Fare i bulli con i propri figli è un metodo educativo?
Ultimamente è diventato popolare il cosiddetto approccio FAFO, la cui efficacia però è molto dubbia

Sui rigidi metodi educativi dei genitori “di una volta”, criticati da alcune persone, ammirati e rimpianti da altre, circola spesso un racconto esemplare. Quando un figlio o una figlia rifiutava a pranzo una certa pietanza perché sgradita se la ritrovava uguale per cena, e magari anche al pasto successivo, se ancora commestibile, finché non si decideva a mangiarla per la fame e per mancanza di alternative.
Un modello pedagogico di questo tipo è diventato recentemente un argomento di discussione negli Stati Uniti, dopo che il Wall Street Journal ne ha scritto in un articolo circolato molto anche in Italia. Dà conto di un approccio alla genitorialità già da mesi popolare sui social media, basato sulla convinzione che sia meglio lasciare che i figli sperimentino sulla loro pelle le conseguenze spiacevoli o dolorose di certe loro azioni, anziché affannarsi a impedirle o ostacolarle.
Se ne parla usando l’acronimo FAFO, che sta per fuck around and find out, un volgare modo di dire americano usato come avvertimento quando qualcuno si comporta da scemo e ne paga le conseguenze (traducibile come “fai il coglione, e vedi che succede”). Per esempio: se un figlio o una figlia non vuole rimettere a posto i giocattoli, i giocattoli finiscono nella spazzatura; se fa i capricci per indossare il cappotto prima di uscire, esce di casa senza e soffrirà il freddo.
Nei molti video su questo approccio che circolano su TikTok e Instagram ci sono genitori americani che ne parlano in modo più o meno autentico: c’è chi dice di aver rincorso, afferrato e gettato in un lago il figlio di 11 anni dopo essere stata bagnata con una pistola ad acqua, e chi di aver lasciato uscire il figlio piccolo di notte da solo.
L’approccio FAFO ha acquisito popolarità soprattutto tra genitori che lo contrappongono a un modello iperprotettivo e gentile, da loro considerato la causa di un’eccessiva fragilità dei giovani, perché prenderebbe troppo sul serio le loro emozioni. È una discussione che in parte ha anche connotazioni politiche: l’acronimo FAFO – come diversi altri – piace molto ai Repubblicani e al presidente Donald Trump, che lo ha utilizzato per definire un certo stile autoritario e aggressivo della sua amministrazione.
Nel caso dei genitori la questione è più complessa e si inserisce in un dibattito più ampio e già in corso da anni sulla crisi della genitorialità, spiega la ricercatrice Valentina Tobia, professoressa di psicologia dello sviluppo all’Università Vita-Salute San Raffaele a Milano. Specifica che l’approccio FAFO non esiste a livello teorico e accademico, ma che per come questo approccio viene presentato e descritto sui social media «è una modalità abbastanza estrema, che in sé riprende dei principi del comportamentismo degli anni Cinquanta», cioè la prospettiva di studi psicologici basata sull’idea che il comportamento sia il risultato di stimoli ambientali.
La convinzione dei sostenitori dell’approccio FAFO è che sia un ottimo modo per insegnare le regole ai figli, perché permette loro di capire che a una certa azione (mettere la mano sul fuoco, per esempio) ne segue naturalmente un’altra (bruciarsi), che dovrebbe servire da disincentivo per le volte successive. Ma l’idea di applicare questo tipo di strategia educativa, secondo Tobia, «è poco funzionale e anche poco applicabile nel contesto quotidiano». E soprattutto è inefficace, perché non considera l’età dei bambini un fattore rilevante, e invece lo è.
«I bambini più piccoli non hanno le competenze cognitive per proiettarsi nel futuro e valutare le conseguenze del proprio comportamento», spiega Tobia. Anche dopo la preadolescenza non è detto che questa strategia funzioni: dipende dalle situazioni, dal contesto e da altre caratteristiche individuali del ragazzino o della ragazzina. «Alcuni potrebbero anche subire gravi danni, per una strategia di questo tipo».
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Nella letteratura scientifica sugli stili genitoriali, teorizzati negli anni Sessanta dalla psicologa statunitense Diana Baumrind, quello che presenta qualche affinità con l’approccio FAFO è lo stile autoritario, caratterizzato da molto controllo, severità e freddezza emotiva con i figli. Ricerche più recenti condotte nel corso di diversi decenni associano a questo stile, molto meno diffuso di un tempo, maggiori problemi comportamentali e di salute mentale nei bambini.
L’altro estremo è lo stile permissivo, caratterizzato da grande sostegno emotivo e indulgenza verso i figli, ma anche pochi limiti e scarse aspettative: anche questo stile è associato a risultati negativi. Gli approcci improntati a una permissività eccessiva trascurano l’importanza dei limiti, soprattutto per bambine e bambini con determinati tratti del temperamento. «Senza un atteggiamento un po’ più direttivo da parte dei genitori, alcuni rischiano poi di fare fatica a crescere e mettono in atto comportamenti disadattivi», dice Tobia.
Le ricerche descrivono lo stile intermedio, cioè quello autorevole, come il più benefico per i bambini in termini di salute mentale: è lo stile tipico dei genitori affettuosi e premurosi, ma anche esigenti e decisi nello stabilire regole e limiti chiari nel controllo.
Fondamentalmente, spiega Tobia, è lo stile che funziona di più perché è il più flessibile. Include sì regole, ma che sono il risultato di strategie di negoziazione tra genitori e figli, e di adattamento al contesto, alle caratteristiche del bambino o della bambina, e ad altri fattori. «L’atteggiamento autoritario non serve, anzi crea difficoltà proprio nell’interiorizzare le regole, per cui anche volendo rifarci a queste teorie classiche, la strategia FAFO non sta proprio in piedi».



