La persona che comanda davvero al ministero della Giustizia

No, non è il ministro Carlo Nordio, ma la sua risoluta capa di gabinetto Giusi Bartolozzi

Giusi Bartolozzi alla Camera il 19 marzo 2019, quando era una deputata di Forza Italia (Vincenzo Livieri/LaPresse)
Giusi Bartolozzi alla Camera il 19 marzo 2019, quando era una deputata di Forza Italia (Vincenzo Livieri/LaPresse)
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Le indagini del tribunale dei ministri sul caso Almasri hanno fatto emergere una gestione caotica del ministero della Giustizia, e hanno evidenziato il ruolo rilevantissimo che ha Giusi Bartolozzi, capa di gabinetto di Carlo Nordio. Bartolozzi esercita la sua funzione con un piglio estremamente decisionista, motivo per cui Nordio la chiama spesso «la mia capa», o «la mia ministra»: e ciò che nelle parole di Nordio dovrebbe essere il riconoscimento di una grande competenza, e insomma una lode, è in verità, per molti funzionari dello stesso ministero, la certificazione di un’anomalia.

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Da questo punto di vista il caso Almasri – il generale libico liberato dall’Italia nonostante un mandato d’arresto della Corte penale internazionale – non è che la conferma di una situazione ben nota a chi segue i lavori del ministero. Ed è significativo che nell’ultimo anno e mezzo siano stati almeno sei i dirigenti di alto livello che si sono dimessi, in contrasto più o meno esplicito con Bartolozzi e in polemica con la tendenza di Nordio ad affidarle compiti inusuali per un capo di gabinetto.

Bartolozzi ha 55 anni, è una magistrata da oltre 25, e ha lavorato per lo più a Gela, la città siciliana dov’è nata e cresciuta da una famiglia di origine toscana, e a Palermo. Nell’estate del 2017 venne presentata a Silvio Berlusconi da Gianfranco Miccichè, allora leader di Forza Italia in Sicilia: Berlusconi la ricevette ad Arcore insieme al compagno di lei, Gaetano Armao, capo di un movimento autonomista e populista siciliano nonché assessore all’Economia e vicepresidente della regione, e decise di candidarla come capolista nel collegio plurinominale della sua provincia, con la certezza dell’elezione. Ben presto, però, sia Bartolozzi sia Armao iniziarono a muoversi in contrasto con il partito regionale e con lo stesso Miccichè, contravvenendo alle direttive di Forza Italia su alcune elezioni locali.

In questo clima di crescente attrito, nel novembre del 2020 Bartolozzi alla Camera votò in dissenso dal proprio gruppo, insieme ad altri quattro colleghi, sul disegno di legge Zan sull’omotransfobia. Nel luglio del 2021 ci fu un’altra insubordinazione: votò contro le indicazioni di Forza Italia su un emendamento alla riforma del processo penale che era considerato da molti una sorta di legge ad personam a favore di Berlusconi. Fu la rottura definitiva: venne trasferita dalla commissione Giustizia alla Affari costituzionali, e lei decise allora di uscire dal partito e iscriversi al Gruppo Misto. È un passaggio importante, questo: perché è in questa fase che Bartolozzi, iniziando a criticare duramente la riforma della ministra della Giustizia Marta Cartabia e il governo di Mario Draghi, si avvicinò ad alcuni esponenti di Fratelli d’Italia, cominciando così a costruire un rapporto che sarebbe poi diventato solidissimo con Andrea Delmastro Delle Vedove, attuale sottosegretario alla Giustizia.

Fu anche grazie a queste relazioni che nell’ottobre del 2022 Nordio la scelse come vice del capo di gabinetto, Alberto Rizzo. Fu chiaro fin dall’inizio, però, che la catena di comando era poco definita: Bartolozzi tendeva spesso a scavalcare Rizzo, prima per le questioni di competenza diretta di Delmastro e poi anche per le altre, e col tempo seppe guadagnarsi una considerazione così elevata da parte di Nordio che il ministro le delegava anche faccende delicate senza darne conto al capo di gabinetto, il quale spesso era costretto a chiedere alla sua vice il resoconto di alcune riunioni riservate.

E così, nel febbraio del 2024, Rizzo si dimise. Nordio ne approfittò per promuovere Bartolozzi a capa di gabinetto, nonostante alcune iniziali perplessità del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano. Da allora, l’atteggiamento di Bartolozzi nei confronti dei funzionari del ministero è diventato ancora più assertivo e spavaldo, talvolta arrogante. Ma non è solo una questione di carattere: il punto è che è Nordio a demandare a lei la gestione di molte importanti questioni, di fatto tagliando fuori dirigenti che hanno un abituale rapporto diretto col ministro. Questo stato di cose ha portato, nel giro di alcuni mesi, a nuove – e notevoli – dimissioni.

I capi dei dipartimenti per gli Affari di giustizia e per l’Organizzazione giudiziaria, Luigi Birritteri e Gaetano Campo; quello per l’Amministrazione penitenziaria Giovanni Russo; la direttrice dell’ispettorato generale Maria Rosaria Covelli e il direttore dei sistemi informativi automatizzati Vincenzo De Lisi; la capa dell’ufficio stampa Raffaella Calandra. Tutti denunciavano, grosso modo, lo stesso problema: l’eccessivo potere di Bartolozzi.

Il ministro della Giustizia Carlo Nordio al Senato il 19 marzo 2024 (Roberto Monaldo/LaPresse)

Del resto, una qualche anomalia si era percepita anche in parlamento. Bartolozzi è solita accompagnare Nordio ogni volta che va alla Camera e al Senato, e certe volte sembra quasi scortarlo, tenendo alla larga i giornalisti che provano a fare domande, o rispondendo lei stessa a quelle domande, mentre il ministro la osserva in silenzio o ne approfitta per parlare con altri parlamentari o per bere qualcosa alla buvette. Assistendo ai lavori parlamentari, appena fuori dall’aula di Montecitorio o di Palazzo Madama, si lascia andare a commenti critici nei confronti di deputati e senatori che contestano Nordio in aula; sbuffa platealmente quando ritiene che i funzionari del ministero abbiano sbagliato a predisporre le carte per Nordio. Almeno in un’occasione, queste manifestazioni di disappunto furono persino vistose: successe quando Nordio decise di rispondere ad alcune domande delle opposizioni sul caso Paragon, contraddicendo in parte il sottosegretario Mantovano, e lei uscendo dalla Camera insieme al ministro si mise a sbraitare al telefono contro alcuni colleghi del ministero.

Ad alcuni deputati di Forza Italia è capitata poi una cosa bizzarra: dopo aver inoltrato una richiesta a Nordio, si sono visti rispondere direttamente da Bartolozzi. E questo, di per sé, non è così anomalo. Anomalo è invece il fatto che quando quei deputati sono andati a chiedere conto al ministro di quella risposta si sono trovati davanti un Nordio del tutto inconsapevole.

Il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro Delle Vedove in occasione della quarta edizione dell’evento “Parlate di mafia” organizzato dai gruppi parlamentari di Fratelli d’Italia a Roma, il 18 luglio 2025 (Mauro Scrobogna/LaPresse)

È questo il quadro che emerge anche dalle carte su Almasri. È significativo, per esempio, che in tutte le riunioni riservate convocate da Mantovano e alla presenza dei massimi dirigenti dei servizi segreti, nei due giorni seguenti all’arresto del generale libico poi rilasciato e rimpatriato dal governo, Nordio sia l’unico ministro sempre assente, dei molti coinvolti, e che viene sempre puntualmente sostituito da Bartolozzi. È sempre lei a ricevere dal capo della Polizia, Vittorio Pisani, un messaggio su Signal che la informa dell’arresto di Almasri a Torino. È lei a confrontarsi con Mantovano sul da farsi. Il tutto mentre Nordio è a Treviso per il fine settimana, e gli stessi funzionari del ministero non sapevano se e quando il ministro fosse tornato nel suo ufficio, o avesse o meno letto i documenti che loro gli preparavano.

E proprio su questo nella relazione del tribunale dei ministri c’è un dettaglio rilevante. Bartolozzi nel suo interrogatorio dice alle giudici che Nordio era perfettamente al corrente delle informazioni che lei riceveva, perché «ci sentiamo quaranta volte al giorno, sempre ogni cosa che arriva… noi ci sentiamo immediatamente»; e ancora: «Io quando ricevo gli atti glieli mandavo». Tuttavia è la stessa Bartolozzi ad ammettere di non aver sottoposto al giudizio del ministro alcune importanti bozze, predisposte dal dipartimento per gli Affari di giustizia, che avrebbero potuto consentire al ministro di confermare (o al limite negare) l’arresto di Almasri, sempre che Nordio avesse potuto leggerle e firmarle. Questa contraddizione è notata anche dalle giudici, che pure per questo ritengono la versione di Bartolozzi «inattendibile e, anzi, mendace».

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