Nei festival piccoli spesso c’è la musica buona

Specialmente dopo la pandemia in Italia si sono affermati quelli più intimi e defilati, apprezzati ma non sempre sostenibili economicamente

(©Transumare Fest)
(©Transumare Fest)
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Castelbuono è un paese dell’entroterra siciliano in provincia di Palermo, nel Parco delle Madonie. Non è tra le mete turistiche più visitate dell’isola, ma ogni agosto attira migliaia di persone da tutta Italia e dall’estero grazie a Ypsigrock, un festival musicale che si tiene qui dal 1997 e che nel tempo è diventato uno degli appuntamenti più riconosciuti della scena indie europea.

Il festival nacque da un gruppo di amici appassionati di musica, che voleva portare concerti internazionali all’interno delle feste di paese, un contesto tradizionalmente poco coinvolto alle novità culturali. «Quando abbiamo cominciato era un’idea ardita», raccontano Gianfranco Raimondo e Vincenzo Barreca, fondatori e direttori artistici del festival. All’inizio l’organizzazione si basava quasi esclusivamente sui fondi pubblici, e la risposta della popolazione locale fu inizialmente tiepida, soprattutto per mancanza di abitudine a un tipo di proposta così diversa. Con il tempo però il festival si è consolidato, anche grazie ad alcune scelte lungimiranti. Una di queste è stata quella di rimanere a Castelbuono, invece di spostarsi in un contesto urbano con maggiore visibilità. «Essere in un piccolo paese ci ha resi riconoscibili», spiegano gli organizzatori.

La coerenza nella scelta degli artisti ha permesso a Ypsigrock di costruire nel tempo un pubblico fedele e curioso. Negli anni sono passati di lì sia gruppi storici della musica rock alternativa, come i Dinosaur Jr. e i Flaming Lips, sia altri diventati poi famosi solo in seguito, come i Fontaines D.C. che suonarono nel 2019. Anche per questi motivi il festival ha ricevuto vari riconoscimenti, tra cui il premio come miglior festival italiano nella sua categoria e una nomination agli European Festival Awards nel 2018.

(©Roberto Panucci/Ypsigrock)

Ypsigrock è anche uno dei primi esempi italiani di “boutique festival”, manifestazioni curate nei dettagli, con una dimensione ridotta e un’atmosfera intima, che abbinano concerti ad attività che prevedono il coinvolgimento del pubblico, come corsi, seminari, workshop e altre attività di intrattenimento. L’idea è quella di offrire un’esperienza diversa dai grandi eventi di massa: meno resse, meno sfacchinate tra i palchi e la possibilità di vedere le band da vicino, stando belli larghi e volendo comodamente seduti. In questi festival spesso il programma è secondario: chi va si fida degli organizzatori, anche se non conosce la maggior parte delle band, sicuro che saranno interessanti.

Sono eventi che nascono spesso senza una struttura professionale, senza sponsor stabili, senza spazi attrezzati, e che riescono a coinvolgere centinaia, talvolta migliaia di persone. Dopo la pandemia in Italia i festival di questo genere sono aumentati. Secondo l’associazione culturale TrovaFestival nel 2025 ci sono state o sono in programma circa 584 manifestazioni dedicate alla musica che in molti casi nascono in luoghi dove mancano biblioteche, cinema, teatri o spazi culturali stabili.

«In questi casi i festival svolgono una funzione di “supplenza culturale”: portano qualcosa che manca» spiega Giulia Alonzo che è fondatrice di TrovaFestival . «Ma i festival», spiega Alonzo, «possono anche abbattere alcune barriere culturali. Scoprire che un festival musicale propone anche talk, mostre o incontri può far nascere interesse verso cose prima percepite come distanti. In questo senso, i festival sono spesso occasioni di scoperta: attirano pubblici diversi, dagli appassionati agli spettatori più occasionali, e funzionano anche per questo».

Rispetto ad altri paesi europei come Spagna, Francia o Regno Unito, dove la cultura dei festival è radicata da più tempo, in Italia si è sviluppata più recentemente. All’estero capita spesso che siano i governi o grandi multinazionali a investire per organizzare eventi di questo tipo. In Italia, invece, manca ancora un sistema economico solido che possa e intenda sostenerli nel tempo, perciò anche se ogni anno ne nascono di nuovi tanti faticano poi a far tornare i conti, e spariscono dopo poche edizioni.

In Italia non esistono ancora modelli di business consolidati e replicabili per organizzare e far crescere festival culturali. Le forme di finanziamento più diffuse sono i bandi pubblici, regionali o nazionali, e il sostegno di fondazioni private come Cariplo, Con il Sud o Fitzcarraldo. Chi riesce a superare i primi tre anni di attività ha però buone probabilità di durare.

– Leggi anche: Perché in Italia non c’è un grande festival musicale

Molto dipende dal rapporto che si costruisce con chi vive e lavora nel territorio: quando un festival funziona e coinvolge attivamente le persone del posto, è più facile che arrivino anche gli sponsor privati. Un esempio recente è quello di Aperol Spritz, che quest’anno finanzia quattro festival di medie dimensioni: lo Spring Attitude a Roma, l’Ypsigrock a Castelbuono, il FestiValle ad Agrigento e il Jazz:Re:Found a Cella Monte, in Monferrato. Spesso però gli sponsor valutano il successo di un festival con criteri presi in prestito dal marketing, come il numero di presenze, la visibilità sui social o il ritorno d’immagine. Sono parametri che non sempre tengono in considerazione altri tipi di valori importanti per chi organizza questi festival, più legati all’importanza di portare eventi culturali e occasioni di socialità in zone dove scarseggiano.

(© Benedetta Gaiani/Frantic Festival)

Chi organizza festival in aree poco centrali o mal collegate di solito raramente lo fa per guadagnare. Nella maggior parte dei casi sono manifestazioni che nascono da gruppi di amici o conoscenti uniti dalla passione per un certo genere musicale, o dal desiderio di valorizzare una zona poco considerata. È il caso del Frantic Fest, nato nel 2017 a Francavilla al Mare, in Abruzzo, grazie all’iniziativa di un gruppo di amici appassionati di musica estrema, soprattutto metal, ma anche rock e punk.

Come racconta Davide Straccione, uno dei fondatori, l’obiettivo era creare un grande evento capace di mettere insieme generi che solitamente restano separati: «Ci siamo molto ispirati ai festival nordeuropei. Volevamo unire l’atmosfera degli open air europei con lo spirito dei concerti underground». Il Frantic ha ottenuto buoni risultati fin dalla sua prima edizione. Col tempo si è creato un pubblico affezionato che torna ogni anno, contribuendo anche a generare un impatto positivo sul territorio. Durante i giorni del festival, Francavilla al Mare accoglie circa un migliaio di persone in più, che frequentano le attività commerciali della zona, vanno al mare e partecipano alla vita del paese.

Castelbuono durante l’Ypsigrock. (©Elisabetta Brian/Ypsigrock)

Molti festival nascono anche per promuovere il turismo nei luoghi che li ospitano. Il festival Transumare, che è nato nel 2024 e si tiene a Roseto degli Abruzzi, combina per esempio tre giorni di concerti a un programma di attività per promuovere il territorio, non solo a Roseto degli Abruzzi, ma anche nel resto della provincia di Teramo e in Abruzzo in generale. Per questo, durante i giorni del festival, capita di trovarsi a fare yoga al tramonto o trekking a Campo Imperatore, sul Gran Sasso, tutte attività che vengono proposte dagli stessi organizzatori di Transumare.

«E anche gli artisti sono contenti di venire qui perché l’atmosfera è rilassata, fanno il soundcheck e poi se ne vanno al mare», racconta Simone Rapagnà co-fondatore del festival. Nel 2024 l’headliner è stato Cosmo, «anche il più difficile da raggiungere, mentre per quest’anno abbiamo avuto molta meno difficoltà grazie ai buoni risultati dell’anno scorso, quando abbiamo raccolto 9mila presenze nell’arco dei tre giorni».

Allo stesso tempo, vengono coinvolte anche le imprese locali: dalle birrerie artigianali ai bar, dai ristoratori ai commercianti, che si occupano in prima persona del cibo. Non ci sono i classici food truck itineranti, ma stand gestiti da attività della zona che portano i loro prodotti direttamente dentro il festival.

Molti di questi festival fanno pagare biglietti a prezzi popolari, oppure sono proprio gratuiti. Come il Lars Rock Fest a Chiusi, in provincia di Siena, nato nel 2012 e cresciuto costantemente, portando artisti internazionali anche molto noti in una zona solitamente poco toccata dai grandi eventi musicali. Quest’anno, ad esempio, si è esibito il gruppo britannico Black Country, New Road. «Potremmo mettere un biglietto simbolico, ma vogliamo dare un segnale» dice Eleonora Billi, presidente dell’associazione che lo organizza. «È un modo per far capire a istituzioni e sponsor che tutti devono collaborare per rendere più accessibili iniziative culturali di questo tipo».