Storie comuni di foto condivise senza consenso
Dal marito, dal fidanzato o da un caro amico: quattro donne hanno raccontato al Post quel che è successo quando l'hanno scoperto
di Viola Stefanello

Una sera di inizio anno Giorgia ha guardato verso lo schermo del cellulare su cui il marito stava smanettando da ore, curiosa di vedere cosa stesse facendo. Stava navigando su Phica.eu, il sito di pornografia amatoriale che nelle ultime settimane è finito al centro di un enorme caso mediatico e ora ha chiuso, allora poco conosciuto. «Mi sono accorta che aveva pure fatto il login sul sito, e sul momento mi aveva fatto ridere perché ho pensato che ci volesse una certa convinzione per creare addirittura un profilo su un sito porno», racconta Giorgia, che preferisce non condividere il suo cognome per ragioni di privacy.
Sul momento la cosa non l’aveva particolarmente turbata, ma ripensandoci nei giorni successivi le è venuto qualche sospetto. «Ho fatto l’errore di entrare sul sito e mi è venuto un colpo. C’erano post di chiarissimo revenge porn», racconta, «tipo “questa è la mia ex, scrivetemi il peggio che pensate di lei”, “questa è mia figlia, cosa ne pensate?”». Cercando il proprio nome, Giorgia non ha trovato nulla. Così, ha provato a cercare uno username che il marito usava spesso e a quel punto sono comparsi tutti i post da lui pubblicati nei mesi precedenti. «Uno era intitolato “il culo di mia moglie”, un altro “le tette di mia moglie”», racconta.
Le foto in sé erano state cancellate: rimanevano, però, i commenti. «Erano tutti molto violenti, e lui continuava a chiedere: “Volete vedere dell’altro? Cosa volete vedere adesso?”». C’era chi, avendo scoperto che aveva una figlia, gli chiedeva dettagli su di lei, e su come era cambiata la forma del suo seno nel tempo. Quando Giorgia l’ha messo di fronte alla sua scoperta, «lui mi ha promesso che non c’era la faccia, che non si vedevano i miei tatuaggi, che non ero riconoscibile», racconta. «Quando l’ho affrontato la prima cosa che mi ha detto è che non aveva capito cosa stesse facendo, che per lui era solo un gioco, una cosa divertente, che non sapeva che fosse un reato».
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Il Post si sta occupando di approfondire storie e temi che riguardano siti come Phica.net e gruppi social come Mia Moglie. Se hai una storia che pensi possa essere interessante per capire meglio il fenomeno e hai voglia di raccontarcela, anche in anonimato, puoi scrivere a stefanello@ilpost.it
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Spesso gli uomini che condividono foto intime online – su forum come Phica, gruppi Facebook, Telegram o chat tra amici – quando scoperti si giustificano in modi simili. Alcuni sminuiscono la gravità del fatto, parlando di “goliardate” o “cose da maschi”. Altri negano che questi comportamenti facciano davvero del male a qualcuno: nei commenti online è facile imbattersi in utenti che accusano di vittimismo le donne che denunciano, definendole «esagerate», «isteriche», «nazifemministe». In realtà, Giorgia avrebbe potuto denunciare il marito per condivisione non consensuale di materiale intimo, un reato che in Italia è punibile con la reclusione tra uno e sei anni, e con multe tra i 5mila e i 15mila euro.
– Leggi anche: Quello che succedeva su Phica.net era legale?
Non ci sono dati aggiornati al 2025 ma PermessoNegato, la principale organizzazione che si occupa di sostenere persone come Giorgia, vittime di condivisione non consensuale di materiali intimi, dice che soltanto tra il 2020 e il 2024 si sono rivolte a loro circa 5mila persone, in larga parte donne. È un numero che non tiene conto delle persone che per vergogna o altri motivi decidono di non parlarne, e naturalmente di quelle che non sanno della circolazione delle loro foto.
Silvia Lai, psicologa che collabora con PermessoNegato come volontaria, spiega che spesso le vittime soffrono serie ripercussioni a livello sia psicologico che sociale. Se le foto o i video che le ritraggono vengono diffuse tra persone che conoscono, possono perdere il lavoro ed essere isolate dalla propria comunità per via dello stigma, con tutto quello che ne deriva per la loro salute psicologica. Ma anche se, come Giorgia, scoprono di essere state all’oscuro di questa circolazione per lungo tempo e di essere state in qualche modo tradite da uomini a loro vicini, possono sviluppare sintomi clinici come depressione, attacchi di panico, ansia generalizzata e, nei casi peggiori, disturbo post traumatico da stress e ideazione suicidaria. Il fatto che tutto questo accada su internet, dove è impossibile sapere con certezza quante persone hanno visto o salvato una data immagine, può aggravare ulteriormente la situazione.
Naturalmente, l’impatto che una situazione del genere può avere su qualcuno dipende da tantissimi fattori: la personalità della vittima e il suo stato di salute mentale, il rapporto esistente con il responsabile della condivisione, le condizioni socio-economiche in cui si trova, la possibilità o meno di denunciare. Giorgia, per esempio, dice che la sua vita «tutto sommato non ha subito grossissimi scossoni»: a 40 anni è una professionista affermata, proprietaria di casa propria, e ha una robusta rete di sostegno. «Ma questo non vuol dire che scoprire una cosa del genere su tuo marito sia stata una cosa facile da elaborare e da capire. E non tutte le altre donne sono fortunate come me», dice.
Lei stessa sul momento ha deciso di denunciare il sito intero alla polizia postale, ma non il marito. Da lui ha deciso di divorziare qualche mese dopo. Prima gli aveva chiesto di eliminare tutti i post da Phica: Giorgia dice che il sito però non lo permetteva, e che il marito aveva dovuto contattare l’amministratore perché lo facesse lui. L’amministratore aveva chiesto 165 euro in cambio della rimozione completa dei post.
Prima di lasciare il marito, racconta, «ho passato dei mesi in cui continuavo a ripetermi che quella cosa non potesse essere successa a me, un’adulta femminista che ha fatto terapia, che si reputa una persona vagamente sveglia», dice. Non ne aveva nemmeno parlato con le amiche, perché sapeva che l’avrebbero messa di fronte all’evidenza: «Mi avrebbero detto di denunciarlo e mandarlo via di casa perché era un pericolo anche per mia figlia, ma io non volevo sentire quelle cose». Nel frattempo, è tornata ad avere problemi con un disturbo alimentare che aveva impiegato anni a risolvere: «Ho smesso di mangiare, ho perso tantissimi chili».
– Leggi anche: Gli appelli delle donne famose che hanno trovato le proprie foto su Phica.net
Quando, a metà agosto, online e sui giornali si è cominciato a parlare prima del gruppo Facebook “Mia Moglie” – dedicato allo scambio di foto private di donne a loro insaputa, con oltre 30mila iscritti – e poi di Phica, dice di aver pianto per una settimana, «quasi ininterrottamente». Come se fino a quel momento non si fosse concessa di riconoscere che quello che le era successo era stato traumatico, per lei.
Anche Martina e Giulia – di 21 e 23 anni rispettivamente – hanno deciso di raccontare quel che è successo loro due anni fa dopo aver letto le testimonianze di questi giorni, a patto di non citare il loro cognome.
Nel settembre del 2023, Martina fu contattata su Instagram da un account appena creato, senza foto né follower: diceva di volerle parlare. Il profilo dello sconosciuto era palesemente finto, ma il fatto che avesse scritto allo stesso tempo all’account “pubblico” di Martina, quello seguito da amici e conoscenti, e a quello privato che teneva soltanto per gli amici più stretti le fece pensare che volesse parlare davvero con lei nello specifico e che non fosse un truffatore.
Lo sconosciuto le disse di aver ottenuto i suoi contatti da un ragazzo conosciuto su una chat di Telegram, che diceva di conoscerla bene e da tempo mandava al gruppo sue foto in costume prese dai suoi profili Instagram privati. Secondo lo sconosciuto, il ragazzo su Telegram gli aveva chiesto di mandarle dei video del pene.
Martina convinse lo sconosciuto ad aiutarla a capire l’identità del ragazzo, temendo che fosse uno della sua compagnia di amici del piccolo paese della Puglia in cui viveva. Fingendosi un uomo, riuscì a farsi aggiungere al gruppo Telegram dove lo sconosciuto aveva trovato le informazioni su di lei: si chiamava “Dipreisti 🔞”, in onore di Andrea Diprè, avvocato diventato famoso sui social network nei primi anni Dieci per il suo stile di vita dissoluto. Aveva più di diecimila membri, quasi tutti anonimi. Oggi quel gruppo specifico non esiste più, ma ce ne sono centinaia di altri che svolgono la stessa funzione e che attirano gli stessi utenti, sia in Italia che all’estero. Controllando manualmente tra tutti i propri contatti su Telegram chi fosse in quel gruppo, Martina realizzò che la persona in questione poteva essere soltanto una: Mattia, il migliore amico della sua amica Giulia, che entrambe conoscevano da una vita.
Venne fuori che Mattia aveva fatto la stessa cosa anche con Giulia. Lei viveva a Bologna, ma passava l’estate in Puglia con la famiglia fin dall’infanzia, e così aveva stretto dei rapporti di grande amicizia sia con Mattia che con Martina: dice che tutti ne parlavano come di un bravissimo ragazzo, molto affidabile e affettuoso. Mattia chiedeva a migliaia di sconosciuti se volessero «foto di ragazze di Bologna» e, a chi rispondeva, mandava le immagini e le informazioni personali di Giulia. Lei non ha mai voluto sapere quante foto avesse condiviso né da dove le avesse prese, ma sospetta provenissero dai social e dalle loro chat private. Varie altre ragazze del loro giro di amici scoprirono poi che aveva fatto lo stesso con loro.

La chat di Telegram in questione, oggi chiusa (il Post)
Dopo aver provato a mentire per giorni, giurando di non aver mai fatto una cosa del genere, Mattia ammise infine di aver condiviso le foto delle sue amiche su Telegram. Disse di non riconoscersi nella persona che era quando lo faceva, di non sapere le ragioni delle proprie azioni. Loro gli dissero che non lo avrebbero denunciato se lui avesse promesso di intraprendere un percorso di terapia. Non lo fece e non chiese mai scusa: a chiamare tutte le famiglie per scusarsi del suo comportamento, per settimane e settimane, fu invece sua madre.
«Io in paese avevo molte amicizie. Dopo che è successa questa cosa si sono dimezzate, e non per volere mio», racconta Giulia. «Alcuni mi hanno detto che si dispiacevano per lui perché mettendosi in questa situazione forse si era rovinato la vita. Io e Martina abbiamo passato dei mesi davvero bui». Oggi Giulia continua a soffrire di attacchi di rabbia molto intensi. Non ha più stretto alcun rapporto sentimentale né amicale con uomini. E, per un lungo periodo, ha temuto che le persone con cui Mattia aveva condiviso le sue informazioni potessero trovarla offline e farle del male.
Anche Martina dice di aver perso la fiducia nelle persone e di essere molto arrabbiata: «Viviamo in un paesino e tutti conoscono questa storia. Tutti ti guardano, tutti dicono “poverino, si vede che lui non sta bene”». Entrambe hanno la sensazione che a essere punite, da un punto di vista sociale, siano state loro e non lui.
Ha espresso una sensazione simile anche Silvia, che a 27 anni ha scoperto che il fidanzato con cui stava da tre anni condivideva ogni foto di nudo che lei gli mandava in una chat con altri sei amici. Erano ragazzi di famiglie ricche, figli di medici e avvocati, e facevano di tutto: oltre a condividere le foto intime delle loro ragazze le filmavano a loro insaputa durante i rapporti sessuali, o facevano foto sotto alle gonne delle loro amiche alle feste. Poi, giravano tutto sul gruppo e commentavano insieme: «che puttana», «che cagna», «le verrei in bocca».
Scoperto il gruppo, Silvia lasciò subito il fidanzato – che «si buttò a terra, piangeva, diceva che sarebbe cambiato e che quelle cose non le avrebbe fatte più» – e si trasferì in un’altra città. Quasi tutte le amiche che aveva avvertito di questa cosa, però, presero le parti di lui: «mi hanno chiesto perché rompevo i coglioni quando queste erano semplicemente cose da maschi. La madre mi disse che i panni sporchi andavano lavati in casa. Lui mi mandò una lettera in cui minacciava di suicidarsi».
Silvia dice di essere stata salvata dalla rabbia. «Io ero già molto immersa nella teoria femminista, quindi mi era chiaro che non era colpa mia, che non avevo fatto male e che non mi dovevo vergognare», spiega. «Per di più, le ingiustizie mi fanno andare fuori di testa, quindi mi sono concentrata molto su quello, anche se ovviamente per molto tempo mi sono domandata “ma di chi mi sono innamorata? Con che genere di persona sono stata per tre anni?”». Per quasi quattro anni non è più uscita con un uomo.
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