Anche l’ex ILVA di Novi Ligure è messa molto male

La produzione è ferma e le scorte di acciaio sono finite: come a Taranto, si aspetta il governo

L'interno dello stabilimento dell'ex ILVA a Novi Ligure, in Piemonte, 9 marzo 2024 (ANSA/JESSICA PASQUALON)
L'interno dello stabilimento dell'ex ILVA a Novi Ligure, in Piemonte, 9 marzo 2024 (ANSA/JESSICA PASQUALON)
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Da metà luglio nello stabilimento dell’ex ILVA di Novi Ligure, in provincia di Alessandria, la produzione si è sostanzialmente fermata. Dall’impianto di Taranto, il più grande impianto siderurgico d’Europa tra quelli ancora alimentati a carbone, non arriva più acciaio da lavorare. Anche le scorte sono finite. Quasi tutti gli oltre 550 lavoratori sono in cassa integrazione o in ferie forzate. Gli unici presenti sono i manutentori, una decina: «Per il resto, lo stabilimento sembra dismesso», dice Maurizio Cantello, segretario provinciale della Fiom-Cgil.

Per queste ragioni lunedì a Novi Ligure c’è stata una riunione a cui hanno partecipato tra gli altri il presidente del Piemonte Alberto Cirio, il sindaco di Novi Ligure Rocchino Muliere, il direttore generale dell’ex ILVA Francesco Zambon, e i sindacati. Durante l’incontro è stato stilato un documento, per ora non reso pubblico, che sarà mandato al governo: contiene diverse richieste, tra cui la necessità di tutelare i lavoratori e quella di affrontare la crisi dell’ex ILVA considerando tutti gli stabilimenti insieme, e non solo quello di Taranto.

Lo stabilimento di Novi Ligure è il terzo più grande dell’ex ILVA, dopo quelli di Taranto e Genova, e il principale in Piemonte (ce n’è un altro più piccolo a Racconigi, in provincia di Cuneo). Qui arrivano, passando da Genova, i laminati a caldo prodotti nell’impianto di Taranto, cioè dei semilavorati in acciaio, che vengono lavorati ulteriormente per realizzare tra le altre cose fusti e componenti per elettrodomestici da vendere alle aziende clienti. Molte sono nel settore dell’automotive, concentrate appunto nel Nord Italia.

Un tempo, quando le cose andavano bene, a Novi Ligure si arrivava a produrre circa un milione e mezzo di tonnellate di materiale all’anno. Da mesi secondo la Fiom-Cgil provinciale la produzione è calata fino a un quinto: fino a prima della sospensione a Novi Ligure si producevano quindi circa 300mila tonnellate di materiali, stando al sindacato. Anche per questo negli ultimi mesi chi tra i lavoratori ha potuto se n’è andato, dice Cantello: alcune decine negli ultimi mesi, circa 150 negli ultimi anni.

Delle difficoltà dell’ex ILVA di Novi Ligure si parla da mesi. È una crisi che non riguarda soltanto lo stabilimento piemontese e i suoi dipendenti, e l’ex ILVA in generale, ma anche tutte le aziende dell’indotto della società, cioè quelle che lavoravano in gran parte per l’acciaieria e sono andate a loro volta in crisi. Complessivamente, per quanto riguarda soltanto Novi Ligure, le stime dei sindacati considerano circa tremila lavoratori. Nel 2024 per aiutare le aziende dell’indotto dell’ex ILVA il governo aveva approvato un decreto-legge apposito, con alcune misure che prevedevano per esempio prestiti garantiti dallo Stato e la cassa integrazione.

La produzione a Novi Ligure dovrebbe rimanere sostanzialmente ferma fino a settembre, ma si capirà di più dai prossimi incontri istituzionali. Il 12 agosto è in programma l’incontro per firmare l’accordo di programma sul futuro dell’ex ILVA, un documento essenziale per stabilire i tempi della decarbonizzazione, cioè il passaggio per l’impianto a un sistema di produzione meno inquinante rispetto agli attuali altiforni alimentati a carbone.

L’accordo di programma è molto importante perché serve a dare prospettive ai possibili compratori: l’ex ILVA è infatti da più di un anno in amministrazione controllata dopo la fallimentare gestione del gruppo franco-indiano ArcelorMittal, a sua volta preceduta da altri commissari pubblici e prima ancora dal gruppo Riva, che la acquisì negli anni Novanta quando era uno stabilimento pubblico, l’Italsider.

La gestione attuale è insostenibile: oggi è in funzione solo un altoforno su quattro perché la manutenzione sugli altri negli ultimi anni non è stata adeguata. Nel 2024 l’impianto ha prodotto meno di 2 milioni di tonnellate di acciaio, una quota che non compensa i costi. Per questo il governo vorrebbe vendere l’acciaieria e trovare un modo per risolvere una volta per tutte gli annosi problemi ambientali e occupazionali legati all’impianto.

– Leggi anche: L’accordo sul futuro dell’ex ILVA è ancora lontano