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  • Giovedì 4 settembre 2025

La grossa lite tra comune di Bologna e governo

Riguarda le pipe per il crack e le “zone rosse”, che secondo un'assessora non funzionano

L'ingresso dell'ex mercato ortofrutticolo della Bolognina, a gennaio del 2019
(Martino Lombezzi/contrasto)
L'ingresso dell'ex mercato ortofrutticolo della Bolognina, a gennaio del 2019 (Martino Lombezzi/contrasto)
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Da alcuni giorni rappresentanti del comune di Bologna e del governo di Giorgia Meloni stanno litigando su un quartiere storico della città, la Bolognina, dove ci sono problemi di sicurezza legati allo spaccio di sostanze stupefacenti illegali: mentre il governo critica l’iniziativa della città di fornire pipe sterili alle persone con dipendenza da crack, che nel quartiere sono molte, il comune dice invece che le “zone rosse” volute dal governo non sono servite. Ma le implicazioni della lite sono anche più grandi della Bolognina e di Bologna, perché toccano temi che riguardano altre città italiane, di cui le amministrazioni locali faticano a occuparsi per via dei loro poteri limitati.

Le prime tensioni tra comune e governo sono emerse pochi giorni fa dopo che il comune aveva annunciato che avrebbe iniziato a distribuire pipe sterili alle persone che consumano crack, partendo dalla Bolognina. Tra gli altri il ministro dei Trasporti, Matteo Salvini, aveva definito l’iniziativa una «follia». La lite è poi iniziata dopo che lunedì l’assessora al Welfare e alla Sicurezza, Matilde Madrid, aveva detto che a breve avrebbe consegnato alla procura un “dossier” sullo spaccio alla Bolognina, dove secondo il comune l’istituzione della “zona rossa” voluta dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi non ha funzionato. Il sottosegretario al ministero dell’Interno, Nicola Molteni, ha però liquidato il dossier e ha imputato i problemi della Bolognina a una cattiva gestione da parte dell’amministrazione locale.

Molteni ha aggiunto che i dati della polizia smentiscono le accuse del comune e ha bollato l’iniziativa delle pipe per il crack come un «abominio», esortando il comune a smettere «con queste pagliacciate».

In estrema sintesi le cosiddette “zone rosse” sono posti delle città in cui le forze dell’ordine possono vietare l’accesso a persone ritenute pericolose o minacciose. A Bologna sono state individuate a ottobre e a novembre dell’anno scorso con alcuni provvedimenti della prefettura, che saranno in vigore fino al 15 settembre. Una di queste è appunto la Bolognina.

La polizia fa i rilievi sulla scalinata del Pincio, tra piazza XX Settembre e il parco della Montagnola, dopo l’omicidio di un 21enne il 16 maggio 2024: anche quest’area è tra le “zone rosse” di Bologna (Guido Calamosca/LaPresse)

Oggi la Bolognina fa parte del più ampio quartiere Navile, e comincia appena dietro la stazione centrale, a nord del centro storico. È una zona di tradizione operaia, dove ci sono molti palazzi e case popolari. Ci vivono più di 34mila persone, su oltre 390mila residenti totali in città: le famiglie sono numerose (quasi 19mila), l’età media è 43,7 anni (inferiore alla media cittadina che invece è di 46,9 anni) e le persone di origine straniera sono il 25 per cento del totale dei residenti, l’incidenza più alta della città. Qui hanno inoltre sede molte associazioni popolari e collettivi, che da tempo si occupano dei problemi sociali del quartiere.

È anche una zona dove lo spaccio negli ultimi anni è diventato più evidente e problematico: si spaccia e si consuma per strada e nelle piazze, le liti sono frequenti e più volte i residenti hanno segnalato persone che facevano uso di sostanze nei cortili condominiali e nelle cantine, che vengono occupate dopo aver sfondato le porte. Uno dei problemi maggiori è che è cresciuto il consumo di crack, che tra i vari effetti ha quello di aumentare l’aggressività delle persone.

Secondo l’assessora Madrid i presidi fissi delle forze dell’ordine introdotti con la zona rossa non sono riusciti a contrastare lo spaccio che viene fatto nella zona, e che preoccupa molte persone. Anzi, dice Madrid, «lo spaccio prosegue anche davanti ai presidi senza che siano fatti interventi risolutivi». Il comune di Bologna ritiene che il problema vada affrontato a monte con un intervento dello Stato: Madrid sostiene che vadano smantellati alcuni gruppi attivi nella zona, forse legati alla criminalità organizzata nigeriana.

«La droga qui è a fiumi, inutile provare a dire il contrario», dice Federica Mazzoni, presidente del consiglio di quartiere Navile e componente della direzione nazionale del Partito Democratico. «Ce n’è molta più di pochi anni fa, lo vediamo tutti. È ovvio che il problema non riguardi solo Bologna, succede anche in altre città. Quello che manca però è una volontà politica per risolverlo alla radice: le reti criminali vanno fermate prima che arrivino in strada, e di certo non è una cosa che può fare un comune».

Mazzoni dice che i residenti chiedono di intervenire ai rappresentanti di quartiere, che però hanno poteri molto limitati. Di recente alla Bolognina il consiglio di quartiere ha preso in affitto alcuni spazi dell’Acer, una società partecipata che si occupa di gestire le case popolari, con l’intento di metterli a disposizione delle associazioni ed evitare così che spazi vuoti vengano occupati da chi spaccia o consuma sostanze. Mazzoni la chiama «sicurezza urbana integrata».

– Leggi anche: A Bologna l’occupazione di un palazzo si è risolta in modo diverso

Nei mesi scorsi per contrastare lo spaccio la questura ha aumentato i controlli e il numero di agenti di polizia che presidiano la zona, e che per il sindacato di polizia sono però troppo pochi. L’ultimo aggiornamento pubblico della prefettura di Bologna, che risale al 7 aprile, dice che in tutte le zone rosse della città, quindi non solo la Bolognina, erano stati fatti circa 17mila controlli e allontanate 156 persone per reati connessi allo spaccio come aggressioni, furti e rapine. Martedì il sottosegretario Molteni ha detto che in questi mesi sono state controllate complessivamente 32mila persone e 220 hanno ricevuto un ordine di allontanamento (anche chiamato “daspo urbano”, con cui si costringe una persona a rimanere lontana da una certa area).

Molte associazioni, assemblee di quartiere e collettivi, tra cui Bolognina Antifascista, Bolognina Come Stai?, La Casa del Mondo, Colonna Solidale Autogestita, criticano da tempo questo approccio definendolo securitario e sostenendo che sia discriminatorio nei confronti delle persone di origine straniera. Secondo loro la Bolognina avrebbe bisogno invece di più servizi e spazi per la socialità.

L’assessora Madrid ha detto che il comune intende sia aumentare la presenza della polizia locale per le strade sia intensificare le attività di prevenzione. Tra queste c’è appunto la distribuzione delle pipe sterili alle persone con una dipendenza da crack che vivono per strada nella zona della Bolognina. La sperimentazione era iniziata nel 2024 e adesso il comune ha deciso di estenderla, visti i primi risultati positivi. L’iniziativa risponde a un approccio praticato da decenni dal comune di Bologna: si chiama “riduzione del danno” e si basa sull’assunto che è complicato impedire del tutto l’uso pericoloso di sostanze e che l’importante è prevenire gli effetti peggiori connessi, per esempio patologie secondarie e infezioni.

La sede di Fuori Binario in via de’ Carracci nel 2022 (Dal profilo Facebook Unità di Strada Bologna)

Le pipe per il crack saranno distribuite inizialmente alle persone che frequentano Fuori Binario, una struttura in via de’ Carracci di “bassa soglia”, dove cioè le persone possono accedere liberamente anche senza documenti, e a quelle intercettate dalle unità di strada. Sia Fuori Binario che le unità di strada seguono già persone con dipendenza da crack. Sempre con l’idea di agire sulla riduzione del danno e sull’impatto sociale, di recente il comune ha stanziato circa 220mila euro per riqualificare alcuni spazi in disuso della Bolognina e integrare le unità di strada con personale sanitario.

Anche a Reggio Emilia e a Piacenza sono state fatte sperimentazioni simili a quella di Bologna per ridurre il consumo di crack, ma su poche persone, e per ora non sono stati annunciati piani per estenderle.

Alcuni rappresentanti del centrodestra locale hanno depositato degli esposti contro l’iniziativa delle pipe e il capogruppo locale della Lega, Matteo Di Benedetto, ha già fatto sapere che in consiglio comunale chiederà di dirottare i fondi (circa 3.500 euro) su altre attività di prevenzione. Intanto secondo Repubblica Bologna in procura ci sarebbe l’intenzione di rafforzare la direzione distrettuale antimafia per dedicarsi di più alle indagini legate al traffico di droga. Il 13 settembre in prefettura a Bologna si riunirà un comitato per l’ordine pubblico in cui si parlerà tra le altre cose delle zone rosse, e a cui parteciperà il ministro dell’Interno Piantedosi.