Il debito pubblico francese è davvero messo così male?
Il governo ha paragonato la situazione al disastro della Grecia di dieci anni fa, ma non è proprio così

Per lunedì 8 settembre è previsto in Francia un voto di fiducia che molto probabilmente farà cadere il governo di minoranza in carica. Il voto è stato convocato dal primo ministro francese François Bayrou come ultimo tentativo per convincere i partiti dell’opposizione a collaborare al suo austero progetto di legge di bilancio per il 2026, molto criticato ma a suo dire necessario a ripianare conti disastrosi. Per la stessa ragione lo scorso anno cadde il governo del suo predecessore, Michel Barnier.
Secondo Bayrou la situazione del debito pubblico francese è estremamente grave e servono misure drastiche per evitare una crisi finanziaria. I partiti all’opposizione lo accusano di usare toni apocalittici per costringerli ad approvare una legge severa e molto impopolare, pur condividendo la necessità di ridurre il debito. È innegabile che i conti della Francia siano messi piuttosto male, soprattutto per i suoi standard, ma allo stesso tempo molti economisti sostengono che Bayrou stia un po’ esagerando.
Alla fine del primo trimestre del 2025 il debito francese ammontava a 3.345 miliardi di euro, ossia il 113,9 per cento del Prodotto Interno Lordo (PIL). È quasi il doppio rispetto al 60 per cento dell’inizio degli anni Duemila e ora è il terzo debito più alto dell’Eurozona, dopo quello della Grecia (152,5 per cento rispetto al PIL) e dell’Italia (137,9 per cento).
Il debito francese cresce a questa velocità perché continua ad aumentare il deficit, ossia la differenza tra le entrate e le uscite dello stato: se un paese spende più di quanto incassa deve necessariamente indebitarsi e dunque aumenta il debito pubblico.
La Francia è in deficit costante da decenni, ma la situazione si è aggravata prima con la pandemia e poi con la crisi energetica causata dalla guerra in Ucraina. Negli ultimi anni il paese ha avuto bisogno di spendere molto per sostenere l’economia, e quindi di aumentare il debito, come del resto tutti i paesi europei. Ma anche quando l’emergenza è rientrata, i governi francesi che si sono susseguiti hanno fatto fatica a invertire questa tendenza. L’instabilità politica ha creato un circolo vizioso da cui è sempre più difficile uscire, e ora ci si chiede se la Francia riuscirà mai a ridurre il debito pubblico accumulato finora.
Il problema della sostenibilità del debito francese è emerso dallo scorso anno, nonostante la Francia chiuda l’anno fiscale in deficit dal 1974 e negli ultimi vent’anni la Commissione Europea l’abbia già messa più volte sotto procedura per deficit eccessivo, cioè superiore al 3 per cento del PIL. Questa è la soglia imposta per tenere sotto controllo i bilanci degli stati europei. Le regole sui conti pubblici furono sospese durante la pandemia, per consentire agli stati di spendere quanto necessario per sostenere l’economia, ma che poi sono tornate in vigore, riformate, proprio lo scorso anno, quando la Francia aveva accumulato un deficit del 5,8 per cento.
Insieme ad altri sei paesi, fra cui l’Italia, la Francia era stata quindi nuovamente messa sotto procedura per deficit eccessivo.
Il 2024 non è stato un anno di crisi che giustificasse una spesa più alta del normale. Ciononostante lo Stato francese ha speso 169,6 miliardi di euro in più rispetto alle sue entrate totali, il deficit maggiore dalla fine della Seconda guerra mondiale (escluso il 2020, il primo anno della pandemia). Il deficit è stato fissato a un livello solo marginalmente più basso per quest’anno, quando al contrario gli altri grandi paesi europei, Italia compresa, lo hanno fatto rientrare sotto la soglia consentita del 3 per cento.

Il primo ministro francese François Bayrou e la ministra del Bilancio Amélie de Montchalin presentano le linee guida del bilancio 2026 durante una conferenza stampa a Parigi, a luglio del 2025 (ANSA/Stefano Lorusso/ZUMA Press Wire)
Per risolvere questa situazione ci sono due opzioni: o la Francia riduce la spesa pubblica (che è la più alta d’Europa in rapporto al PIL, seguita dall’Italia, molto anche a causa del costo del suo sistema pensionistico), o deve trovare un modo per avere più entrate, quindi sostanzialmente aumentare le tasse (che sono già fra le più alte dell’Eurozona). Sono entrambe misure molto impopolari, perché da un lato significa compromettere l’imponente stato sociale francese e dall’altro far pagare più tasse.
Un governo di minoranza come quello di Bayrou fa fatica ad avere l’appoggio dei partiti all’opposizione, i cui voti però sono necessari per far passare la legge. Da qui si spiegano le perplessità sulla capacità del governo di ridurre il debito pubblico, e probabilmente l’allarmismo di Bayrou.
Insieme ad altri membri del suo governo, Bayrou ha più volte paragonato l’attuale situazione francese a quella che precedette la crisi del debito della Grecia del 2015. E si è spinto anche a dire che la Francia rischia di fare la stessa fine, e quindi di essere messa sotto la tutela dell’impopolare troika, quel gruppo formato da Banca Centrale Europea, Fondo Monetario Internazionale e Commissione Europea che può imporre condizioni severissime per risanare i conti. È una condizione estrema, a cui non arrivò neanche l’Italia nel pieno della crisi del 2012, e a cui è implausibile arrivi la Francia oggi.
Con la sua legge di bilancio per il 2026, Bayrou vorrebbe portare ora il deficit al 4,6 per cento, ma molte delle misure proposte (fra cui quella di abolire due giorni festivi) sono state rigettate dai partiti di opposizione. Intanto lo Stato sta continuando a spendere. Nel primo trimestre di quest’anno la differenza fra entrate e spese pubbliche era al 5,6 per cento, superando per ora l’obiettivo di deficit del 5,4 per cento che era stato fissato per il 2025 (che era comunque già più alto di quello richiesto dall’Unione).
Lo stallo politico e la conseguente incertezza stanno creando un problema aggiuntivo: prestare soldi alla Francia è diventato agli occhi degli investitori più rischioso. In questi casi aumentano i tassi di interesse sui titoli di stato, cioè quegli strumenti finanziari che servono proprio a prestare soldi agli stati e che rappresentano pezzetti del debito pubblico. Semplificando molto, gli investitori chiedono un compenso maggiore per accollarsi un rischio superiore.
Oggi il governo francese paga sul suo debito tassi di interesse maggiori di un anno fa, e oltretutto quasi uguali a quelli dello stato italiano: significa che per gli investitori la Francia è sostanzialmente affidabile come l’Italia, paese che storicamente non è mai stato considerato virtuoso. Era una condizione impensabile fino a poco tempo fa.
Nell’ultimo anno è aumentato anche lo spread con la Germania, cioè la differenza tra i tassi di interesse sui titoli francesi e quelli sui titoli tedeschi, considerati i più affidabili d’Europa e che rappresentano quindi il rischio nullo: prima delle elezioni europee di giugno del 2024 era intorno a 45 punti base, mentre in queste settimane è arrivato quasi a 80 punti.
È una situazione nel complesso piuttosto preoccupante, specialmente perché non sembra che possa risolversi presto. Anche se il governo dovesse cadere e venissero indette nuove elezioni non è detto che porterebbero a una composizione del parlamento meno frammentata, e quindi alla creazione di un governo più solido.
Allo stesso tempo però molti economisti ritengono infondati gli allarmi di Bayrou, soprattutto il rischio di finire sotto il controllo della troika. La Francia non è la Grecia, e soprattutto non è la Grecia di dieci anni fa: al culmine della crisi del debito, il tasso di interesse sui prestiti concessi al governo greco aveva superato il 16 per cento, l’economia greca era messa molto peggio di quella francese, anche a causa delle stesse richieste della troika, e il paese non aveva neanche una frazione della rispettabilità economica della Francia. Lo stesso Fondo Monetario Internazionale ha escluso che la Francia rischi di essere messa sotto la sua tutela.
Questo perché, di fatto, tutti hanno ancora molta fiducia nella solidità dell’economia francese. Nonostante il debito alto, le preoccupazioni sulla sua sostenibilità e l’instabilità politica, nessuno crede che la Francia possa realisticamente fallire e non ripagare i suoi debiti.
È anche il motivo per cui gli investitori non si sono ancora fatti prendere dal panico sui mercati finanziari e la Francia non ha problemi a trovarne di disposti a prestarle denaro quando ne ha bisogno. Lo scorso giugno il dipartimento che si occupa del debito pubblico ha raccolto altri 7,6 miliardi di euro, rimborsabili entro tre-dodici mesi. L’offerta (cioè i soldi che gli investitori erano disposti a prestare) era quattro volte superiore a quella di cui l’agenzia aveva bisogno.



