.500 negozi e dozzine di ristoranti: uno degli ultimi acquisti di Giorgio Armani è stata La Capannina, uno storico locale di Forte dei Marmi, in Toscana, fra i più antichi d’Europa ancora in attività.

Nel 2024 il gruppo Armani ha avuto 2,3 miliardi di euro di ricavi, con 51 milioni di euro di utile netto. A luglio il gruppo ha detto che le vendite annuali erano diminuite del 5 per cento rispetto al 2023, a causa principalmente della crisi internazionale della moda. Secondo Bloomberg il patrimonio di Armani è pari a circa 8 miliardi di euro e rappresenta principalmente il valore del suo gruppo, di cui possedeva appunto quasi la totalità delle quote. Per Forbes il patrimonio di Armani vale più di 10 miliardi di euro. Per la vastità dei suoi affari in Europa, Asia e Stati Uniti e per la sua ricchezza, quello di Armani è stato definito più volte un “impero”.

A queste stime vanno aggiunti i ricavi ottenuti con le licenze: una delle più famose e di lunga durata è quella con EssilorLuxottica, la società italo-francese di occhiali e lenti che controlla tra gli altri marchi come Ray-Ban e Oakley. L’accordo per produrre occhiali con il marchio Giorgio Armani fu firmato nel 1998 ed è stato rinnovato fino al 2038. Armani era peraltro già socio di Luxottica, di cui aveva ottenuto il 5 per cento delle azioni nel 1990, quando l’azienda venne quotata in borsa a Wall Street.

– Leggi anche: La storia di Giorgio Armani

Negli anni ci sono stati diversi tentativi di comprare il gruppo di Armani. Business of Fashion scrive che alla fine degli anni Novanta Armani «fu corteggiato aggressivamente» da LVMH e dal precursore di Kering, Gucci Group. Il fondatore di LVMH Bernard Arnault e Armani valutarono un possibile accordo in base a cui LVMH avrebbe acquisito una partecipazione del 20 per cento nell’azienda italiana e lo stilista avrebbe mantenuto il ruolo di direttore creativo. L’accordo però non venne mai raggiunto.

Per anni si andò avanti comunque a speculare sul fatto che avrebbe venduto o quotato in borsa la sua azienda: nel 2016 Armani annunciò invece la creazione della Fondazione Giorgio Armani, che puntava a garantirne l’autonomia. Nell’intervista al Corriere della Sera di un anno fa Armani disse scherzando che non aveva mai venduto «perché non ho mai avuto tempo di mettermi a un tavolo e pensarci bene». Incalzato dai giornalisti Aldo Cazzullo e Paola Pollo, aggiunse: «La verità è che ritenevo di dover ancora fare molto da solo. E poi… un po’ di orgoglio personale».

Oggi la Fondazione possiede lo 0,1 per cento delle quote del gruppo e dovrebbe garantire la successione, dato che Armani non aveva figli. Al Financial Times Armani aveva detto che i suoi piani consistevano in un passaggio graduale delle responsabilità alle persone che gli erano più vicine. Tra queste ci sono Pantaleo “Leo” Dell’Orco, responsabile della linea di abbigliamento maschile, presidente del consiglio di amministrazione dell’Olimpia Milano, la squadra di basket controllata da Armani, e una delle persone a lui più vicine; le nipoti Silvana e Roberta Armani, che gestiscono rispettivamente l’abbigliamento femminile e i rapporti con le celebrità e il mondo dello spettacolo; la sorella Rosanna; e il nipote Andrea Camerana.

Oltre alla Fondazione Armani aveva redatto uno statuto, perfezionato poi nel 2023, che entra in vigore dopo la sua morte. Prevede diverse categorie di azioni con diversi diritti di voto e secondo il Wall Street Journal non vieta la quotazione in borsa, ma specifica che può essere presa in considerazione solo se viene approvata dalla maggioranza del consiglio di amministrazione. Più nel dettaglio, il Corriere della Sera e il Sole 24 Ore scrivono che dovrebbero essere previste sei categorie di azionisti principali, designati con le lettere dalla A alla F, che si ripartiranno il capitale del gruppo insieme alla Fondazione e nomineranno il nuovo consiglio di amministrazione. La categoria di soci A avrà il 30 per cento delle azioni, le categorie dalla B alla E il 15 per cento ognuna, e la F il 10 per cento. Gli azionisti dei gruppi A e F avranno però più voti degli altri e potranno nominare le cariche più importanti, tra cui il presidente e l’amministratore delegato.

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