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  • Martedì 2 settembre 2025

Il divieto sui cellulari mette un po’ nei guai le scuole

In realtà sono 20 anni che gli studenti non possono usarli in classe, ma ora presidi e insegnanti devono inventarsi regole più precise

Uno studente con uno smartphone
(Marijan Murat/dpa)
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Durante le prime riunioni dell’anno scolastico tra presidi e insegnanti si sta discutendo di come applicare il divieto di usare i cellulari in classe imposto a tutte le scuole superiori dal ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara. Non è che questo divieto prima non esistesse, ma d’ora in poi le scuole dovranno farlo rispettare in modo più rigoroso con regolamenti, indicazioni su come e dove custodire i cellulari e sanzioni in caso di violazioni. Moltissime scuole si erano già ingegnate in passato, molte altre invece stanno cercando di capire come affrontare la nuova incombenza.

La circolare diffusa il 16 giugno dice che l’utilizzo dei cellulari è vietato durante l’orario scolastico anche a fini didattici. Di fatto non si può usare il cellulare mai, nemmeno per prendere appunti, fare calcoli o usare app pensate per la didattica. Si può usare solo se il cellulare è previsto dal piano educativo di persone con disabilità o con disturbi specifici dell’apprendimento, o ancora per specifiche lezioni di informatica e telecomunicazioni. Si potranno continuare a usare pc, tablet e lavagna elettronica, strumenti condivisi e acquistati dalla scuola proprio per le lezioni.

Leggendo i principi della circolare si potrebbe pensare che il divieto sia una novità, in realtà regole simili esistono da quasi 20 anni. La prima volta che il ministero diffuse indicazioni sull’uso dei cellulari a scuola era il 2007, al governo c’era il centrosinistra e il ministro era Giuseppe Fioroni. All’epoca il ministero intervenne per dire quasi un’ovvietà, e cioè che il cellulare distrae chi lo usa dalla lezione e rischia di distrarre anche i compagni di classe. Sulla base di questa premessa, quel documento vietò l’uso del cellulare a studenti e insegnanti. Negli ultimi anni le indicazioni non sono cambiate, anzi nel 2022 l’attuale ministro Valditara confermò il divieto richiamando proprio il documento del 2007.

Le novità della circolare sono quindi quasi esclusivamente per i presidi e gli insegnanti. Stavolta infatti il ministero ha obbligato le scuole a stabilire regole molto più precise rispetto al passato. Un passaggio piuttosto importante dice che «è rimessa all’autonomia scolastica l’individuazione delle misure organizzative atte ad assicurare il rispetto del divieto in questione». Appellandosi al principio dell’autonomia scolastica, il ministero ha imposto alle scuole di trovare soluzioni e soprattutto di farle rispettare.

Presidi e insegnanti si sono quindi ritrovati a discutere di questioni molto pratiche, e a rispondere a una domanda non banale: gli studenti devono consegnare il cellulare oppure devono semplicemente tenerlo nello zaino? Anche se la circolare vieta l’utilizzo, e non il possesso, già in passato molte scuole avevano scelto la prima ipotesi installando armadietti e cassetti dove gli studenti devono riporre i cellulari prima di iniziare le lezioni.

Negli ultimi giorni molti presidi hanno proposto questa soluzione: all’Educandato agli Angeli di Verona, per esempio, sono stati installati in ogni classe armadietti blindati con prese di ricarica usb. L’istituto Ferraris-Pancaldo di Savona, in Liguria, ha previsto l’uso facoltativo di armadietti al costo di 15 euro all’anno. Chi non vuole l’armadietto dovrà lasciare a casa il cellulare.

Altri presidi hanno scelto di limitarsi a introdurre sanzioni – dal richiamo alla sospensione, anche in questo caso la scelta è libera – perché per la scuola diventerebbe un rischio custodire oggetti di un certo valore come gli smartphone. Nel momento in cui i cellulari vengono presi in carico, infatti, la scuola diventa responsabile di eventuali furti o danneggiamenti.

Un altro problema che ha scoraggiato i presidi a limitarsi a ribadire il divieto sono i costi e gli spazi. «L’ipotesi di installare armadietti è irrealistica per la maggior parte delle scuole, semplicemente perché non hanno soldi e spazi», dice Antonello Giannelli, presidente dell’Associazione Nazionale Presidi. «Non siamo nel Nord Europa o negli Stati Uniti. Può darsi che qualche scuola imponga di lasciarli sulle cattedre, ma poi anche in quel caso chi li custodisce? Sono tutti problemi di ordine pratico». Secondo Giannelli la soluzione più semplice e senza costi è obbligare gli studenti a lasciarli negli zaini, spenti, perché la cosa importante è non disturbare le lezioni.

Oltre alle regole sull’eventuale custodia e alle sanzioni disciplinari ci sono poi altre incombenze pratiche: per esempio, le scuole devono indicare come gestire eventuali chiamate di emergenza da o verso la famiglia e stabilire se il divieto vale anche durante l’intervallo o solo durante le lezioni. La preoccupazione principale dei presidi è che ognuno di questi passaggi all’apparenza secondari possa essere poco applicabile oppure alimentare polemiche con gli alunni o le famiglie.